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Usa, isolati senza condanna

di mazzetta - 21/07/2011


 





Millesettecento detenuti americani in isolamento sono scesi in sciopero della fame, per protestare contro l'applicazione di una pena accessoria non prevista dai codici, ma somministrata con generosità dalle amministrazioni carcerarie, spesso private. Isolamento non vuol solo dire essere separati dagli altri detenuti e privati del contatto umano come delle comunicazioni con l'esterno, ma anche essere privati delle letture, delle foto dei propri cari e di qualunque cosa ecceda l'abbigliamento regolamentare e la dotazione delle celle.

Grazie alla natura amministrativa del provvedimento non sono ammessi ricorsi e così, quella che in teoria dovrebbe essere una procedura adottabile nel caso estremo di detenuti ingovernabili, diviene una pratica come un'altra; a volte usata per evitare problemi a prescindere nel caso di detenuti che non danno garanzia di tranquillità, altre volte usata come vera e propria forma di tortura per ottenere informazioni su complici o delitti. Niente di tutto ciò è legale, contravvenendo la convenzione sui diritti umani che pure gli Stati Uniti hanno firmato, ma questo è da tempo il livello della giustizia americana, ormai inquinata dall'ombra di Guantanamo e dall'abuso di trattamenti che vanno oltre la semplice detenzione.

L'esempio di Bradley Manning è l'icona del sistema giudiziario americano. Pur accusato di reati gravissimi contro lo Stato, non potrebbe essere sottoposto ad altro trattamento che la detenzione. Subisce invece da mesi l'isolamento più completo ed è anche stato costretto a rimanere a lungo nudo in cella.

Una pratica che non risponde a nessuna esigenza legittima, se non a quella di torturare il prigioniero perché abbandoni ogni resistenza e confessi o ammetta responsabilità che gli stessi inquirenti non sono stati in grado di provare e che quindi si fonda solo sulle convinzioni degli investigatori-aguzzini, che altrimenti non avrebbero bisogno di torturare i prigionieri. Un bel ritorno a Torquemada, tanto più che è scientificamente dimostrato che le torture non aiutano le confessioni, e che una dichiarazione rilasciata sotto tortura è sempre molto meno attendibile di una ottenuta con le procedure in vigore nei paesi civili.

Non è un paradosso che nel sostenere l'efficacia di una tortura come il waterboarding, i servizi americani abbiano citato il caso del pericoloso terrorista sottoposto a centottanta sedute di questa tortura. Centottanta volte gli hanno fatto provare la sensazione dell'annegamento, centottanta volte lo hanno fatto tossire, annaspare e ansimare prima di decidere che le sue dichiarazioni erano quelle che si attendeva chi conduceva l'interrogatorio.

Dall'uso in casi eccezionali, già mal tollerato dal diritto, si è ormai trasceso all'uso sistematico, con gravi danni alla salute dei detenuti, che è bene ricordare sono stati condannati solo alla privazione della libertà, non a essere sepolti fino a che non parlano o per comodità di chi gestisce il carcere.

Carceri che negli Stati Uniti sono spesso il regno incontrastato di chi ne ha la gestione, anche privati che alimentano una vera e propria macchina organizzata industrialmente per contenere la più grande popolazione carceraria del mondo occidentale.

Due milioni di americani sono dietro le sbarre, per fare un paragone con l'Italia sarebbe come se da noi fossero quattrocentomila e invece sono sessantamila per una capienza delle carceri di poco più della metà.

Inutile dire che a tale severità non corrisponde una riduzione della criminalità, molto più elevata che in paesi con una popolazione carceraria molto più piccola e trattata secondo standard più civili.

Ma per motivi simili anche le carceri italiane sono fuorilegge, contravvengono sia alla convenzione sui diritti dell'uomo mantenendo i detenuti in condizioni poco dignitose e pericolose per la salute, che alla legge dello Stato che fissa i criteri per l'abitabilità delle strutture carcerarie.

In primis il limite delle persone che possono contenere, che vale e viene fatto rispettare ad alberghi, cinema, centri commerciali e anche alle abitazioni private, ma che non sembra valere non per le carceri, dove di questa condizione non soffrono solo i “criminali”, ma anche gli addetti alla loro custodia, che sono a tutti gli effetti lavoratori che operano in condizione d'illegalità, a cominciare dalle leggi sulla sicurezza.

Dice il New Yor Times che “la povertà della nostra scienza criminologica” è testimoniata da come le amministrazioni hanno accolto lo sciopero della fame dei detenuti, catalogandolo come una minaccia e che, probabilmente, elimineranno la minaccia con la loro alimentazione forzata come a Guantanamo, in “una malvagia caricatura d'assistenza sanitaria”: un'altra violazione delle leggi internazionali che passa in cavalleria. Chiede l'editoriale di oggi del New Yor Times di osare quello che oggi è “l'impensabile” per l'America: trattare i detenuti come esseri umani.