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Si, la rete è sicuramente l’alternativa

di Massimo Fini - Philip Di Salvo - 19/09/2011

Fonte: it.ejo.ch

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Nella cornice della rassegna letteraria Parolario, dove ha presentato il suo libro “Mullah Omar”, abbiamo chiesto a Massimo Fini che cosa ne pensa dello stato di salute del giornalismo in Italia.

Lo scorso aprile una giornalista di Libero, una deputata PDL e alcuni rappresentanti di associazioni hanno annunciato di intraprendere le vie legali contro la sua biografia sul leader dei talebani, Mullah Omar. Nel 2003 il suo programma tv Cyrano per il servizio pubblico viene improvvisamente bloccato per “veto politico aziendale”, come verrà poi serenamente ammesso dai vertici Rai. Massimo Fini è una delle firme e delle menti più spigolose del giornalismo italiano. Apertamente antisistemico, polemicamente non allineato e strenuo antimodernista in quarant’anni di carriera Fini ha preso parte ad alcune fondamentali esperienze della stampa italiana. Oggi Scrive per Il Fatto Quotidiano, Il Gazzettino e La Voce del Ribelle, mensile in abbonamento da lui ideato. Come saggista ha scritto Il vizio oscuro dell’Occidente, Sudditi e Il conformista.

Qualche mese fa l’ Osservatorio Europeo di giornalismo ha ospitato un dibattito con Gad Lerner e Marcello Veneziani in cui ci si chiedeva se oggi “vince il giornalismo d’opinione”. Una testata con cui lei collabora come Il Fatto Quotidiano con una linea editoriale forte ha ottenuto recentemente una visibilità ragguardevole. È d’accordo con questa analisi?

“Solo in parte, nel senso che la stragrande maggioranza del giornalismo in Italia è schierata o con la banda berluscones o con l’altra. Il Fatto è effettivamente una novità che mi ricorda l’Indipendente degli anni ‘70. Anche lui è schierato ma non è legato a un partito o a una congrega di partiti. Il Fatto è un’eccezione. La normalità è questo schierarsi apertamente da una parte o dall’altra. Il giornalista dovrebbe essere critico a 360 gradi per non diventare un agit-prop”.

Prendendo spunto da un suo articolo uscito sul Gazzettino lo scorso giugno in relazione all’attenzione riservata alle vittorie di Pisapia e De Magistris che avevano oscurato la notizia di un raid Nato responsabile di vittime civili in Afghanistan, si potrebbe affermare che persista in Italia una tendenza nel sottovalutare gli avvenimenti di politica estera.

“Ovviamente. Se si apre ad esempio il Corriere Della Sera, non solo in situazioni particolari come questa, ci sono 12 o 13 pagine dedicate alla politica interna. Ma una politica interna che non si capisce bene cosa sia perchè ci dicono cosa ha mangiato Berlusconi piuttosto che Bersani. Se si leggono i giornali francesi, al contrario, si può leggere che cosa effettivamente è stato fatto dal Primo Ministro o dal capo dell’opposizione. Da noi invece il segnale che si percepisce è che gli interessi stiano nella politica di bottega”.

Ciò che sembra mancare agli organi di informazione italiani è spesso una visione sistemica sui fatti del mondo che invece come nel caso della biografia sul Mullah Omar, ha sempre caratterizzato i suoi libri. Il nuovo tg di Mentana su La7, ad esempio, fatti salvi gli eventi fondamentali di cui non può non parlare, è quasi esclusivamente dedicato alla politica italiana.

“Sostanzialmente non sono interessati, o lo sono poco, per le ragioni che citavo prima. L’interesse vero in Italia è il potere. Per questo motivo anche fatti molto importanti che in realtà potrebbero avere un rilievo forte anche su di noi vengono sottovalutate o addirittura ignorate. Non è stato sempre così. Per esempio ho lavorato in un grande giornale, L’Europeo, che si occupava molto di fatti italiani, anche se in modo diverso. Ci interessavamo di piccoli fatti di provincia e con una grande lente ne facevamo un fatto nazionale. Ci occupavamo della società, del mondo, della realtà. La realtà non è solo quella politica. E l’Europeo si occupava molto anche di esteri. All’epoca era anche più semplice, naturalmente. Mi vengono in mente i reportage di viaggi di avventura del mio collega Ongaro, all’epoca avevano un senso diverso. Ora che tutti viaggiano, forse meno. La differenza è che allora i partiti non avevano ancora messo le mani sui giornali, né i giornali si erano così immiseriti da essere agit-prop dei partiti. Il mio direttore all’Europeo non voleva, a parte la redazione romana, che avessimo contatti con i politici. Proprio per evitare un’influenza, perché a furia di guardare il mostro finisci per assomigliargli”.

La rete può essere una riposta a questo meccanismo? Lei è presente online da molto tempo con un suo sito, cura un blog.

“Sì, la rete è sicuramente l’alternativa. I ragazzi non leggono i giornali, ma vanno online. Naturalmente Internet ha un limite. Prendendo la cosa più semplice, Wikipedia, ognuno può aggiungere qualsiasi cosa a una pagina, senza verifica. Il problema della rete rimane la non verificabilità. Ma visto che la situazione generale è questa, ben venga Internet. Pur essendo un antimodernista, uso chiaramente Internet e il mio giornale, La Voce del Ribelle, esce anche sul web”.

La Voce del Ribelle, invece, come sta andando?

“Male in questo momento. Siamo una testata che vive di abbonamenti. La formula è interessante ma non abbiamo possibilità di farci pubblicità. La rivista non è ideologica, cerca di fare il giornale. Nell’ultimo numero, ad esempio, avevamo una bellissima intervista a Battiato e diverse inchieste. Non siamo riusciti ad andare nelle librerie, escluse le cinque dove siamo distribuiti e il giornale va sempre esaurito. Pareggiamo con 2800 abbonati e quest’anno siamo scesi a 2300. Stiamo decidendo proprio in questi giorni cosa fare, se andare, anche se io non vorrei, perchè mi dispiacerebbe per i ragazzi che ci hanno lavorato, solo online. Perchè la carta comunque rimane e il giornale è fatto piuttosto bene”.

Invece come giudica l’attuale situazione della Rai alla luce della fuga attuale verso il terzo polo?

“Il problema è un problema di sistema che avrebbe dovuto essere messo a posto tempo fa. C’é un oligopolio Rai e Mediaset che ora si sta incrinando. In realtà la cosa doveva essere risolta da tempo con un disarmo bilaterale: una rete, come la BBC inglese, che dipende dal governo e che ha il diritto di fare una politica culturale di un certo tipo, una rete Mediaset e le altre messe sul mercato a disposizione di soggetti diversi. Questa è la cosa elementare che andava fatta, ma interessava poco ai partiti, poco a Berlusconi e addirittura in un certo momento si era arrivati a una situazione di quasi monopolio perchè Berlusconi, non facendo nulla di diverso da quello che era stato fatto dagli altri, una volta a capo del governo, controllava altre due reti. La situazione è anomala da sempre e questa classe dirigente non la affronterà mai. Non si muoveranno mai dalle loro posizioni, non c’è una forza politica interessata, nemmeno la Lega, entrata in politica con l’idea di spazzare via questa situazione, è ora perfettamente rientrata nel sistema”.

Cosa può dirci invece sulla sua biografia sul Mullah Omar che ha causato scompiglio nella stampa italiana.

“Una giornalista, Maria Giovanna Maglie e una deputata del PDL (Souad Sbai, ndr) e altri hanno addirittura detto che ne avrebbero chiesto il sequestro. In realtà io non ho ricevuto nulla. Loro sostenevano che insultassi l’Occidente, cosa che a me non sembra di fare e che non mi sembra un reato. E poi che ero un terrorista. Non avevano letto il libro e lo si capisce da alcuni particolari. In realtà mi hanno fatto pubblicità. Questo fatto è segno di un’intolleranza che c’è verso un pensiero eterodosso che non è detto sia giusto, per carità, ma che però è diverso. Negli anni cui facevo riferimento c’erano i cosiddetti “bastian contrari”, Bocca è stato uno di questi, Montanelli lo è stato, Pasolini certamente. Era gente che sosteneva cose vagamente laterali rispetto alla comunis opinio. Io stesso sul Giorno di Zucconi, siamo negli anni ‘80, e Il Giorno era il giornale dell’Eni, avevo una rubrica in cui potevo sostenere le cose più pazzesche. Mi ricordo quanto evocai provocatoriamente la scelta fatta in Turchia dal generale Evren che aveva sospeso tutti i partiti per poi riaprirli cinque anni dopo. Zucconi usava questa rubrica in modo molto intelligente. Teneva presenti un paio di punti di riferimento e per il resto ci lasciava il più ampio margine. E quando gli dicevano “tu sei troppo prono ai partiti” lui rispondeva “ma guardate cosa scrive Fini!”. Quando aveva delle grane per quello che scrivevo diceva “lui è un pazzo, ha una rubrica sua”. Erano delle forme un po’ paracule ma in realtà potevamo scrivere quello volevamo. Cosa che adesso che non esiste più”.