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Eurasia 2/2006

di Martin A. Schwarz - 13/06/2006

 

 

 

 

 

            Come sempre, “Eurasia” combina un dossario centrale e una serie di articoli che oltrepassano l’argomento l’argomento del dossario. Uno dei fronti più importanti di quella lotta globale tra dominio e resistenza di cui “Eurasia” tratta regolarmente, è il destino della Palestina. Questo nuovo numero della rassegna contiene una breve intervista rilasciata da Khaled Mashaal, dirigente di Hamas, a un esperto di geopolitica della Duma di Mosca, Ernest Sultanov. C’è poi un poderoso studio (Israele: dominio della legge o legge del dominio?) sullo statuto delle minoranze nell’entità sionista; l’autrice, Susanne Scheidt, da molti anni attiva in Italia nel movimento di solidarietà coi rifugiati palestinesi Al-Awda, fornisce un particolareggiato resoconto del sistematico trattamento razzista che il sistema sionista riserva ai cittadini non ebrei. La classificazione dei cittadini secondo criteri etnici, e la contestuale trasformazione delle leggi in strumenti di oppressione, viene paragonata dall’autrice alle famigerate leggi di Norimberga (che furono nondimeno applaudite dai sionisti dell’epoca).

 

            L’India è diventata recentemente l’unico - o quasi l’unico - alleato di “Israele” nella parte orientale del continente eurasiatico; ed è appunto l’India a costituire il tema del dossario in questo numero di “Eurasia”. L’India, dopo essere stata per un lungo periodo un baluardo dei paesi non allineati, è diventata un punto di riferimento per gli USA e “Israele”, e ciò in seguito alla presa del potere da parte degli estremisti neo-indù e alla loro politica antislamica. L’aver voltato le spalle all’ex alleato iraniano nella questione dello sviluppo dell’energia nucleare per scopi pacifici e l’aver allacciato una relazione nucleare privilegiata con gli USA (dopo che l’India aveva prodotto armi atomiche da sola!) sono fatti che parlano chiaro. Qui abbiamo l’esatto contrario dell’analisi effettuata pochi anni fa da un “geopolitico” (?) islamofobo, secondo cui la Cina sarebbe stata l’alleata naturale degli USA, e l’India il suo contrappeso filoeuropeo. Una visione di questo genere non nasceva tanto da un’analisi, quanto dal pio desiderio di uno stretto rapporto dell’Europa con un’India erede dell’antica civiltà tradizionale indo-aria; a tale pio desiderio si connetteva ovviamente la rappresentazione sentimentale di una Cina “aliena” e di un mondo islamico “nemico”. Nel momento di una situazione internazionale che è tra le più fluide, sia la Cina sia l’India cercano ciascuna la sua strada; ma, mentre la latente rivalità fra la Cina e l’Occidente aumenta di giorno in giorno, aumenta anche la vicinanza della classe politica indiana all’imperialismo occidentale.

            Bisogna però tener conto del fatto che in India, dopo due decenni di egemonia dei neo-indù filosionisti, guadagnano terreno le forze di resistenza antimperialiste: i maoisti, i movimenti regionali e naturalmente la popolazione musulmana. D’altro canto, l’impressionante sviluppo economico cinese è collegato alla produzione per gli USA nelle zone economiche specifiche, sicché una rottura delle relazioni con gli USA sarebbe rifiutata da importanti componenti del regime. La Russia ha cominciato a svolgere una funzione equilibratrice fra Cina e India (è una notevole e positiva differenza rispetto al periodo sovietico) e la “Cooperazione di Shanghai” è diventata lo strumento principale per una pacifica integrazione eurasiatica.

            Questo numero di “Eurasia” focalizza l’attenzione sulla prospettiva di un’India eurasiatica; un tale approccio è positivo, perché, per quanto ottimistico, non indulge a fantasie come quelle del “geopolitico” di cui si parlava più sopra. E per comprendere l’India, bisogna rifarsi alla lunga storia indiana, con le sue contraddizioni e i suoi cambiamenti, ma soprattutto con la sua sottostante e immutabile tradizione d’origine vedica.

 

            Nella rinascita della tradizione indiana, ha esercitato una grande influenza l’opera di Bâl Gangâdhar Tilak (1856-1920). Opportunamente perciò Aldo Braccio ci ricorda, in Orione e i Veda, gli studi di Tilak sulle scritture vediche. Le prove addotte da Tilak per dimostrare l’antichità della tradizione vedica e l’origine polare degli Ariani non corrispondono a una semplice curiosità, ma sono fondamentali per la geografia sacra, la quale garantisce unità e stabilità sul livello storico. Come scrive Braccio, “l’idea di polo è riconducibile a quella di centro. … E il centro indica con evidente semplicità l’origine, la stabilità dell’Essere in mezzo al divenire”.

 

            La tradizione indiana viene affrontata in una prospettiva sorprendente nello studio di Claudio Mutti su Dante e l’India. Dopo aver messo in evidenza le citazioni dell’India presenti nella Divina Commedia, Mutti fa una rassegna delle analogie esistenti tra il poema dantesco e le Scritture indù che sono state rintracciate da alcuni studiosi della tradizione indù, in particolare da Ananda K. Coomaraswamy. Infine, l’autore si occupa della ricezione dell’opera di Dante presso i poeti indiani; tra questi ultimi non manca Muhammad Iqbal, il pensatore musulmano originario del Kashmir che, grandemente influenzato da Goethe, Dante, Milton e Nietzsche, è celebre per un poemetto in cui descrive un suo viaggio celeste.

 

            Tra tutti i popoli europei, è stato quello greco ad avere con l’India i rapporti più stretti e più diretti, rapporti si innestarono sul tentativo di Alessandro Magno di unire la Grecia e l’Asia in un nuovo impero eurasiatico. La funzione storica di Alessandro ha avuto eco in numerose narrazioni orientali; ma è nel Corano che la figura di Alessandro (Dhul-Qarnayn, “il Bicorne”) compare come l’archetipo di un sovrano fornito di un mandato divino. Su “Alessandro e l’Asia” esiste un libro del celebre filologo e storico tedesco Franz Altheim (Alexander und Asien, Tubingen 1953), dal quale “Eurasia” ha estratto un interessante paragrafo che viene presentato sotto il titolo Un Greco in India. Da esso apprendiamo che, poco tempo dopo la morte del Macedone, Megastene si recò in qualità di ambasciatore di Seleuco alla corte del re indiano Candragupta e compilò un resoconto che costituisce la principale fonte ellenistica per la conoscenza del subcontinente indiano.

 

            L’esatto contrario del progetto di impero eurasiatico concepito da Alessandro si manifestò molti secoli dopo, quando la Regina Vittoria diventò “imperatrice dell’India” e l’India fu sottoposta a uno sfruttamento colonialistico che era privo di tutti i valori tradizionali dell’Impero e fu responsabile di quello che oggi viene chiamato “olocausto vittoriano dimenticato”. Rivolgendo da Londra la propria attenzione agli eventi indiani e cinesi e apprezzando positivamente la lotta anticolonialista dell’India, il critico ebreo-tedesco dell’”economia politica”, Karl Marx, si discostò notevolmente dalle posizioni occidentalistiche ed eurocentriche che caratterizzavano il suo pensiero. “Marx utilizza l’espressione latina di combattenti pro aris et focis per giustificare e approvare la lotta patriottica dei difensori delle società tradizionalistiche contro gli invasori colonialisti”, scrive Costanzo Preve (Karl Marx e l’India. Note su un paradigma filosofico e scientifico).

 

            Diversamente dall’Occidente, l’India non ha dimenticato una eminente figura socialista della lotta per l’indipendenza: Chandra Bose. Stefano Fabei, che ha recentemente pubblicato alcuni studi sul sostegno dato dal fascismo italiano alla lotta araba contro il colonialismo sionista, si occupa di Chandra Bose e la lotta per l’indipendenza dell’India. Per quanto limitato, il sostegno che Bose ricevette da Berlino e da Roma rappresenta un capitolo del rapporto intercorso tra l’Europa e il subcontinente indiano. Bose non fu un semplice strumento dell’Asse, ma, si può dire, integrò in un quadro tipicamente indiano le ispirazioni che gli provenivano dalle esperienze europee. Il suo sistema politico del Samayavada, che significa anche “sintesi”, cercava di conciliare gli aspetti positivi del comunismo e del fascismo. Essendo innanzitutto un combattente dell’indipendenza indiana, Bose può essere considerato un esempio della multiforme lotta eurasiatica per la libertà, al di là delle limitazioni connesse al piccolo nazionalismo.

 

            In questo numero di “Eurasia”, la situazione geopolitica di oggi si trova riflessa in alcuni articoli dovuti per lo più ad autori indiani, sicché possiamo avere un’idea delle considerazioni strategiche dell’élite politico-militare indiana. Ciò vale in particolare per l’articolo (Chiaroveggenza geopolitica)  di un militare indiano in pensione, il generale Vinod Saighal, che è anche membro della US Federation of Scientists and Scholars. Questo articolo è apparso inizialmente sulla rivista “World Affairs”, come d’altronde quello di Come Carpentier de Gourdon (L’India come chiave di volta della comunità asiatica), che ci dà una più equilibrata panoramica della situazione geopolitica dell’India e dei paesi vicini.

 

            Un altro articolo scritto da un militare indiano, l’ammiraglio Vishnu Bhagwat, è Geopolitica dell’Asia centro-occidentale e meridionale. Il declinante peso del potere militare. L’articolo mette a fuoco le sfide dei militari indiani, costituite per esempio dalla continua occupazione indiana del Kashmir, la cui legittimità non viene naturalmente presa in esame dall’autore.

 

            Una posizione più indipendente è quella espressa nell’articolo (Mosse strategiche attraverso l’Eurasia) dell’ex ambasciatore indiano K. Gajendra Singh, i cui articoli in “Asia Times” sono sempre interessanti e istruttivi. L’autore abbozza la strategia americana nell’Asia centrale, così come essa è rappresentata dalle “rivoluzioni colorate” e dalla costruzione di basi militari. Tutti concordano nel riconoscere una grande importanza al futuro sviluppo delle relazioni asiatiche dell’India, la quale ha lo statuto di osservatore su una scacchiera che vede l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai protagonista di un’azione controegemonica.

 

            La dichiarazione rilasciata nel luglio 2005 dai capi degli Stati membri dell’Organizzazione (Russia, Cina, Cazachistan, Chirghisia, Tagikistan, Uzbechistan) si trova nella sezione Documenti di questo stesso fascicolo di “Eurasia”. Oltre alle questioni politiche ed economiche, tale dichiarazione affronta il tema della diversità delle culture.

 

            Un’altra dichiarazione contenuta nella medesima sezione, il documento dei primi ministri cinese e indiano, viene discusso nell’articolo (Le relazioni sino-indiane) di Isabelle Saint-Mézard, del Centro per gli Studi Asiatici di Hongkong.  Dopo aver preso in considerazione le questioni di confine, le dinamiche economiche e la modernizzazione militare dei due paesi, l’autrice arriva ad affrontare la questione del terzo attore: gli Stati Uniti d’America. Secondo l’autrice, “il nascente triangolo strategico tra l’India, la Cina e gli Stati Uniti obbedisce a una logica obbedisce a una logica essenzialmente virtuosa, soprattutto per New Delhi, che, destreggiandosi abilmente tra le due grandi capitali,, ha beneficiato simultaneamente dei loro favori.

 

            Infine mi sia concesso menzionare il mio personale contributo (Martin A. Schwarz, Da Gengis Khan all’ideocrazia: la visione eurasiatica di Nikolaj S. Trubeckoj), in cui il punto di vista eurasiatista storico viene presentato attraverso la figura di Nikolaj S. Trubeckoj, i cui scritti storico-politici sono stati meritoriamente ripubblicati dall’Accademia Austriaca delle Scienze. Come Chandra Bose, così anche Trubeckoj trova nella propria elaborazione ideologica alcune analogie col fascismo e col bolscevismo, le dottrine del suo tempo, però ne supera i difetti: le limitazioni nazionalistiche e l’idolatria della lotta di classe. Se Cina e India non scelgono di percorrere la via dell’occidentalizzazione totale, dovranno trovare un modello analogo e abbandonare lo sciovinismo etnico e l’estremismo religioso. La via è ancora aperta e, se per quanto concerne l’India non nutro lo stesso ottimismo di altri, spero proprio che il futuro mi dia torto.