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Un diverso modello economico per ricostruire il tessuto comunitario

di Eduardo Zarelli - 07/09/2011

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Si può cambiare la società facendo la spesa? Migliaia di famiglie ogni giorno scelgono di consumare in modo diverso, attento all'ambiente, al luogo e alla comunità. Comprano insieme, direttamente in azienda. Sostengono i piccoli produttori, riducono gli imballi, adottano il chilometro zero. Sono i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS). Un fenomeno italiano, che sovverte le leggi classiche dell'economia di mercato, oltre al cibo, inizia a far sentire la sua presenza anche in ambiti come quelli della telefonia e delle energie alternative. Anziché recarsi al supermercato o al centro commerciale, si organizzano per comprare frutta, verdura, formaggi, ma anche riso, pasta, carne, pollame direttamente dai produttori locali, privilegiando quelli biologici e di prossimità ovvero il più possibile vicino alla città di residenza. Solidale poiché, così facendo, saltano gli intermediari e consentono al piccolo coltivatore margini più ampi, anziché quelli risicatissimi offerti da grossisti e grande distribuzione. I membri dei G.a.s. non aquistano  più solo verdura, frutta, formaggi e pasta, ma anche scarpe, maglioni, camicie, felpe, indumenti per bambini, persino pannolini ecologici. Tutti rigorosamente italiani. Trattasi di famiglie che non comprano i prodotti col marchietto verde "bio", anche perché al supermercato non vanno mai; piuttosto si prendono la briga di andare a conoscere personalmente il produttore, che spesso abita a una manciata di chilometri da loro. Ne verificano la buona fede, i metodi di produzione e, se davvero soddisfatti, instaurano con lui un rapporto fiduciario, mutualmente vantaggioso.
Difficile ignorare 50-70mile famiglie (pari ad almeno 200mila persone), che fanno la spesa al di fuori dei circuiti commerciali tradizionali, che hanno deciso di dare una forte impronta etica ed ecologica ai propri consumi e al proprio stile di vita. E’ come se nel Paese si fosse formata una nuova consapevolezza, che spinge i cittadini a premiare i produttori locali e al contempo un consumo giustamente critico, esigente, rispettoso della natura. Mercato ed ecologia, famiglia e innovazione, un Italia un po’ conservatrice e un po’ progressista o forse né di destra né di sinistra. Semplicemente, un’altra Italia, sorprendente e positiva che come ci informa in una bella inchiesta Marcello Foa su Il Giornale, contagia anche i produttori che creano consorzi d'acquisto per le materie di trasformazione, mentre altre aziende, pur non essendo in difficoltà, trovano nei G.a.s. lo stimolo e le risorse necessarie per ampliarsi e fare ricerca, come Officina Naturae, che propone detersivi biologici e ha appena ingrandito gli stabilimenti senza delocalizzare o come la Wellness innovation project che produceva poliuretano espanso e ora pannolini compostabili e biodegradabili. Aziende guidate da italiani, che qui assumono, qui producono, qui vendono, qui creano ricchezza. In decisa controtendenza rispetto alla globalizzazione.
Diverse persone trovano nella ricerca dei piccoli produttori della loro zona una soluzione positiva per tirarsi fuori dal circuito della grande distribuzione e ci si rende anche conto che il gruppo aiuta molto in questo processo, soprattutto per gli aspetti organizzativi e motivazionali. Il gruppo si occupa allora di ricercare nella zona piccoli produttori rispettosi dell'uomo e dell'ambiente, raccogliere gli ordini tra chi aderisce, acquistare i prodotti e distribuirli. La storia dei gruppi d'acquisto solidali in Italia inizia nel 1994 con la nascita del primo gruppo a Fidenza, quindi a Reggio Emilia e in seguito in diverse altre località. Nello stesso periodo si diffonde in Italia l'operazione Bilanci di Giustizia, lanciata a fine '93, che chiede alle famiglie di verificare sul bilancio famigliare l'incidenza delle loro modifiche allo stile di vita. Dove possibile, le famiglie si ritrovano in gruppo in cui affrontano temi di interesse comune e si organizzano per praticare comportamenti equi nella loro zona. Spesso i gruppi dei Bilanci di Giustizia praticano gli acquisti collettivi tra le loro attività. Nel 1996 viene pubblicata dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo - animato da Francesco Gesualdi - la Guida al Consumo Critico, con informazioni sul comportamento delle imprese più grandi per guidare la scelta del consumatore; l'ampio elenco di informazioni documentate sulle multinazionali accelera il senso di disagio verso il sistema economico e la ricerca di alternative. Nel 1997 nasce la rete dei gruppi d'acquisto, allo scopo di collegare tra loro i diversi gruppi, scambiare informazioni sui prodotti e sui produttori, e diffondere l'idea dei gruppi d'acquisto. Questa esperienza è ora nella fase di crescita che sopra indicavamo, sia per la creazione di nuovi gruppi che per la sua visibilità.
Ma se i Gruppi di Acquisto Solidale hanno la caratteristica di sviluppare un circuito di acquisto alternativo a un mercato principale c'è chi ritiene sia arrivato il momento di passare a una fase successiva. Cristiano Bottone della rete italiana per la "transizione" ritiene che il movimento dei G.a.s possa contaminare e trasformare il mercato “normale”, quello da cui fino ora si cercava di stare lontani, grazie ai Gruppi di Acquisto Sostenibili di Transizione. Sostenibili perché il concetto di sostenibilità non riguarda solo la “meccanica e il ciclo” delle risorse. La sostenibilità deve e non può che essere anche un fattore sociale e contenere in sé solidarietà, etica, trasparenza, equità. Tutto il processo di acquisto deve essere “sostenibile”, se per avere una zucchina biologica si consumano 6 litri di benzina il processo non sta funzionando.
Inoltre il GAST dovrebbe essere integrato in una più ampia iniziativa di transizione del sistema (ecco la contaminazione del mercato attuale). Il GAST dovrebbe operare perché prodotti sostenibili arrivino nei negozi normali. La logica dal produttore al consumatore può mostrare dei limiti. Parlando con gli agricoltori ci si rende conto che se oltre a coltivare questi devono gestire un canale di vendita, a un certo punto hanno bisogno di una strutturazione (che significa costi). Serve qualcuno che vada al Farm Market, che prepari i prodotti in un certo modo, servono tempo e soldi. Ciò che si pensa di risparmiare evitando il passaggio in negozio in realtà, nel migliore dei casi, si evita solo parzialmente. I negozi - d'altra parte - sono nati in epoca preindustriale e hanno un preciso senso logistico. Se ci si limitasse a un solo passaggio intermedio tra produttore e consumatore (cosa che in una logica di filiera corta è possibile) i costi rimarrebbero ragionevoli e aumenterebbe notevolmente l’efficienza del sistema. Così zucchine, pomodori e pere prodotti da fornitori diversi sarebbero reperibili comodamente presso un unico punto vendita. Se poi questo punto vendita fosse in grado di gestire consegne a domicilio ben organizzate, magari con un veicolo elettrico rifornito da un bell’impianto a energia rinnovabile, ci si approssimerebbe di fatto a una situazione di grande sostenibilità.
Ma la parola Transizione, nella sigla sta a indicare un certo tipo di sguardo complessivo di cui il GAST sarebbe portatore. La resilienza delle comunità locali dipende infatti dalla loro ridondanza "sistemica" e quindi il GAST dovrebbe operare per differenziare i sistemi di approvvigionamento alimentare sostenendo parallelamente alla “riforma” del mercato, la nascita di orti, fattorie sociali, foreste edibili permanenti, l’autoproduzione. Non è solo possibile, ma è assolutamente necessario assicurare l'aumento della prosperità anche in un quadro di stato stazionario della crescita. Per farlo occorre riuscire a disaccoppiare l'aumento della prosperità dal consumo di risorse naturali. Occorre allora che la prosperità sia misurata da strumenti più raffinati del PIL e dunque fondata sulla produzione di beni - pubblici e immateriali - ben diversi dai beni di consumo individuali su cui si fonda l'attuale modello economico consumista. Occorre un nuovo paradigma, che preveda l'evoluzione, ma non la crescita.
Una metanoia ha la necessità di persuadere l’indispensabilità del mutamento epocale sul piano generale, culturale e sociale, costruendo comunità locali reali, partecipate, dunque, responsabili, consapevoli del valore del mondo che le circonda. In tal senso, la smaterializzazione digitale e le potenzialità della rete coadiuvano una realtà di fatto ove ogni luogo si fa centro del mondo, in barba ad ogni banale accusa di “provincialismo”. Se il novecento ha portato al parossismo ideologico la volontà universalistica di ridurre le identità e il locale, paradossalmente oggi è proprio dalle identità locali e dalle realtà territoriali che si può interpretare l’universale e cogliere il profilo continentale degli equilibri multilaterali dei prossimi decenni. Nel locale può rifiorire la polis: una società capace di autoregolarsi, ove la democrazia consensuale e qualitativa responsabilizza ogni libero partecipante al bene comune, consapevole del delicato sistema naturale in cui si abita sia per il nutrimento fisico che dell’insieme di metafore dalle quali il nostro spirito trae sostanziale sostentamento. Comprendere i cicli della natura significa cominciare a comprendere se stessi, il radicamento interiore che ci lega a quell’universo di sensazioni che compone l’animo umano e ci rimanda simbolicamente alle armonie cosmiche.