Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Libia, C'è l'Italia fra gli sconfitti

Libia, C'è l'Italia fra gli sconfitti

di Daniela Preziosi - 23/08/2011




Berlusconi tenta di darsi un ruolo: «Presto incontrerò Jibril, Muhammar se ne vada e eviti altre sofferenze al proprio popolo». Il governo punta a fare del 'nostro' esule Jalloud l'uomo della transizione. Per avere qualche briciola dal tavolo degli alleati

L'Italia sta con gli insorti, li esorta a non consumare vendette e chiede «al Colonnello Gheddafi di porre fine a ogni inutile resistenza e di risparmiare, in questo modo, al suo popolo ulteriori sofferenze». Sono forse le prime parole di buon senso che Silvio Berlusconi dice sulla Libia, annunciando un prossimo incontro in Italia. Mahmud Jibril, il primo ministro del Consiglio Nazionale Transitorio libico, che ha sentito ieri al telefono. Il premier del baciamano al Raìs - era solo marzo dell'anno scorso - che subito dopo scende in guerra contro la Libia non solo non è fra i «fantastic four» osannati dai ribelli libici (Obama, Sarkozy, Cameron e Susan Rice). Al contrario, è solidamente piazzato fra i perdenti, subito dopo il Raìs stesso, nel cui ritorno infatti ha sperato oltre ogni ragionevole limite.

Ora tutto l'esecutivo si sbraccia in complimenti alle forze che espugnano Tripoli. E in certificazioni un po' troppo anticipate sulla fine del regime, come fa il ministro degli Esteri Frattini. Nella speranza che dopo la spartizione del bottino di guerra fra gli alleati vincenti (Francia, Inghilterra e Usa, appunto) qualche briciola resti anche per l'Italia. Ma c'è poca speranza per le 130 imprese italiane oggi fuori dalla Libia che grazie al Trattato del 2009 stavano investendo in Libia 60 milioni di dollari: Eni, Enel, Snam, Impregilo, Iveco (Fiat), Telecom, Techint, per citare solo i più famosi. Ora il governo tenta di tenersele buone promettendo risarcimenti, come ha fatto ieri il ministro Romani dal Meeting di Rimini, dove sono ospiti (paganti, con pesanti oboli alla kermesse ciellina) praticamente tutti gli ad delle aziende 'libiche'. Secondo il ministro «con il nuovo governo libico manterremo la parte che abbiamo sempre avuto». «Illusioni», replica il presidente della Camera di commercio ItalAfrica, Alfredo Cestari. «Le aziende italiane che erano regine e protagoniste in Libia dovranno faticare molto per riconquistare le posizioni azzerate». I contratti sottoscritti con Gheddafi sono saltati - anche se il ministro La Russa prova a dire che quel trattato ora potrà essere tirato fuori dal congelatore, ammettendo così che non è stato mai stracciato - «il prossimo esecutivo libico - spiega Cestari - potrebbe avere difficoltà ad assecondare le esigenze dell'Italia per le pressioni degli altri Stati interventisti».

Se la politica non può ammettere che quella contro la Libia è una guerra coloniale, gli imprenditori lo dicono chiaro e tondo, amareggiati di non essere fra i nuovi colonialisti: «Questa silente competizione ha già fruttato molto in termini di 'preliminari di accordi' alla Francia. Sotto una mirata regia, forte di una virtuosa intesa tra indirizzi politico-militari ed economico-finanziari, Parigi in questi mesi ha guadagnato molto terreno dalla strategia dei bombardamenti a tutto vantaggio del proprio sistema economico», dice Cestari.

Alle aziende italiane imbufalite - calcolano un danno comprensivo del blocco import-export per 100 miliardi di euro - il governo balbetta qualche promessa. Per provare a sedersi al tavolo degli alleati vincenti, l'Italia berlusconiana, priva ormai di ruolo, punta tutto su Jalloud, l'ex collaboratore del regime gheddafiano ospite del nostro paese e che il governo vuole accreditare come miglior candidato a dirigere la transizione del post Gheddafi, quando sarà. «Il regime è finito e l'uscita di Jalloud è stata il colpo decisivo», declama il sottosegretario Mantica, regista dell'operazione. «Ora non bisognerà guardare molto per il sottile, l'importante è fare presto, creare un governo di transizione» e una personalità in grado di «fare una sintesi» potrebbe «essere Jalloud». Ma da Tripoli non arrivano segnali di interesse, per ora.

Così come viceversa da Roma non arrivano segnali di interesse verso il cammino della giustizia internazionale. «L'Italia e l'Europa devono imporre a chiunque custodisca i membri della famiglia Gheddafi destinatari del mandato d'arresto internazionale che questi vengano estradati immediatamente all'Aja perché possano essere interrogati dalla Corte Penale Internazionale», chiede il radicale Marco Perduca. Ma visti i rapporti con la politica italiana fino e oltre la missione militare, un interrogatorio di Gheddafi è tutt'altro che negli interessi del nostro governo.