Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La cloaca occidentale

La cloaca occidentale

di Fabio Falchi - 15/09/2011


La cloaca occidentale

Se qualcuno aveva dei dubbi per quanto concerne l’esistenza di moltitudini indignate, pronte all’assalto dell’impero “deterritorializzato” e “deterritorializzante”, dopo l’operazione di polizia internazionale in terra di Libia, non ne dovrebbe avere più, anche se le moltitudini indignate non sono affatto moltitudini, perlomeno in Libia, e pare che anziché assaltare l’impero , assaltino i nemici dell’impero. Si ammette però che l’impero non è l’impero del male e nemmeno è un vero impero. E che i cattivi sono anche tra i nemici dell’impero. Soprattutto sono quelli che non ripettano le regole dell’impero, di modo che, se non ci fosse un passato che si ostina a non passare, anche la lotta , democratica s’intende, delle moltitudini contro l’impero sarebbe più facile. Invece, i nostri indignati sono costretti a dare una mano ai liberatori per radere al suolo un Paese dopo l’altro e poter diffondere la buona novella dei diritti umani su tutta la terra. Questa è però l’altra faccia dell’impero. Quella buona.

Una certa confusione è quindi più che lecita. Tuttavia, ha voluto fare un po’ di chiarezza al riguardo una delle tante voci della coscienza del Bel Paese, ossia Adriano Sofri, ex leader degli indignati del Sessantotto, che sessanttottino non lo è più da decenni, ma indignato lo è ancora. Non tanto contro l’impero, quanto contro chi si ostina a difendere la “cosiddetta sovranità nazionale”. Scrive (La Repubblica 24 agosto 2011), infatti,il nostro tribuno della plebe, o meglio delle moltitudini che ” la protezione dei civili è diventata l´abbattimento del regime. La contraddizione è largamente inevitabile nel sistema di relazioni internazionali. Chi mira a sottrarvisi escludendo ogni intervento di forza fuori dai confini della cosiddetta sovranità nazionale rischia di farsi complice, attivo o per omissione, di crimini immani” . Sia chiaro però che il Nostro si lamenta che una vera polizia internazionale ancora non c’è: ” Il mondo aveva una dichiarazione universale dei diritti, e almeno in una sua parte (mancano perfino gli Stati Uniti) si è dotato di un Tribunale Internazionale. Non di una polizia capace di un´efficacia universale e anche solo larga”. Un peccato, veramente… In particolare, il fatto che gli Usa del TPI se ne infischino, esattamente come gli israeliani, è “irritante”. L’eccezione però conferma la regola. Del resto, i liberatori devono liberare, non “essere liberati”; e, in ogni caso, da chi dovrebbero essere liberati? Come immaginare una azione di polizia internazionale negli Usa? O in Israele?

 

Vero che si potrebbe pensare che denominare le azioni militari della Nato contro la Libia una “operazione di polizia interazionale” sia un’assurdità. Ma Sofri mette le mani avanti:” Non ho competenze militari e tecniche, ma il ritornello dell’esclusione di ogni ‘azione di terra’ è un feticcio ingiustificato, e anche odioso”. Quel che conta allora è abbattere “il regime”; non solo in Libia ma pure in Siria – la “cosiddetta sovranità nazionale” , vale solo per gli Usa, Israele & C. Perbacco, l’impero è l’impero!

Ci si deve invece preoccupare di ben altro secondo il Nostro, che si chiede : ” Perché in Libia sì e in Siria sì, e nella Cina del Tibet o degli Uiguri no? Perché la forza possiede ferocemente il mondo, ed è già molto riuscire a limarle le unghie, e strapparle il nome di diritto. La polizia internazionale costretta a usare i mezzi spropositati della guerra piuttosto che quelli proporzionati alla legge e al fine, e che deve fermarsi davanti a un criminale troppo potente, ha un solo esito, prima o poi: la guerra mondiale”. Insomma, se l’impero fa centinaia di migliaia di morti civili, se mente, mistifica, manipola, rapina, invade, bombarda , massacra e distrugge è pur sempre l’impero dei liberatori. Sicché, chi condanna la “polizia” dell’impero, si rende complice di crimini ben più gravi. Se poi, si sostiene che in Occidente l’uso della violenza fisica è controproducente e che l’uso legittimo della forza è, come insegna Niklas Luhmann, simile all’uso della riserva aurea – tanto che la violenza morale e quella sociale si rivelano essere mezzi coercitivi assai più efficaci e (a medio-lungo termine) assai più perniciosi del “vecchio bastone” , ché quest’ultimo lo si poteva pure usare contro i “bastonatori”, mentre, tranne casi eccezionali, ha ben poco senso usarlo contro un “Apparato” – allora il Nostro ammonisce: “La ribellione è avvenuta, e … la gente che grida: ‘We are freedom’, non sa bene l´inglese [davvero imperdonabile...], ma sa che cosa spera. Ho visto dei consuntivi che assegnano la liberazione della Libia per il 70 per cento alla Nato, per il 20 ai ribelli, per il 10 alla defezione della cerchia del capo. ‘Siamo liberi’, abbiamo gridato da noi nel 1861, o nel 1945: la percentuale straniera era stata molto forte, ma furono belle giornate”.

Che il paragone storico sia alquanto zoppicante poco importa .Qui conta la parola libertà o meglio – in inglese è tutto un altro andazzo – “freedom”. Sì, perché c’è il sospetto che ai liberatori non solo non importi un fico secco della libertà dei libici, ma che non importi nulla neanche della nostra sovranità, cioè della nostra indipendenza e di conseguenza della nostra libertà. E i liberatori non “con-vincono” perché la libertà imposta con le armi o la guerra umanitaria sono l’opposto di quel che vorebbero significare e questi ossimori non si cancellano con la parola libertà né con nessun’altra parola. A patto che la libertà che si vuol difendere non sia quella dei gangsters, oppure, se si vuole rimanere solo sul piano internazionale (anche se , con l’aria che tira in Occidente, chiedere di “rimettere i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nosti debitori” sembra essere non una preghiera ma un atto rivoluzionario), quella dell’imposizione armata del “mercato americano”.

Pertanto, vien da domandarsi: oggi la Libia , domani forse la Siria e poi ? Eppure qualcuno lo aveva scritto: “Ieri l’Iraq, oggi la Serbia, sono gli ostacoli verso il petrolio e l’Eurasia. I Paesi che non accettano il libersimo vanno combattuti. E’stato facile operare un primo spezettamento della Russia e dell’Europa dell’est. I Balcani si sono mostrati più ostici e subito è stata guerra armata e non solo economica. Ma tutto sarà sempre più difficile. Il libersimo avrà sempre più bisogno di guerre ‘democratiche’ per imporsi. Ma i metodi sono quelli del vecchio colonialismo, il divide et impera manu militari” (La Serbia, la guerra e l’Europa, a cura di N. Stipčević, Jaca Book, Milano, 1999, p. 9).

Parole assai differenti da quelle di un Negri o di un Sofri, indubbiamente diversi l’uno dall’altro, ma entrambi così affascinati dalla potenza (e dalla ricchezza) dell’impero da non accorgersi che si è in presenza di una specie di sineddoche. Vale a dire che si dice il tutto, “impero”, al posto della parte, “cloaca maxima”. Perciò non si dovrebbero stupire né Negri, né Sofri né quelli che la pensano come loro sulla sovranità nazionale o sulla polizia internazionale, che vi sia ancora chi, alla “libertà di galleggiare” nella cloaca occidentale, preferisca quella di non finirci dentro.