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La Nuova Frontiera Americana

di Gabriele Garibaldi - 12/07/2006

 
Stati Uniti: i progetti spaziali 


L’unica superpotenza è consapevole che lo spazio è la chiave della “Full Spectrum Dominance” e dell’evoluzione dei rapporti di forza nel 21° secolo. Il suo armamento è allo studio da tempo, con un occhio alla Cina. I propositi unipolaristi che caratterizzano l’attuale amministrazione statunitense -e prima di essa sono stati il filo rosso di tutte le amministrazioni degli anni ’90- discendono dalla fiducia nella capacità di impedire la nascita di un nuovo competitore strategico nella “finestra di opportunità” di 10-20 anni necessaria al ricostituirsi dell’equilibrio di potenza a livello sistemico. Tale Grand Strategy non può che basarsi sulla ricerca di una capacità soverchiante di forza -mezzo di “benevola” protezione degli alleati e strumento di deterrenza per chi la voglia sfidare- in sostanza su una concreta serie di progetti volti alla “Full Spectrum Dominance”, cioè il dominio militare su scala planetaria, consistente nell’insieme di deterrenza, controllo e capacità di proiezione militare unilaterale in tutti i possibili campi di battaglia.


“Mastering the Ultimate High Ground: Next Steps in the Military Uses of Space”

In questo contesto si inserisce la attività del Project Air Force della Rand Corporation (think tank partner della U.S. Air Force ed espressione delle lobbies dell’industria militare statunitense) che agli inizi del 2003 ha divulgato il documento “Mastering the Ultimate High Ground: Next Steps in the Military Uses of Space”. Tale studio offre argomentazioni in favore dello sviluppo rapido delle capacità militari statunitensi nello spazio. Esso parte dal postulato che i satelliti commerciali statunitensi devono essere protetti in ragione del flusso di informazioni che veicolano, dal quale dipende grande parte dell’economia nazionale. Ma, esso osserva, anche le Forze Armate statunitensi sono dipendenti dai mezzi di comunicazione satellitare, i quali potrebbero subire attacchi tramite bombe nucleari o a impulsione elettromagnetica. Partendo da questi presupposti, lo studio giustifica la necessità di investire massicciamente nella guerra spaziale, al fine non solo di sorvegliare le attività spaziali delle potenze concorrenti, ma anche di “assicurare il nostro accesso continuato allo spazio e negare lo spazio ad altri, se necessario”.
Il documento della Rand si inserisce perfettamente nella logica unipolarista volta al definitivo rafforzamento del gap di potenza tra gli Stati Uniti e i potenziali concorrenti, ed è la risposta all’annuncio -nel maggio 2001 da parte di Rumsfeld- della riorganizzazione dei programmi spaziali del Pentagono (l’US Space Command era già stato istituito nel 1985): “Alla Air Force sarà assegnata la responsabilità di organizzare, addestrare ed equipaggiare forze per rapide e sostenute operazioni spaziali, di carattere offensivo e difensivo”.
L’annuncio di Rumsfeld era sorprendente nella scelta dei tempi -in quanto andava a esacerbare i timori e le polemiche già suscitate dalla annunciata volontà di denunciare il trattato ABM e di voler costituire il “Theater Missile Defense”- ma non era un fulmine a ciel sereno, in quanto poco prima, in gennaio, Rumsfeld aveva pubblicamente annunciato le raccomandazioni della “Congressional Commission to Assess United States National Security Space Management and Organization” da lui presieduta: “Sappiamo dalla storia che ogni elemento -aria, terra e mare- ha visto dei conflitti […] La realtà indica che lo spazio non sarà differente. Data questa virtuale certezza, gli Usa devono sviluppare i mezzi sia di deterrenza che di difesa contro atti ostili nello e dallo spazio. Ciò richiederà superiori capacità spaziali […] Gli Usa devono avere l’opzione di dispiegare armi nello spazio quale mezzo di deterrenza contro le minacce e, se necessario, di difesa contro attacchi ai propri interessi [...] l’avere tale capacità darebbe agli Usa un deterrente molto più forte e, in un conflitto, uno straordinario vantaggio militare”, affermazione, quest’ultima, che lascia aperta la strada ad un uso non esclusivamente difensivo.
La conferenza per la stampa dell’8 maggio, quindi, non era che il primo passo della istituzionalizzazione del Rapporto della Commissione, il quale non era che un rimaneggiamento di rapporti già pubblicati dallo US Space Command.

Lo US Space Command ed i piani di “Full Spectrum Dominance”

Lo US Space Command persegue l’obiettivo di “dominare la dimensione spaziale delle operazioni militari per proteggere gli interessi e gli investimenti statunitensi”, ritenendo che “il potere spaziale è vitale per raggiungere i concetti operativi del Joint Vision 2010” -documento strategico del 1996- finalizzati, questi ultimi, alla “Full Spectrum Dominance”.
A togliere ogni possibile dubbio circa gli obiettivi dello US Space Command, ci ha pensato -fuori dal gergo militare- il suo stesso “Commander-in-Chief”, Joseph W. Ashy: “Alcune persone non vogliono sentirne parlare… ma -assolutamente- siamo prossimi a combattere nello spazio. Combatteremo dallo spazio e nello spazio… Un giorno o l’altro colpiremo obiettivi terrestri -navi, aeroplani e obiettivi sulla terraferma- dallo spazio”.
Partendo da tali presupposti, lo US Space Command ha teorizzato nel documento “USSPACECOM’s Vision for 2020” (pubblicato nel 1998) l’opportunità per gli Usa di garantirsi il “Control of Space” quale “abilità di assicurare l’ininterrotto accesso allo spazio per le forze statunitensi e dei nostri alleati, la libertà delle operazioni nello spazio e la abilità di negare agli altri l’uso dello spazio, se richiesto” al fine di “proteggere la nostra posizione nello spazio ed essere in grado di impedire ad altri Paesi di raggiungere un vantaggio tramite i loro sistemi spaziali”.
Il “Control of Space” è inoltre la premessa per il “Global Engagement”, che “è la combinazione della sorveglianza globale della Terra (vedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento), della difesa missilistica su scala mondiale, e della capacità potenziale di applicare la forza dallo spazio […] Per esempio, un sistema per l’applicazione della forza basato nello spazio potrebbe essere utilizzato per attacchi strategici”.
La conclusione di “Visions for 2020”, pertanto, è che nel 21° secolo le forze spaziali non dovranno limitarsi a fornire supporto strategico alle forze “terrestri”, ma che “cominceranno anche a condurre operazioni spaziali. L’emergente sinergia della superiorità spaziale con quella di terra, mare ed aria, ci permetterà di raggiungere la Full Spectrum Dominance”.

Le tentazioni unipolariste dei “falchi” dell’attuale amministrazione statunitense

Il documento della Rand, allora, non è piovuto dal cielo, ma è il risultato ultimo della volontà dei militari e di altri “falchi” della Guerra Fredda -oggi alla Casa Bianca- di consolidare per il prossimo secolo l’unipolar moment (cioè la straordinaria condizione statunitense di unica Superpotenza).
Tale obiettivo è stato il filo rosso della politica estera e di difesa di tutte le amministrazioni del dopo-Guerra Fredda, ed ha avuto la sua prima espressione nel mantenimento in Europa della Nato dopo il crollo del Muro di Berlino, quale premessa geopolitica per il controllo dell’Eurasia (“la chiave del potere mondiale” secondo Zbigniew Brzezinski). Ma esso ha subito una forte accelerazione sotto l’attuale amministrazione Bush, con il corollario di un unilateralismo senza precedenti. Ne è un emblema la denuncia del trattato ABM del 1972 -che rappresentava l’ostacolo principale a qualsiasi progetto di collocare armi nello spazio- e l’annuncio della ripresa dei programmi spaziali da parte di Donald Rumsfeld. Questi ha operato una svolta rispetto alla politica della amministrazione precedente, in quanto “Attualmente” -riporta Visions for 2020 del 1998- “la nozione di armi nello spazio non è conforme alla linea della politica statunitense”. Dopo l’impasse clintoniana (Clinton espresse il veto a tre programmi di armamento spaziale: il Clementine II, l’Army Kinetic-Kill Anti-Satellite program ed il Military Space Plane) le richieste dei militari -e delle lobbies dell’industria militare- sono infine state accolte da Donald Rumsfeld.
I piani spaziali annunciati da Rumsfeld sono il proseguimento dei programmi elaborati sotto la amministrazione Reagan, ma oggi, al di fuori della logica dell’equilibrio bipolare, non sono che uno strumento -se non lo strumento principale- volto al consolidamento del superpotere americano in modo potenzialmente offensivo contro le potenze emergenti. I neo-conservatori oggi alla Casa Bianca condividono la convinzione dei militari secondo la quale i sistemi spaziali evolveranno rapidamente ed inevitabilmente da mezzo di supporto delle operazioni militari a strumenti bellici essi stessi, come accadde per l’aviazione prima della Prima Guerra Mondiale. Di conseguenza gli Usa non devono perdere posizioni nello spazio rispetto alle potenze emergenti se vogliono mantenere lo status di unica superpotenza: anzi, portando il ragionamento alle estreme conseguenze, devono realizzare quanto prima la “weaponization” per eventualmente negare agli altri l’accesso allo spazio.

Sotto questa luce, le proteste di Russia e Cina appaiono del tutto comprensibili. Ad esse non sfugge che il programma di scudo stellare non ha a che fare con la difesa della Homeland in primo luogo -l’11 settembre ha dimostrato che un tale sistema è completamente inutile contro la “asymmetric warfare”. Piuttosto -secondo il Colorado Springs Indipendent- “La realtà, raramente discussa dai media e dai politici, è che il cosiddetto programma di difesa missilistica è semplicemente la prima fase in un programma di lungo termine volto a stabilire la superiorità militare nello spazio”. E’ chiaro che la costituzione di un sistema di difesa missilistico spaziale garantirà agli Usa non solo la possibilità di difendersi da eventuali attacchi, ma anche -e soprattutto- la capacità di “tagliar fuori, in potenza, il resto del mondo dall’acesso allo spazio. Questo sarebbe possibile perché la capacità di neutralizzare un attacco missilistico è sufficiente a prevenire il lancio di nuovi satelliti da parte delle altre nazioni”.

Le armi spaziali in cantiere

Quest’ultima eventualità trova conferma nei piani militari che prevedono lo sviluppo di un laser destinato ad armare un sistema di satelliti (SBLs, Space-Based-Lasers) capaci non solo di abbattere missili nemici lanciati da basi terrestri ma anche di distruggere satelliti ostili e colpire obiettivi terrestri nemici. Il confine tra difesa e offesa si fa evidentemente molto sottile ma, assicura il Senatore del Colorado Allard, lo SBLs è solo per scopi “dimostratori” quale arma esclusivamente difensiva. Così non sembrerebbe, leggendo le informazioni divulgate dagli stessi militari. Il laser “supporterà la difesa attiva contro obiettivi aerospaziali, così come il controllo dello spazio e l’applicazione della forza nello e dallo spazio”.


Minori controversie circa la natura della loro funzione riguardano un altro genere di satelliti attualmente allo studio, capaci di colpire target terrestri con proiettili al tungsteno non-esplosivi. Tali proiettili, chiamati “Rods from God”, possono essere guidati via satellite verso qualsiasi obiettivo sulla Terra in pochi minuti e colpire ad una velocità di più di 12.000 piedi al secondo, sufficiente a distruggere anche bunker rinforzati di svariati livelli sotterranei. Non è necessaria alcuna carica esplosiva, in quanto la forza distruttiva deriva dalla velocità e dal peso dei proiettili.
Il sistema satellitare sarà poi affiancato da “aerei spaziali”, capaci di colpire qualsiasi obiettivo sulla Terra nel giro di poche ore. Il FALCON (acronimo per Force Application and Launch from the Continental United States) sarà inviato nella stratosfera da un aereo ausiliario e viaggerà a un’altitudine di 100.000 piedi e ad una velocità di 12 volte quella del suono. Il primo volo dimostrativo è fissato per il 2006. Oltre ad essere in grado di colpire un obiettivo più velocemente di un bombardiere convenzionale, il FALCON sarà virtualmente invulnerabile. Nessun aereo nemico o missile anti-aereo può volare così in alto, mentre il FALCON può lanciare missili anti-aerei. Inoltre non ci sarà bisogno di basi all’estero, perché il raggio di azione e la velocità del FALCON gli consentiranno di partire da basi situate sul territorio degli Stati Uniti.


Lo scopo dell’insieme di tali dispositivi è la “Full Spectrum Dominance”, presupposto dell’ordine unipolar-“imperiale” (così definito negli Usa -con opposta accezione- sia dai suoi critici che da suoi sostenitori). Secondo quanto riportato nello “Space Command’s Strategic Master Plan FY04” (documento del novembre 2002, il cui obiettivo dichiarato è “…non solo di mantenere il nostro corrente vantaggio militare, ma anche di raggiungere un vantaggio asimmetrico tramite capacità militari basate nello spazio”) entro il 2025 l’insieme di tali dispositivi garantirà ai militari statunitensi “la capacità di distruggere gli obiettivi nemici in ore/minuti piuttosto che in settimane/giorni” pur con una ridotta presenza militare sul terreno.


Ancor più chiaramente il precedente Master Plan (FY02) del 2000 affermava a proposito delle previsioni di lungo termine (2014-2025): “L’abilità di arrestare le operazioni nemiche in ore, minuti, o addirittura secondi, affiancherà la capacità di condurre un rapido e globale attacco convenzionale”. A tal proposito il “SOV (Space Operations Vehicle) … garantirà una capacità di attacco convenzionale più forte e flessibile. Inoltre… lo SBL (Space-Based Laser), darà agli Usa ed ai loro alleati una rivoluzionaria superiorità aerea ed un vantaggio offensivo rispetto ai sistemi terrestri… La capacità fornita dallo SBL di colpire rapidamente e globalmente obiettivi spaziali ed aerei, darà agli Usa un formidabile vantaggio militare. La combinazione dello SBL con lo SOV fornirà alla “National Command Authority” una completa gamma di opzioni per un rapido e globale attacco convenzionale”.
In linea con il precedente, l’ultimo Master Plan conferma le tesi di chi ritiene che il programma spaziale statunitense abbia una funzione offensiva, al pari se non altro di quella difensiva e di deterrenza: l’“Offensive Counterspace” (OCS) e il “Defensive Counterspace” (DCS) sono i due pilastri su cui si basa la “Space Superiority”, cioè il “controllo continuato dello spazio”. La “Space Superiority” è il presupposto per “sfruttare più pienamente lo spazio tramite rafforzate capacità volte alla Force Enhancement ed alla Force Application”.
Il programma spaziale statunitense non ha dunque la finalità esclusivamente difensiva divulgata alla opinione pubblica nazionale e mondiale, ma ha -come asserisce il Master Plan del 2002 nelle conclusioni- quella di garantire -attraverso la somma di capacità offensive e difensive- la supremazia militare degli Usa nello spazio, che nel prossimo futuro sarà lo scenario di guerra decisivo.
Nel silenzio dei mass-media, in conclusione, la sfida agli aspiranti competitori spaziali è già stata lanciata. Gli Stati Uniti percepiscono in particolare la Cina come una minaccia crescente alla loro leadership spaziale ed al mantenimento dell’ordine unipolare. Il recente lancio dello Shenzhou 5 non ha fatto che confermare le informazioni in possesso dell’intelligence statunitense circa i progressi del programma spaziale cinese. Nonostante la Cina professi il suo approccio pacifico allo spazio -condannando parallelamente in sede ONU la politica spaziale degli Usa- gli esperti statunitensi ritengono che stia lavorando intensamente allo sviluppo di armi spaziali. Dato il carattere cruciale dello spazio per il mantenimento dell’ordine unipolare, gli Usa sono pronti a giocare d’anticipo, sfruttando il loro attuale vantaggio per -come ricorre nei documenti esaminati- “negare lo spazio ad altri, se necessario”.
Gabriele Garibaldi
Dossier apparso
suhttp://www.equilibri.net/showObject.php?objlang=it_IT&objID=2854

Stati Uniti: i progetti spaziali (1)
24/02/2005 11:45

Inviata da redazione

di Gabriele Garibaldi
L’unica superpotenza è consapevole che lo spazio è la chiave della “Full Spectrum Dominance” e dell’evoluzione dei rapporti di forza nel 21° secolo. Il suo armamento è allo studio da tempo, con un occhio alla Cina. I propositi unipolaristi che caratterizzano l’attuale amministrazione statunitense -e prima di essa sono stati il filo rosso di tutte le amministrazioni degli anni ’90- discendono dalla fiducia nella capacità di impedire la nascita di un nuovo competitore strategico nella “finestra di opportunità” di 10-20 anni necessaria al ricostituirsi dell’equilibrio di potenza a livello sistemico. Tale Grand Strategy non può che basarsi sulla ricerca di una capacità soverchiante di forza -mezzo di “benevola” protezione degli alleati e strumento di deterrenza per chi la voglia sfidare- in sostanza su una concreta serie di progetti volti alla “Full Spectrum Dominance”, cioè il dominio militare su scala planetaria, consistente nell’insieme di deterrenza, controllo e capacità di proiezione militare unilaterale in tutti i possibili campi di battaglia.


“Mastering the Ultimate High Ground: Next Steps in the Military Uses of Space”

In questo contesto si inserisce la attività del Project Air Force della Rand Corporation (think tank partner della U.S. Air Force ed espressione delle lobbies dell’industria militare statunitense) che agli inizi del 2003 ha divulgato il documento “Mastering the Ultimate High Ground: Next Steps in the Military Uses of Space”. Tale studio offre argomentazioni in favore dello sviluppo rapido delle capacità militari statunitensi nello spazio. Esso parte dal postulato che i satelliti commerciali statunitensi devono essere protetti in ragione del flusso di informazioni che veicolano, dal quale dipende grande parte dell’economia nazionale. Ma, esso osserva, anche le Forze Armate statunitensi sono dipendenti dai mezzi di comunicazione satellitare, i quali potrebbero subire attacchi tramite bombe nucleari o a impulsione elettromagnetica. Partendo da questi presupposti, lo studio giustifica la necessità di investire massicciamente nella guerra spaziale, al fine non solo di sorvegliare le attività spaziali delle potenze concorrenti, ma anche di “assicurare il nostro accesso continuato allo spazio e negare lo spazio ad altri, se necessario”.
Il documento della Rand si inserisce perfettamente nella logica unipolarista volta al definitivo rafforzamento del gap di potenza tra gli Stati Uniti e i potenziali concorrenti, ed è la risposta all’annuncio -nel maggio 2001 da parte di Rumsfeld- della riorganizzazione dei programmi spaziali del Pentagono (l’US Space Command era già stato istituito nel 1985): “Alla Air Force sarà assegnata la responsabilità di organizzare, addestrare ed equipaggiare forze per rapide e sostenute operazioni spaziali, di carattere offensivo e difensivo”.
L’annuncio di Rumsfeld era sorprendente nella scelta dei tempi -in quanto andava a esacerbare i timori e le polemiche già suscitate dalla annunciata volontà di denunciare il trattato ABM e di voler costituire il “Theater Missile Defense”- ma non era un fulmine a ciel sereno, in quanto poco prima, in gennaio, Rumsfeld aveva pubblicamente annunciato le raccomandazioni della “Congressional Commission to Assess United States National Security Space Management and Organization” da lui presieduta: “Sappiamo dalla storia che ogni elemento -aria, terra e mare- ha visto dei conflitti […] La realtà indica che lo spazio non sarà differente. Data questa virtuale certezza, gli Usa devono sviluppare i mezzi sia di deterrenza che di difesa contro atti ostili nello e dallo spazio. Ciò richiederà superiori capacità spaziali […] Gli Usa devono avere l’opzione di dispiegare armi nello spazio quale mezzo di deterrenza contro le minacce e, se necessario, di difesa contro attacchi ai propri interessi [...] l’avere tale capacità darebbe agli Usa un deterrente molto più forte e, in un conflitto, uno straordinario vantaggio militare”, affermazione, quest’ultima, che lascia aperta la strada ad un uso non esclusivamente difensivo.
La conferenza per la stampa dell’8 maggio, quindi, non era che il primo passo della istituzionalizzazione del Rapporto della Commissione, il quale non era che un rimaneggiamento di rapporti già pubblicati dallo US Space Command.

Lo US Space Command ed i piani di “Full Spectrum Dominance”

Lo US Space Command persegue l’obiettivo di “dominare la dimensione spaziale delle operazioni militari per proteggere gli interessi e gli investimenti statunitensi”, ritenendo che “il potere spaziale è vitale per raggiungere i concetti operativi del Joint Vision 2010” -documento strategico del 1996- finalizzati, questi ultimi, alla “Full Spectrum Dominance”.
A togliere ogni possibile dubbio circa gli obiettivi dello US Space Command, ci ha pensato -fuori dal gergo militare- il suo stesso “Commander-in-Chief”, Joseph W. Ashy: “Alcune persone non vogliono sentirne parlare… ma -assolutamente- siamo prossimi a combattere nello spazio. Combatteremo dallo spazio e nello spazio… Un giorno o l’altro colpiremo obiettivi terrestri -navi, aeroplani e obiettivi sulla terraferma- dallo spazio”.
Partendo da tali presupposti, lo US Space Command ha teorizzato nel documento “USSPACECOM’s Vision for 2020” (pubblicato nel 1998) l’opportunità per gli Usa di garantirsi il “Control of Space” quale “abilità di assicurare l’ininterrotto accesso allo spazio per le forze statunitensi e dei nostri alleati, la libertà delle operazioni nello spazio e la abilità di negare agli altri l’uso dello spazio, se richiesto” al fine di “proteggere la nostra posizione nello spazio ed essere in grado di impedire ad altri Paesi di raggiungere un vantaggio tramite i loro sistemi spaziali”.
Il “Control of Space” è inoltre la premessa per il “Global Engagement”, che “è la combinazione della sorveglianza globale della Terra (vedere qualsiasi cosa in qualsiasi momento), della difesa missilistica su scala mondiale, e della capacità potenziale di applicare la forza dallo spazio […] Per esempio, un sistema per l’applicazione della forza basato nello spazio potrebbe essere utilizzato per attacchi strategici”.
La conclusione di “Visions for 2020”, pertanto, è che nel 21° secolo le forze spaziali non dovranno limitarsi a fornire supporto strategico alle forze “terrestri”, ma che “cominceranno anche a condurre operazioni spaziali. L’emergente sinergia della superiorità spaziale con quella di terra, mare ed aria, ci permetterà di raggiungere la Full Spectrum Dominance”.

Le tentazioni unipolariste dei “falchi” dell’attuale amministrazione statunitense

Il documento della Rand, allora, non è piovuto dal cielo, ma è il risultato ultimo della volontà dei militari e di altri “falchi” della Guerra Fredda -oggi alla Casa Bianca- di consolidare per il prossimo secolo l’unipolar moment (cioè la straordinaria condizione statunitense di unica Superpotenza).
Tale obiettivo è stato il filo rosso della politica estera e di difesa di tutte le amministrazioni del dopo-Guerra Fredda, ed ha avuto la sua prima espressione nel mantenimento in Europa della Nato dopo il crollo del Muro di Berlino, quale premessa geopolitica per il controllo dell’Eurasia (“la chiave del potere mondiale” secondo Zbigniew Brzezinski). Ma esso ha subito una forte accelerazione sotto l’attuale amministrazione Bush, con il corollario di un unilateralismo senza precedenti. Ne è un emblema la denuncia del trattato ABM del 1972 -che rappresentava l’ostacolo principale a qualsiasi progetto di collocare armi nello spazio- e l’annuncio della ripresa dei programmi spaziali da parte di Donald Rumsfeld. Questi ha operato una svolta rispetto alla politica della amministrazione precedente, in quanto “Attualmente” -riporta Visions for 2020 del 1998- “la nozione di armi nello spazio non è conforme alla linea della politica statunitense”. Dopo l’impasse clintoniana (Clinton espresse il veto a tre programmi di armamento spaziale: il Clementine II, l’Army Kinetic-Kill Anti-Satellite program ed il Military Space Plane) le richieste dei militari -e delle lobbies dell’industria militare- sono infine state accolte da Donald Rumsfeld.
I piani spaziali annunciati da Rumsfeld sono il proseguimento dei programmi elaborati sotto la amministrazione Reagan, ma oggi, al di fuori della logica dell’equilibrio bipolare, non sono che uno strumento -se non lo strumento principale- volto al consolidamento del superpotere americano in modo potenzialmente offensivo contro le potenze emergenti. I neo-conservatori oggi alla Casa Bianca condividono la convinzione dei militari secondo la quale i sistemi spaziali evolveranno rapidamente ed inevitabilmente da mezzo di supporto delle operazioni militari a strumenti bellici essi stessi, come accadde per l’aviazione prima della Prima Guerra Mondiale. Di conseguenza gli Usa non devono perdere posizioni nello spazio rispetto alle potenze emergenti se vogliono mantenere lo status di unica superpotenza: anzi, portando il ragionamento alle estreme conseguenze, devono realizzare quanto prima la “weaponization” per eventualmente negare agli altri l’accesso allo spazio.

Sotto questa luce, le proteste di Russia e Cina appaiono del tutto comprensibili. Ad esse non sfugge che il programma di scudo stellare non ha a che fare con la difesa della Homeland in primo luogo -l’11 settembre ha dimostrato che un tale sistema è completamente inutile contro la “asymmetric warfare”. Piuttosto -secondo il Colorado Springs Indipendent- “La realtà, raramente discussa dai media e dai politici, è che il cosiddetto programma di difesa missilistica è semplicemente la prima fase in un programma di lungo termine volto a stabilire la superiorità militare nello spazio”. E’ chiaro che la costituzione di un sistema di difesa missilistico spaziale garantirà agli Usa non solo la possibilità di difendersi da eventuali attacchi, ma anche -e soprattutto- la capacità di “tagliar fuori, in potenza, il resto del mondo dall’acesso allo spazio. Questo sarebbe possibile perché la capacità di neutralizzare un attacco missilistico è sufficiente a prevenire il lancio di nuovi satelliti da parte delle altre nazioni”.

Le armi spaziali in cantiere

Quest’ultima eventualità trova conferma nei piani militari che prevedono lo sviluppo di un laser destinato ad armare un sistema di satelliti (SBLs, Space-Based-Lasers) capaci non solo di abbattere missili nemici lanciati da basi terrestri ma anche di distruggere satelliti ostili e colpire obiettivi terrestri nemici. Il confine tra difesa e offesa si fa evidentemente molto sottile ma, assicura il Senatore del Colorado Allard, lo SBLs è solo per scopi “dimostratori” quale arma esclusivamente difensiva. Così non sembrerebbe, leggendo le informazioni divulgate dagli stessi militari. Il laser “supporterà la difesa attiva contro obiettivi aerospaziali, così come il controllo dello spazio e l’applicazione della forza nello e dallo spazio”.


Minori controversie circa la natura della loro funzione riguardano un altro genere di satelliti attualmente allo studio, capaci di colpire target terrestri con proiettili al tungsteno non-esplosivi. Tali proiettili, chiamati “Rods from God”, possono essere guidati via satellite verso qualsiasi obiettivo sulla Terra in pochi minuti e colpire ad una velocità di più di 12.000 piedi al secondo, sufficiente a distruggere anche bunker rinforzati di svariati livelli sotterranei. Non è necessaria alcuna carica esplosiva, in quanto la forza distruttiva deriva dalla velocità e dal peso dei proiettili.
Il sistema satellitare sarà poi affiancato da “aerei spaziali”, capaci di colpire qualsiasi obiettivo sulla Terra nel giro di poche ore. Il FALCON (acronimo per Force Application and Launch from the Continental United States) sarà inviato nella stratosfera da un aereo ausiliario e viaggerà a un’altitudine di 100.000 piedi e ad una velocità di 12 volte quella del suono. Il primo volo dimostrativo è fissato per il 2006. Oltre ad essere in grado di colpire un obiettivo più velocemente di un bombardiere convenzionale, il FALCON sarà virtualmente invulnerabile. Nessun aereo nemico o missile anti-aereo può volare così in alto, mentre il FALCON può lanciare missili anti-aerei. Inoltre non ci sarà bisogno di basi all’estero, perché il raggio di azione e la velocità del FALCON gli consentiranno di partire da basi situate sul territorio degli Stati Uniti.


Lo scopo dell’insieme di tali dispositivi è la “Full Spectrum Dominance”, presupposto dell’ordine unipolar-“imperiale” (così definito negli Usa -con opposta accezione- sia dai suoi critici che da suoi sostenitori). Secondo quanto riportato nello “Space Command’s Strategic Master Plan FY04” (documento del novembre 2002, il cui obiettivo dichiarato è “…non solo di mantenere il nostro corrente vantaggio militare, ma anche di raggiungere un vantaggio asimmetrico tramite capacità militari basate nello spazio”) entro il 2025 l’insieme di tali dispositivi garantirà ai militari statunitensi “la capacità di distruggere gli obiettivi nemici in ore/minuti piuttosto che in settimane/giorni” pur con una ridotta presenza militare sul terreno.


Ancor più chiaramente il precedente Master Plan (FY02) del 2000 affermava a proposito delle previsioni di lungo termine (2014-2025): “L’abilità di arrestare le operazioni nemiche in ore, minuti, o addirittura secondi, affiancherà la capacità di condurre un rapido e globale attacco convenzionale”. A tal proposito il “SOV (Space Operations Vehicle) … garantirà una capacità di attacco convenzionale più forte e flessibile. Inoltre… lo SBL (Space-Based Laser), darà agli Usa ed ai loro alleati una rivoluzionaria superiorità aerea ed un vantaggio offensivo rispetto ai sistemi terrestri… La capacità fornita dallo SBL di colpire rapidamente e globalmente obiettivi spaziali ed aerei, darà agli Usa un formidabile vantaggio militare. La combinazione dello SBL con lo SOV fornirà alla “National Command Authority” una completa gamma di opzioni per un rapido e globale attacco convenzionale”.
In linea con il precedente, l’ultimo Master Plan conferma le tesi di chi ritiene che il programma spaziale statunitense abbia una funzione offensiva, al pari se non altro di quella difensiva e di deterrenza: l’“Offensive Counterspace” (OCS) e il “Defensive Counterspace” (DCS) sono i due pilastri su cui si basa la “Space Superiority”, cioè il “controllo continuato dello spazio”. La “Space Superiority” è il presupposto per “sfruttare più pienamente lo spazio tramite rafforzate capacità volte alla Force Enhancement ed alla Force Application”.
Il programma spaziale statunitense non ha dunque la finalità esclusivamente difensiva divulgata alla opinione pubblica nazionale e mondiale, ma ha -come asserisce il Master Plan del 2002 nelle conclusioni- quella di garantire -attraverso la somma di capacità offensive e difensive- la supremazia militare degli Usa nello spazio, che nel prossimo futuro sarà lo scenario di guerra decisivo.
Nel silenzio dei mass-media, in conclusione, la sfida agli aspiranti competitori spaziali è già stata lanciata. Gli Stati Uniti percepiscono in particolare la Cina come una minaccia crescente alla loro leadership spaziale ed al mantenimento dell’ordine unipolare. Il recente lancio dello Shenzhou 5 non ha fatto che confermare le informazioni in possesso dell’intelligence statunitense circa i progressi del programma spaziale cinese. Nonostante la Cina professi il suo approccio pacifico allo spazio -condannando parallelamente in sede ONU la politica spaziale degli Usa- gli esperti statunitensi ritengono che stia lavorando intensamente allo sviluppo di armi spaziali. Dato il carattere cruciale dello spazio per il mantenimento dell’ordine unipolare, gli Usa sono pronti a giocare d’anticipo, sfruttando il loro attuale vantaggio per -come ricorre nei documenti esaminati- “negare lo spazio ad altri, se necessario”. 
 

Dossier apparso
suhttp://www.equilibri.net/showObject.php?objlang=it_IT&objID=2854

Tratto da
http://www.criticalpoint.it/news.php?cod=465