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Il nucleare nella coazione allo sviluppo

di Lamberto Sacchetti - 13/06/2011

Fonte: bisturipoliticoculturale




Per decenni alla scelta antinucleare dell’87 si è imputato il costo della nostra “bolletta energetica”.  Ma ora vediamo che ci ha risparmiato, oltre ai particolari pericoli del nucleare in casa, i costi di fare, e adesso smantellare, centrali che avremmo avute di “seconda generazione”, superate e infide. C’è analogia col risparmio venutoci dall’aborto del progetto governativo sul nucleare e sullo  stretto di Messina. Se ne trae la morale che il non fare è meglio di un fare avventuristico.

La questione, però, è lo sviluppo, poiché avventurismo è volerlo a ogni costo, come fa chi, ritenendo imprescindibile il nucleare per evitare un ritorno al medioevo, non solo trascura l’irrisolto problema delle scorie radioattive, ma accetta addirittura l’ipotesi di disastri nelle centrali in quanto meno gravi di rinunciare allo sviluppo. Eppure una reazione nucleare che non si riesca a spegnere può durare millenni e sfaldare, se non restaurati, sarcofagi di cemento come quelli di Cernobyl e Fukushima. I posteri che ne perdessero la memoria sarebbero traditi dall’ambiente mortifero.

Ma davvero è impossibile uno sviluppo senza nucleare?

La Svizzera ha ripudiato il nucleare, e non per impoverirsi: perché stima ch’esso costerà troppo per bisogno di sicurezza e polizze assicurative. La Germania eliminerà tutte le proprie centrali perché, esattamente, persegue uno sviluppo senza nucleare. Essa punta sulla tecnologia. Quanto alle fonti energetiche, fiduciosa di molto ridurre l’effetto inquinante del carbone, punta sul mix di carbone, gas, petrolio e sulle fonti “pulite”, in cui, per qualità e quantità di generatori prodotti,  si è posta all’avanguardia mondiale. Essa va alla conquista di mercati da sottrarre al nucleare.

In Italia, terra di vulcani e terremoti, il nucleare non sarà mai accettato. Essa è anche stretta. Una radioattività del raggio di un centinaio di chilometri potrebbe dividerla in due.

Lo sviluppo quantitativo nessuno può pensarlo infinito. Se il nucleare garantisse energia senza limiti sarebbe il premio d’un patto faustiano, prima o poi da pagare. Più energia dissipiamo prima urtiamo limiti naturali, anzitutto nella biosfera. L’energia solare immessa dalle piante nei circuiti biotici crea vita. L’energia aggiuntiva ottenuta dall’uomo altera l’ambiente a livello macro e microscopico. Crea un disordine molecolare che, assorbito dagli organismi, giunge a offenderne perfino i codici genetici.  Immessa nell’ambiente sociale lo surriscalda, alza i divari di potenza e ricchezza, origina incontrollabili migrazioni. Conveniamo o no che lo sviluppo è proponibile unicamente se autolimitato, se “sviluppo sostenibile”?

In realtà, l’ossessivo monito di accrescere il PIL ci dice che la società dello sviluppo anziché liberale è coatta: schiava della competizione e dell’energia. La quale esalta ogni potere e superiorità, eccetto quella morale, impone sacrifici e nevrosi per produrre il superfluo, lo spreco, rifiuti, sempre nuove tensioni, svilimento generale. Il che idealmente legittima un’istanza liberatoria, non romantica ma razionale: di  governare la crisi del sistema non più mirando allo sviluppo e ai consumi, bensì a equilibri sostenibili; sottesi dall’obbligo di abbassare i consumi valorizzando sobrietà, solidarietà, cultura, vivibilità dell’ambiente naturale e sociale. L’energia migliore è quella risparmiata. Vere risorse: educazione e intelligenza.

Questo nuovo riformismo è realistico se prospetta misure atte, in primo luogo, all’occupazione dei giovani. Ma tante sono le cose, anche materiali, da fare in ogni campo per abbassare i consumi.

Discutere della sfida al modello corrente di sviluppo diverrà sempre più importante.