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Niente prediche allo Zar

di Massimo Mucchetti - 15/03/2012

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Il ritorno di Vladimir Putin alla presidenza della Russia ha suscitato diffuse critiche tra gli intellettuali dell'Occidente. Fa paura per la sua durata (Putin potrà ottenere anche un
quarto mandato e restare così al potere per 24 anni), per i tratti autoritari (dopo le elezioni sono stati fermati 500 dimostranti dell'opposizione) e per la mancanza di alternative (il secondo, staccatissimo partito è neocomunista). Ma i nostri maitre à penser hanno tutte le carte in regola per fare la predica al nuovo zar? Forse no. Le democrazie occidentali, specie le anglosassoni, hanno commesso gravi errori verso la Russia nei primi anni 90: i terribili anni di Boris Eltsin, quando la speranza di vita nell'ex Unione Sovietica diminuì
di 7 anni.
Furono gli Usa e il Fondo monetario internazionale a ispirare le radicali e subitanee privatizzazioni a tappeto. Con un tratto di penna le aziende statali vennero trasformate in società per azioni da spargere immediatamente tra cittadini ignari di che cosa fossero quei titoli. Fu in quegli anni che i più giovani e astuti burocrati del vecchio regime, finan-
ziati dalle banche inglesi e americane e dal crimine organizzato, rastrellarono le azioni a prezzi meno che vili. Così, in pochissimi anni, fiorì l'economia degli oligarchi. Nella City di Londra si parlò del più grande leveraged buyout della storia, l'acquisizione a debito più grande di sempre non per le somme pagate ma per la quantità di ricchezza reale che cambiò padrone: dallo Stato a un pugno di furbi associati a banche e multinazionali "democratiche". Mentre si consumava quell'immane rapina, gli Usa dispiegavano sistemi missilistici in Polonia dicendo che erano contro i dittatori arabi e sostenevano movimenti nazionalisti in Ucraina, come se la Russia non fosse più una grande potenza dalla storia millenaria
ma un Paese bambino da condurre per mano. Putin ha fermato la deriva interna e la mancanza di rispetto esterna. Gli oligarchi non sono scomparsi. Anzi. Ma obbediscono al Cremlino. E il Cremlino è tornato a contare. La speranza di vita è risalita un po' e la povertà assoluta dimezzata. Le (giuste) critiche a Putin sarebbero più credibili e aiutereb-
bero di più la politica russa, se fossero accompagnate da adeguate riflessioni sull'avidità e l'arroganza dell'Occidente. Che oggi, peraltro, va a Mosca a piatire il gas e a sperare che i rubli sostengano l'euro e il dollaro. Segno che nemmeno il nostro è un sistema esemplare come credevamo fosse nel 1991.