Iran. La guerra economica contro Teheran
di Ferdinando Calda - 03/10/2012
Da Washington gridano al “successo” delle sanzioni. Da Tel Aviv tifano per una rivolta interna. Da Teheran annunciano misure contro questa “guerra economica all’Iran” e mettono in guardia dagli speculatori che ottengono mirano a “fare profitti con l’aumento dei prezzi” dei beni di prima necessità. Di sicuro c’è un dato: il forte deprezzamento del rial sul dollaro, causato da una penuria di valuta statunitense nelle casse iraniane. Dopo un altalenante declino, nei giorni scorsi la valuta iraniana ha registrato una sorta di “tracollo”, oltrepassando di colpo la soglia psicologica dei 30mila rial per 1 dollaro e perdendo, in appena una settimana, quasi un quarto del suo valore rispetto alla divisa Usa. Secondo i dati ufficiali, solo tra domenica e lunedì il cambio al mercato aperto rial-dollaro è passato da 29.700 a 32.800 (34.700 secondo altre stime). Una variazione che si attesta intorno al 40% in confronto all’inizio di settembre e del 130% rispetto all’autunno scorso, quando stavano per essere varate le più recenti sanzioni petrolifere e finanziarie da parte di Usa e Unione Europa messe in campo fra gennaio e luglio.Per cercare di fronteggiare la caduta della valuta, il 24 settembre Teheran ha inaugurato un Centro per lo scambio di valute estere. Secondo quanto riportato dai media, nelle scorse settimane il governo ha impedito a quasi tutti gli importatori di comprare dollari attraverso il cambio ufficiale della Banca centrale, fisso intorno ai 12.260 rial, indirizzandoli invece verso il nuovo Centro. Questo, in concreto, offre un cambio del 2% inferiore a quello del mercato nero. Il Centro, secondo il governatore della Banca centrale Mahmoud Bahmani, citato dall’agenzia Fars, dovrebbe riuscire a “diminuire la pressione del mercato”, grazie a una forte dotazione di valuta straniera (proveniente per lo più dalla vendita del petrolio) che riuscirà a “far scendere il cambio”.
Ma anche se il nuovo Centro riuscisse a combattere la caduta del rial sul mercato interno, resta aperto il problema della capacità dell’Iran di rifornirsi di valuta pregiata estera. Un’operazione resa particolarmente problematica dalle stringenti sanzioni di Usa e alleati contro la Banca centrale iraniana e gli altri istituti finanziari del Paese. Alla fine dello scorso anno, il Fondo monetario internazionale (Fmi) valutava le riserve iraniane intorno ai 106 miliardi di dollari, teoricamente sufficienti a garantire le importazioni per circa 13 mesi. Ora si stima che siano scese a 50-70 miliardi.
“Sono abbastanza” per i bisogni del Paese e per “continuare a far girare l’economia”, ha rassicurato ieri il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, aggiungendo però che sarà necessario indicare delle “priorità” nell’acquisto dei beni dall’estero. Ahmadinejad ha quindi puntato il dito contro le sanzioni statunitensi, alla base della svalutazione “anomala” del rial. “Il nemico ha imposto delle sanzioni contro la vendita del petrolio, da cui proviene una gran parte della valuta, e quel che è peggio, delle sanzioni contro gli scambi bancari per cui se si vende del petrolio non è possibile far entrare in Patria il denaro”, ha spiegato il presidente, denunciando la “guerra psicologica” ed economica contro l’Iran, “su scala planetaria”.
Tuttavia, mentre il presidente assicura che “non ci sono problemi di bilancio” e che si tratta di crisi passeggera “imposta dall’esterno”, gli avversari politici di Ahmadinejad accusano lui e il suo governo di essere la causa della svalutazione e della crescente inflazione (stimata tra il 20% e il 25% all’anno) che colpisce il Paese. Secondo il deputato conservatore Ali Motahari, il governo starebbe limitando l’immissione di valuta straniera nel mercato dei cambi per alzare il valore del dollaro e di conseguenza delle proprie riserve, nel tentativo di ripianare il deficit di bilancio creato dal calo delle esportazioni petrolifere e, soprattutto, dalla discussa riforma dei sussidi di povertà. Un piano ambizioso che persino l’Fmi definì positivamente come “uno dei più audaci mai tentati in Medio Oriente”.
E mentre l’opposizione politica attacca l’esecutivo di Ahmadinejad addossandogli le responsabilità della crisi economica del Paese, in Israele il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Avigdor Lieberman, si dice speranzoso che le sanzioni producano un effetto “catastrofico” sull’economia iraniana, tanto da portare la popolazione alla disperazione e innescare una sorta di “rivoluzione Tahrir” all’iraniana. Tuttavia è ormai da tempo che a Teheran stanno preparando le contromisure per resistere a un assedio economico che cerca di ridurre il popolo iraniano alla fame.