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Russia e Iran, ecco gli attori del nuovo grande gioco energetico

di Pepe Escobar - 17/07/2006


Oggi, a un quindicennio dalla fine della guerra fredda, i terreni di scontro tra Usa e Russia sono sorprendentemente simili: l'Europa dell'Est, il bacino del mar Nero, l'Ucraina, la Moldavia, la Georgia e l’Iran. Sessant’anni fa, l’Unione Sovietica offrì all’Iran una partnership energetica. Ora Mosca sta riproponendo l'offerta, predisponendo la vendita del proprio gas nel modo più profittevole per entrambe le parti

A prescindere da ciò che l’Occidente possa pensare, il presidente russo Vladimir Putin si è già preoccupato di spettacolarizzare il prossimo summit del G8, previsto per questo weekend a San Pietroburgo, con le sue personali news sul “Pipelinestain”.

Lo scorso 15 giugno Putin ha annunciato a Shanghai: “Gazprom è pronta a sostenere in termini di risorse finanziarie e tecnologiche la costruzione di un gasdotto Iran-Pakistan-India”.

Putin si riferiva a un’opera da 7 miliardi di dollari e da 2.775 chilometri, un progetto – nato da un’idea iraniana – che ha già dieci anni di vita e che dovrebbe essere ultimato entro il 2009 da Gazexport, una sussidiaria di Gazprom. Come risultato, entro il 2015 sia l’India che il Pakistan dovrebbero vedersi assicurati almeno 70 milioni di metri cubi annui di gas naturale.

I due maggiori produttori mondiali di gas – Russia e Iran – hanno così raggiunto un accordo di partnership strategica non solo nel proprio interesse, ma anche in quello di India, Pakistan, Cina e di parte dell’Asia centrale. Il tutto fa intravedere all’orizzonte uno scenario di prosperità economica per i paesi asiatici, indipendenti da ogni interferenza statunitense. Washington, infatti, non ha gradito.

Non sorprende che ogni altro paese dell’area si sia permesso di non essere d’accordo. Per l’Iran il progetto rappresenta l’ambita via verso oriente. L’India risparmierà almeno 300 milioni di dollari all’anno. Il Pakistan riceverà qualcosa come 600 milioni di dollari all’anno in tasse di transito. Il gasdotto si estenderà, inevitabilmente, alla provincia cinese di Yunnan; non stupisce che l’annuncio sia stato fatto proprio al meeting annuale della Shangai Cooperation Organization (SCO).

Il colpo da maestro russo serve a deviare la massa delle imminenti esportazioni di gas iraniano verso l’Asia – mentre dallo stesso Cremlino si continua a negoziare un’eccezionale fornitura energetica con l’Unione Europea. Teheran e Mosca hanno raggiunto un importante accordo. Putin e il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad continueranno a collaborare.

A Shanghai non si fa altro che discutere di prezzi del gas e di nuovi percorsi del “Pipelineistan”. Da un lato il controllo dei prezzi, dall’altro la questione delle rotte di trasporto: sta nascendo un’OPEC del gas (sebbene Putin preferisca ancora parlare di “joint venture” piuttosto che di cartello).

Oggi, a un quindicennio dalla fine della guerra fredda, i terreni di scontro tra Usa e Russia sono sorprendentemente simili: l’Europa dell’Est, il bacino del mar Nero, l’Ucraina, la Moldavia, la Georgia e l’Iran. Sessant’anni fa, l’Unione Sovietica propose all’Iran una partnership energetica. Ora Mosca sta offrendo non solo un accordo sul nucleare – costruendo il reattore nucleare di Bushehr – ma ancora una vera e propria partnership sull’energia, predisponendo la vendita del proprio gas nel modo più profittevole per entrambe le parti.

Putin è un accorto giocatore di scacchi. Respinte le accuse di aver usato la mano pesante su libertà civili e politica energetica, il Cremlino non ha bisogno di confrontarsi con l’occidente “colonialista”, come lo ha definito Putin stesso. Quello che occorre è impiegare nel miglior modo possibile gli ingenti flussi finanziari che stanno affluendo nel paese.

Il settimanale russo Vlast individua “una nuova russofobia in occidente, ipocrita e sbagliata”. La risposta della Russia è sfidare i paesi occidentali ad accogliere le sue condizioni. Il Cremlino definisce la sua linea di condotta interna “democrazia sovrana”.

Il quotidiano Kommersant sottolinea di continuo che “i paesi del blocco occidentale devono rispondere a una serie di condizioni poste dalla Russia, compreso il rifiuto delle regole imposte dall’Europa al mercato dell’energia, la sua specifica posizione riguardante l’Iran e l’assicurazione di non interferire negli affari interni russi.

Il messaggio di Putin al G8 è forte e chiaro: siamo tornati. E questa “nazione Gazprom”, che festeggia anche il prezzo dei 75 dollari al barile raggiunto dal petrolio, fa ormai le cose a modo suo – come, ad esempio, sterminare, con perfetto tempismo, il nemico pubblico numero uno: il leader dei ribelli ceceni Shamil Basayev; oppure scacciare i barboni e i venditori dalle strade, gli intellettuali e le varie voci dell’opposizione di fronte alla sede del summit del G8 a San Pietroburgo.

Non c’è teoricamente nulla che l’occidente possa fare. La Russia non ha più bisogno di lottare per entrare a farvi parte. Mosca si è risposizionata: al centro del sistema, adesso, c’è il Cremlino.

Prelazione è il nome (russo) di questo gioco. La partnership strategica russa con la Cina è stata rafforzata dal meeting di Shangai. Nell’ambito del delicato dossier sul nucleare iraniano, il ruolo di Mosca è estremamente flessibile, fortemente incentrato sulle sfumature – come del resto sono le relazioni di Mosca con il mondo arabo.

La Russia sta imponendo a Ucraina e Georgia il prezzo per il proprio gas. Prima o poi – più prima che poi – l’accordo per il gas con Iran e con l’Asia centrale potrebbe essere cosa fatta.

Pepe Escobar è tra gli autori dell'antologia Tutto in Vendita – Ogni cosa ha un prezzo. Anche noi, Nuovi Mondi Media, 2005.

Fonte: Asia Times
Traduzione a cura di Luca Donigaglia e Federico Costanza per Nuovi Mondi Media