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Il primo anno di Paul Wolfowitz, il decisionista

di Luca Manes - 13/07/2006

 
Banca mondiale, la crociata contro la corruzione dell’ex falco neocon


Chi si aspettava che Paul Wolfowitz, l’ex super falco dell’amministrazione Bush, volesse cambiare radicalmente la Banca mondiale sarà rimasto un po’ deluso. Wolfowitz, da un anno presidente dell’istituzione che ha sede a pochi centinaia di metri dalla Casa Bianca, ha preferito continuare sul solco tracciato dal suo predecessore, James Wolfensohn. Almeno così sta facendo per quel che concerne l’Africa, il settore delle infrastrutture e il debito dei Paesi poveri. Ovvero, nulla di eclatante. Rispetto al passato, invece, il campione dei neocon ha pensato bene di ergersi a paladino della lotta contro la corruzione. Finalmente uno che ficca il naso nelle tante zone d’ombra dei progetti sponsorizzati dalla Banca, per la cui aggiudicazione si calcola che negli ultimi 60 anni sia stata pagata l’enormità di 100 miliardi di dollari in tangenti? A prima vista sembrerebbe proprio così. Basti pensare che l’ex sottosegretario alla difesa degli Usa ha aumentato il bilancio dell’unità per le indagini sui casi di corruzione e sospeso dei prestiti a Ciad, Kenya, India e Bangladesh sulla base di un non corretto uso dei fondi. «Dobbiamo far sì che le risorse della Banca vadano ai poveri, e non nelle tasche sbagliate» ha dichiarato lo stesso Wolfowitz, convinto che «in questo modo si possa efficacemente combattere la povertà». Purtroppo però il piano d’azione della Banca mondiale sembra teso a curare i sintomi, non le cause della malattia. Altrimenti l’istituzione non continuerebbe a finanziare con la metà del suo budget annuale (circa 40 miliardi di dollari) i grossi progetti infrastrutturali, proprio quelli da cui nasce la piaga della corruzione - come recentemente ribadito anche dall’autorevole Ong Transparency International.

Non a caso sono in tanti a criticare l’approccio al problema impiegato da Wolfowitz: in particolare numerosi analisti americani ritengono che stia facendo del tutto per compiacere la Commissione affari esteri del Senato americano, da tempo impegnata ad analizzare con attenzione le erogazioni di denaro alle istituzioni finanziarie internazionali. Stupisce anche il fatto che la Banca mondiale non abbia portato avanti nessuna reprimenda nei confronti di Paesi dove la corruzione è pressoché endemica. Pensiamo al Pakistan, alleato Usa nella lotta contro il terrorismo, dove la costruzione del Sistema di Irrigazione del Bacino dell’Indo, un progetto mastodontico capace solo di funzionare molto male e far sfollare 200 mila persone (la maggior parte aspetta ancora di essere reinsediata), ha determinato un uso non proprio lecito di denaro pubblico. Oppure al Ciad dove il presidente Idriss Deby ha speso in armi e non in progetti di sviluppo i soldi derivanti dall’oleodotto Ciad-Camerun (finanziato dalla Banca mondiale con prestiti alla Exxon) minacciando di chiudere i rubinetti di oro nero senza incorrere in alcuna sanzione.

Il sospetto che l’attuale Presidente potesse usare la Banca come strumento per la tutela degli interessi geopolitici americani non appare, quindi, troppo campata in aria. Inoltre, il forte appoggio alle grandi infrastrutture, addirittura aumentato negli ultimi tempi, è dettato dall’impegno preso dalla nuova presidenza per avere una Banca mondiale con un ruolo predominante nei Paesi con economie emergenti. E pure dai forti interessi al fine di accaparrarsi corposi contratti da parte delle multinazionali del ricco Nord.

In tanti credevano anche che l’ex fedelissimo di Bush volesse troncare di netto le relazioni tra la Banca e la società civile. Non si sono avuti segnali così evidenti di una condotta in questo senso, però, a ben riflettere, a Wolfowitz conviene più proseguire nell’opera di pubbliche relazioni messa su dal suo predecessore. Da bravo politico sa che l’immagine conta molto, per la sostanza ci sarà sempre tempo.

Chi invece appare allergico alla nuova guida della Banca mondiale è la quasi totalità dei membri dello staff dell’istituzione, regolarmente tagliati fuori dal processo decisionale. Vista l’abitudine di Wolfowitz di contornarsi di fedelissimi e di dare scarso credito al resto degli oltre 8 mila dipendenti della Banca, sono in pochi a stupirsi che le tensioni interne siano scoppiate molto presto, senza peraltro accennare a risolversi. Anzi, ora il presidente-falco ha pure deciso di rimuovere dall’organigramma interno la figura del vice presidente con delega sullo sviluppo sostenibile, e smantellare il network tra i vari dipartimenti sul tema. Wolfowitz sembra volere mettere a soqquadro l’architettura politica della Banca mondiale, e che nei prossimi quattro anni del suo mandato ne vedremo delle belle. O meglio, delle brutte.