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Honduras, l’inferno in carcere

di Michele Paris - 19/02/2012

 
    


La strage avvenuta nella notte tra martedì e mercoledì in seguito all’esplosione di un incendio in un carcere dell’Honduras è la più grave tragedia avvenuta in una struttura detentiva nell’ultimo secolo. Secondo le autorità locali, il bilancio complessivo delle vittime nella prigione di Comayagua ammonta a 358 e i particolari della catastrofe evidenziano impietosamente non solo le pesanti carenze del sistema carcerario del paese centro-americano, ma anche le condizioni drammatiche in cui versa l’intera società honduregna, dove violenza, povertà e disuguaglianze sono all’ordine del giorno.

A scatenare l’incendio sembra essere stato un mozzicone di sigaretta finito su un materasso di una cella, secondo alcuni resoconti in maniera intenzionale, anche se le notizie diffuse successivamente hanno accennato a possibili altre cause, come un cortocircuito elettrico o una rivolta. Il fuoco è stato innescato attorno alle 22.50 di martedì sera ma i vigili del fuoco hanno potuto iniziare le operazioni di soccorso solo 40 minuti più tardi, cioè quando le fiamme erano ormai fuori controllo e si erano diffuse in molte celle facendo una vera e propria strage tra i detenuti bloccati al loro interno.

Appena diffusasi la notizia dell’incendio, centinaia di parenti dei detenuti si sono precipitati presso il penitenziario per conoscere la sorte dei loro cari. I familiari hanno cercato di fare irruzione nel carcere, abbattendo i cancelli d’ingresso e lanciando pietre contro le forze di sicurezza.

Ancora prima degli scontri, secondo quanto riportato dalla stampa honduregna, la polizia e l’esercito intervenuti a Comayagua avrebbero sparato colpi di avvertimento per tenere lontano i parenti dei carcerati. Nel caos che è seguito, il ministro della Sicurezza del governo centrale, Pompeyo Bonilla, è stato cacciato dopo che aveva invitato gli stessi parenti a mantenere la calma.

Le guardie carcerarie avrebbero infatti impedito ai vigili del fuoco di accedere all’interno della struttura per almeno mezz’ora, perché a loro dire le grida dei detenuti erano dovute ad una rivolta in corso.

Secondo la testimonianza di un detenuto scampato alle fiamme, la guardia responsabile delle chiavi delle celle ha lasciato l’edificio subito dopo l’esplosione dell’incendio. Quando le chiavi sono state successivamente recuperate dagli addetti all’infermeria del carcere, è stato possibile aprire solo alcune celle per evacuare i detenuti ancora vivi. Alcuni prigionieri, poi, sarebbero rimasti uccisi dalle forze di sicurezza mentre tentavano di fuggire per mettersi in salvo.

Il presidente dell’Honduras, Porfirio Lobo, in seguito ai fatti di Comayagua ha immediatamente riunito il Consiglio per la Sicurezza Nazionale, mentre ha annunciato la sospensione dei responsabili del carcere e l’apertura di un’indagine per fare chiarezza sull’accaduto.

La strage, tuttavia, deve giungere tutt’altro che inaspettata per le autorità del paese centro-americano, dal momento che è solo l’ultima di una serie di tragici avvenimenti che hanno colpito un sistema carcerario piagato da sovraffollamento, edifici fatiscenti e sistematiche violazioni dei diritti umani dei detenuti.

I precedenti più gravi in Honduras risalivano al 2003 e al 2004. Nel primo caso, in un penitenziario vicino alla città costiera di La Ceiba, persero la vita 68 prigionieri - tra cui 51 uccisi dalla polizia, dall’esercito e dalle guardie carcerarie - in seguito a violenti scontri tra gang rivali. L’anno successivo fu invece un incendio a fare 107 vittime tra i detenuti in una struttura fatiscente di San Pedro Sula.

Il sistema carcerario honduregno comprende 24 prigioni che ospitano quasi 13 mila detenuti a fronte di una capienza complessiva massima di 8 mila. Le due principali strutture del paese contano rispettivamente 2.800 e 2.100 prigionieri, mentre sono state costruite per ospitarne al massimo 1.800 e 550.

La prigione di Comayagua, situata a circa 80 km a nord-ovest della capitale, Tegucigalpa, ospitava 856 detenuti, di cui più della metà in attesa di giudizio. Secondo i dati ottenuti dalla Associated Press, questo edificio era stato progettato per 500 prigionieri. Durante le ore diurne, erano generalmente in servizio 51 guardie e appena 12 in quelle notturne, quando l’altro giorno è appunto scoppiato il devastante incendio. Il carcere, inoltre, pare non disponesse di strutture sanitarie adeguate e il suo budget ammonterebbe a meno di un dollaro al giorno per ogni detenuto. A Comayagua, infine, qualsiasi carcerato con un tatuaggio rischia di essere sottoposto alle durissime condizioni detentive previste dalla legge honduregna per gli affiliate alle gang.

La situazione delle carceri in Honduras è talmente grave che lo stesso governo nel 2010 dichiarò lo stato di emergenza in questo ambito, ammettendo anche che quasi la metà delle prigioni del paese non rispettava i requisiti minimi di sicurezza prescritti dalla legge.

Fotografando efficacemente le implicazioni della situazione carceraria honduregna, il responsabile per il continente americano di Human Rights Watch, José Manuel Vivanco, ha affermato che “questa tragedia è il risultato delle condizioni delle prigioni, le quali sono a loro volta il sintomo della più generale crisi della pubblica sicurezza nel paese”. A causa dell’elevatissimo tasso di violenza in Honduras, sostiene Vivanco, “ci sono enormi pressioni per incarcerare criminali veri o sospetti e, sfortunatamente, non c’è alcuno scrupolo per le condizioni dei detenuti”.

Inevitabilmente, così, le condizioni delle prigioni e dei loro ospiti risultano a dir poco drammatiche e sono la diretta conseguenza sia dell’aumento vertiginoso della criminalità in tutto il Centro-America che dell’emergenza sociale e della povertà dilagante che questi paesi si trovano a fronteggiare. L’Honduras, in particolare, è il secondo paese più povero del continente latino-americano, dopo Haiti e, secondo i dati dell’ONU, quello con il più elevato tasso di omicidi di tutto il pianeta: 82,1 per ogni 100 mila abitanti, contro una media mondiale di 6,9.

A far salire sensibilmente in questi anni il numero degli episodi di violenza è stato il diffondersi delle attività dei cartelli del narcotraffico che usano l’Honduras - così come altri paesi centro-americani - come via di transito per la droga diretta al mercato statunitense. L’altro evento che ha causato il peggioramento della situazione è stato poi il colpo di stato militare che nel giugno del 2009 ha rimosso il presidente democraticamente eletto, Manuel Zelaya.

Il golpe, tacitamente approvato da Washington, installò al potere dapprima il presidente ad interim Roberto Micheletti e, successivamente, nel pieno della repressione messa in atto contro gli oppositori, aprì la strada all’elezione del conservatore Porfirio Lobo alla guida del paese. Da quasi tre anni a questa parte, la precarietà della scena politica honduregna ha causato il dilagare della criminalità, così come centinaia di assassini di operai, contadini, giornalisti critici del regime golpista e sostenitori dell’ex presidente Zelaya, i cui responsabili, però, quasi mai sono stati chiamati a rendere conto delle loro azioni di fronte alla giustizia.