Siamo uomini o numeri?
di Alessio Mannino - 21/12/2011
Fonte: alessiomannino
L’intervista sul Corriere di ieri del ministro del welfare Elsa Fornero (qui)  è agghiacciante. Le sua lacrime si sono rivelate quel che erano e sono:  lo sfogo di una tecnocrate intenta a distruggere la vita, le speranze e  i sacrifici di milioni di italiani con la buona fede del boia. 
A  parte i vari punti tecnici su particolari categorie e calcoli  ragionieristici, questa Thatcher in sedicesimo  sostiene cinque tesi  fondamentali. 1)«la pensione si commisura alla speranza di vita».  Innalzare la soglia del pensionamento segue le statistiche e non  l’esistenza concreta degli individui. Paradossalmente, se l’aspettativa  di vita dovesse crescere ancora, in teoria si dovrebbe accedere alla  pensione a 75, 80, 90 anni. Naturalmente – e fortunatamente – la scienza  medica non è arrivata né arriverà a garantire tanto. La questione è  un’altra: con gli acciacchi e le malattie della vecchiaia, i soldi di  una pensione tendenzialmente sempre più posticipata serviranno  praticamente a pagare le spese di dottori e ospedali. E’ giusto, questo?  2) «Per funzionare ha bisogno di un sistema in crescita. Non ci  possiamo permettere la stagnazione e tantomeno la recessione. Il punto  è: il lavoro è ciò che ti dà la pensione. … vi stiamo chiedendo di  lavorare di più, perché questo vi premia». Il modello contributivo, che  era già stato introdotto e con questo governo diventa totalizzante, di  fatto aggancia la pensione a quanto uno ha lavorato e percepito lungo  l’intero arco della carriera. Con la flessibilità dei contratti, però,  il lavoro diventa un campo minato privo di certezze e lunghe durate.  Questo induce ad un affannosa ricerca di impieghi, anche sommati uno  sull’altro, pur di accumulare crediti pensionistici. Non è davvero più  vita, ma schiavitù legalizzata. Si vivrà per lavorare, e non viceversa.  3) «Se guardiamo alla curva delle retribuzioni, lo stipendio sale con  l'anzianità mentre in altri Paesi cresce con la produttività e quindi  fino all'età della maturità professionale ma poi scende nella fase  finale, perché il lavoratore anziano è di regola meno produttivo». La  Fornero pensa a bloccare prepensionamenti e assicurarsi che le aziende  tengano alle proprie dipendenze ultrassessantenni fino al 70mo anno di  età prefigurando una paga calante con l’anzianità. Sei vecchio ma la tua  esperienza e i tuo meriti non contano: devi sgobbare fino all’ultimo e  per di più con una retribuzione minore, perché così conviene alle  imprese e allo Stato. 4) «Io vedrei bene un contratto unico, che includa  le persone oggi escluse e che però forse non tuteli più al 100% il  solito segmento iperprotetto». La ministro, che almeno ha il pregio  della chiarezza, dice apertamente che l’operazione di maquillage che  prevede la riduzione della giungla di contratti atipici in una sola  forma contrattuale avverrà in cambio dell’abbattimento dell’ostacolo  noto come articolo 18. In poche parole, via libera al licenziamento  libero. Il lavoratore diventa definitivamente una variabile economica,  una merce da usare e buttare via quando non serve più ai profitti. 5)  «Non ce lo possiamo più permettere». Può essere presa come la  frase-manifesto, che racchiude la filosofia di questo esecutivo etero  diretto dalla Bce e dalle banche internazionali. Il bilancio dello  Stato, gli indicatori economici, il sistema pensionistico, il diritto e  la politica: non devono essere al nostro servizio, delle persone in  carne e ossa e della comunità concreta. Dobbiamo essere noi, dev’essere  la nostra vita a piegarsi alle esigenze contabili e finanziarie. I  numeri diventano i padroni assoluti dei bisogni, dei sogni, delle  fatiche della gente. I sentimenti, la storia, i progetti, il sangue e   il sudore non contano nulla, di fronte alla volontà sacra e  incontestabile del denaro. Viviamo in un incubo partorito dalla mente di  un economista.

