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Obama-Cameron, Teheran nel mirino

di Michele Paris - 19/03/2012


 
    


In una visita di tre giorni a Washington, il primo ministro britannico, David Cameron, è stato accolto dal presidente Obama con tutti gli onori dovuti ad un capo di governo di un paese con cui gli Stati Uniti continuano ad avere un “legame speciale”. L’estrema cordialità del vertice ha contribuito a mettere in evidenza la pressoché totale affinità di vedute dei due leader, in particolare sulle questioni legate alla difesa degli interessi anglo-americani nel mondo.

Il rapporto di stima e simpatia reciproca tra Obama e Cameron è apparso tanto più evidente quanto ha contrastato con il clima gelido che aveva caratterizzato il summit della scorsa settimana con il premier israeliano Netanyahu. Il presidente americano ha anche organizzato per il proprio ospite una cena di stato alla Casa Bianca, solitamente riservata, appunto, ai capi di stato in visita a Washington, mentre a sottolineare l’atmosfera amichevoli tra i due leader, martedì sera hanno assistito entrambi ad un incontro di basket NCAA a Dayton, nell’Ohio.

Barack Obama e David Cameron hanno così confermato il fronte unitario costituito da USA e Gran Bretagna per fronteggiare, secondo le parole dei principali media, “le sfide della sicurezza globale” o, in altre parole, gli ostacoli all’allargamento dell’influenza di Washington e Londra sulle aree strategiche del pianeta. La sintonia tra i due paesi si basa in effetti sulla sostanziale convergenza dei rispettivi interessi imperialistici e va ben al di là del diverso orientamento politico che, in teoria, dovrebbe contraddistinguere le due amministrazioni. A conferma di ciò, il rapporto privilegiato tra Stati Uniti e Gran Bretagna è rimasto inalterato, ad esempio, sia con il repubblicano George W. Bush alla Casa Bianca e il laburista Tony Blair a Downing Street che, ora, con il democratico Obama e il conservatore Cameron.

Alla luce della recente strage compiuta domenica scorsa nei pressi di Kandahar da un sergente americano, la questione più calda del vertice era quella dell’Afghanistan, alla cui occupazione Stati Uniti e Gran Bretagna contribuiscono con il contingente militare di gran lunga più numeroso. Nonostante i recenti fatti di sangue, la crescente ostilità della popolazione afgana nei confronti dell’occupazione e l’impopolarità del conflitto tra gli elettori americani e inglesi, nel corso di una conferenza stampa congiunta, mercoledì Obama e Cameron hanno ribadito l’intenzione di non deviare dal piano ufficiale che prevede il ritiro delle truppe dal paese centro-asiatico entro la fine del 2014.

Citando i presunti progressi fatti dai soldati britannici nel sud dell’Afghanistan, Cameron ha concordato con Obama nel sostenere che, a fronte di un’esplosione dell’odio verso gli occupanti negli ultimi tempi, la situazione nel paese è migliorata e consentirà alle forze NATO di trasferire la responsabilità della sicurezza alla polizia e all’esercito locali secondo i tempi previsti.

Nelle due ore di faccia a faccia nello Studio Ovale, Obama e Cameron hanno anche parlato della questione del nucleare iraniano. Entrambi hanno ripetuto il parere espresso dal presidente americano a Netanyahu settimana scorsa. Le sanzioni contro Teheran devono cioè fare il loro corso, anche se l‘opzione dell’aggressione militare rimane sul tavolo. Cameron, da parte sua, ha anch’egli espresso i propri dubbi circa un possibile attacco unilaterale di Israele contro le installazioni nucleari iraniane, dal momento che esisterebbe ancora spazio per una soluzione diplomatica alla crisi.

Queste parole nascondono in realtà i metodi ricattatori dell’Occidente, da dove vengono imposte condizioni inaccettabili all’Iran solo per aprire un qualche dialogo, come lo stop totale al programma di arricchimento dell’uranio a cui Teheran, in quanto firmatario del Trattato di Non Proliferazione, ha diritto, se destinato ad uso civile. Simili richieste, peraltro, intendono precisamente provocare il rifiuto del governo iraniano, così da giustificare nuove sanzioni e, in ultima istanza, un attacco militare.

L’atteggiamento di Obama è apparso in ogni caso più minaccioso in occasione del vertice con Cameron, soprattutto quando, in riferimento alla imminente riapertura dei negoziati sul nucleare, l’inquilino della Casa Bianca ha affermato che per l’Iran “la finestra per risolvere la questione diplomaticamente si sta restringendo”.

I toni da ultimatum sono consueti nelle trattative con l’Iran e un vero e proprio ultimatum è quello che, secondo quanto riportato mercoledì dalla stampa russa, Obama avrebbe chiesto a Mosca di trasmettere a Teheran. L’incontro previsto ad aprile a Istanbul per riaprire le trattative sul nucleare sarà cioè l’ultima possibilità per l’Iran per evitare la guerra.

Obama ha poi accusato la Repubblica Islamica di usare i negoziati per prendere tempo, mentre sono proprio i governi occidentali a respingere puntualmente le aperture di Teheran fissando sempre nuovi paletti per risolvere la questione in maniera pacifica. Gli Stati Uniti e i loro alleati, d’altra parte, sfruttano la questione del nucleare puramente come pretesto per giungere ad un cambio di regime a Teheran. Tanto più che finora non è emersa una sola prova dell’esistenza di un programma nucleare iraniano a scopi militari.

Identica posizione USA e Gran Bretagna hanno mostrato anche riguardo alla Siria. Obama ha messo in guardia dalle difficoltà di un’azione militare contro il regime di Assad, ma ha minacciosamente ricordato che il Pentagono ha già preparato un piano di guerra contro Damasco. Le parole dedicate dai due leader alla crisi siriana sono state come al solito avvolte nella fastidiosa e vuota retorica dell’intervento “umanitario”.

Il ruolo di Londra in merito alla Siria appare particolarmente importante in questo frangente, poiché la Gran Bretagna presiede provvisoriamente il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Al Palazzo di Vetro fervono infatti i tentativi di convincere Russia e Cina ad approvare una nuova risoluzione che, sul modello libico, getti le basi di un intervento esterno con il sigillo di approvazione dell’ONU.

Sul fronte economico, infine, i media occidentali hanno sottolineato presunte divergenze tra un’amministrazione americana che intende stimolare la crescita aumentando la spesa pubblica e un governo britannico che ha messo in atto un durissimo programma di austerity. In realtà, a ben vedere, tra Washington e Londra non esistono sostanziali differenze nemmeno sulla politica economica, dal momento che, come dimostrano i devastanti tagli di bilancio ampiamente adottati anche negli Stati Uniti, la priorità per entrambi i leader continua ad essere la strenua difesa del sistema capitalistico e dei profitti dell’aristocrazia finanziaria.