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Bisanzio? È Sparta

di Alessandra Colla - 19/09/2011

Fonte: alessandracolla

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Insomma ce l’hanno fatta. Da oggi, tanto per cominciare, l’IVA aumenta di un punto percentuale. Ho cercato di spiegare la cosa a mio figlio, più che altro per indurlo a frenare le sue esorbitanti richieste di preadolescente ignaro di meccanismi economici. Mi ha stoppato subito: «Ma come?!? C’è la crisi, la gente non ce la fa più e il governo invece di abbassare i prezzi alza le tasse?!?». Ora, mio figlio ha undici anni e mezzo e non è Keynes redivivo — però non è né scemo né in malafede. Di fronte al mio silenzio, è ritornato il ragazzino che è e si è messo a ipotizzare incursioni in stile Dragon Ball: «Gli mando Goku a Palazzo Chigi e gli faccio vedere io».

Il punto è che la creatura non ha mica tutti i torti. E il motivo principale per cui sono state varate misure così punitive per i cittadini è che  lorsignori al governo non hanno la minima intenzione di rinunciare a nessuno dei loro innumerevoli ingiusti e immeritati privilegi, preferendo che siano in molti a pagare i lussi di pochi. Ma il regime in cui a fare il bello e il cattivo tempo sono i pochi, alla faccia e sulla pelle dei molti, si chiama oligarchia, ed è un male antico:

«[...] Dacché la repubblica ha messo nelle mani di quelli ogni diritto ed ogni comando, ad essi obediscono i re, ad essi appartiene il pubblico denaro. I principi , i popoli sono lor tributari; colla feccia popolare van confusi gli onesti e coraggiosi cittadini tanto dell’ordine patrizio che del plebeo: privi di credito e di autorità , van soggetti ai capricci di coloro i quali tremerebbero davanti a noi se veramente sussistesse la repubblica. Il potere, gli onori, le dovizie, tutto è loro, solo sono nostri i pericoli, gli affronti, i supplizi. E sino a quando soffriremo, prodi amici, cotanta indegnità? Non è meglio morir con coraggio che languir lungamente fatti ludibrio e vittime del loro orgoglio, e terminare una vita inonorata, infelice? Ma la vittoria è in nostre mani , vel giuro, e chiamo in testimonio gli Dei e gli uomini. Siamo noi nel vigore degli anni e della mente: i nostri nemici sono sfiniti dall’età, snervati dalla opulenza. Sol che osiamo assalirli li vedremo cader quasi da loro. Chi potrà tollerare tanto lusso in quei tracotanti? Colmano essi la marina per fabbricarvi, spianano le montagne, occupano tutta Roma d’ immensi palagi, tutto il mondo contribuisce ai loro stravizi, ad esaurire le loro ricchezze non basta l’eccesso di tanta prodigalità: e noi? noi non abbiamo neppure il necessario alla vita, appena ci vien lasciato un angusto focolare. Ci divora la miseria, ci perseguitano i creditori, orribile è il nostro stato presente, sarà più terribile quello avvenire: qual altro bene ci resta se non una vita miserabile e da disperati? E quando dunque vi scuoterete?

Così Lucio Sergio Catilina, duemila e spiccioli anni fa. Non credo sia esattamente questo che s’intende parlando di “eterno ritorno”, ma è fuor di dubbio che il frangente in cui ci troviamo sia molto simile a quello di allora.

L’unica cosa che mi impedisce di sprofondare nella disperazione è la serena consapevolezza di non aver mai contribuito, neppure per un momento, neppure per sbaglio o per distrazione, all’edificazione e al mantenimento di questo sistema di governo. Contro il quale, anzi, mi batto da sempre. Come tutti, posso aver fatto anch’io cose di cui non andare particolarmente fiera (almeno col senno di poi): ma di sicuro nessuno potrà mai imputarmi ignavia o acquiescenza nei confronti di Berlusconi e del berlusconismo.

L’uomo può anche dimettersi e sparire dal panorama politico italiano: ma resta la sua visione del mondo, resta il suo approccio alla politica come mezzo per un bene personale e non come fine per il bene comune, resta la sua convinzione che tutto abbia un prezzo e niente un valore.

Ormai sono state plasmate su questo discutibile modello intere generazioni: e ne ho avuto la riprova l’altro giorno, quando, parlando con un giovanotto di belle speranze e genuino interesse per la politica, nel commentare l’infelice apprezzamento del premier nei confronti della cancelliera tedesca Angela Merkel il giovanotto se n’è uscito “be’, ha ragione”. Ora, se non si riesce a far capire alla gente che il problema non è quello che uno dice, ma il contesto in cui lo dice; che un presidente del consiglio dovrebbe evitare nel modo più assoluto di dire o fare qualunque cosa che possa essere fonte di imbarazzo diplomatico; e che il considerare una persona di sesso femminile soltanto come una somma di pezzi di carne da apprezzare volumetricamente non fa guadagnare punti a nessuno al di fuori del bar Sport — se tutte queste cose non fanno più parte dell’innata sensibilità popolare, siamo messi maluccio.

A scusante del giovanotto dirò che è, appunto, giovane. Il che rende comprensibile il suo commento, ma non lo giustifica. Il viceministro Castelli, invece, non ha neppure l’attenuante dell’età: la sua dichiarazione di povertà in diretta gli ha fruttato, giustamente, sequele di insulti. In altri tempi, probabilmente, quando il nome santo di anarchia evocava cose serie, qualcuno avrebbe già affilato lame o lubrificato carrelli. E la leggenda — non dimentichiamolo — vuole che a Maria Antonietta sia bastato suggerire al popolo di mangiare brioches in mancanza del pane per scatenare quel po’ po’ di rivoluzione.

Il problema grosso è che noi, in Italia, non siamo forti in rivoluzioni. Lo scempio che la “casta” — questo cancro trasversale che divora il paese da anni — è riuscita a fare (e ancora fa) nella pressoché generale indifferenza di masse rassegnate, paghe di lustrini e volgarità, è un delitto che meriterebbe ben altro che la povera indignazione di pochi onesti. Anche nell’ipotesi di un rovesciamento di regime (uso quest’espressione forte), assisteremmo davvero alla buona pratica dell’epurazione? Senza bisogno di pensare a patiboli e forche (che pure hanno un loro fascino cupo e pedagogico), occorre farsi una ragione della necessità di estirpare la mala pianta con tutte le radici. Fuor di metafora, una volta andati via Berlusconi e i suoi alleati sarà indispensabile togliere di mezzo, politicamente parlando, tutti i pagliacci, le ballerine e i lenoni che l’uomo di Arcore e la sua claque si sono portati dietro o hanno legittimato.

Il guaio è che questa turpe corte dei miracoli può contare, incredibilmente, su una base massiccia di sostenitori: come diceva Hannah Arendt, «il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più». Oggi nazismo e comunismo sono flatus vocis (e credere o far credere il contrario è soltanto un altro triste escamotage per tenersi stretto un po’ di potere da mezzadri), ma l’intuizione di base della Arendt è sempre valida: e tutti quelli che continuano, per ignoranza o malafede, per cecità o dolo, a difendere l’indifendibile sono e devono essere considerati complici a tutti gli effetti. Devono assumersi la responsabilità e pagarne le conseguenze — o essere obbligati a farlo. Non è facile: ci sono di mezzo concetti come l’etica, la dignità, la coscienza civile. Oggi si preferisce anteporvi la privacy e il business, e troppo spesso “onore” è solo una bella parola da slogan o da canzone.

Un paio di settimane fa ne parlavo con un amico: al mio commento «mi sa che a Bisanzio stavano meglio» si è messo a ridere e mi ha risposto «Bisanzio?!? Bisanzio è Sparta!». Ecco. Bisanzio è Sparta. La proporzione fatela voi.