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Il Volto di Qana (I;II;III)

di Miguel Martinez - 19/07/2006

Il Volto di Qana (I)

In questi giorni, ho potuto scrivere poco.

Ma quello che sta succedendo a Gaza e in Libano, e la fantastica distorsione della realtà in cui siamo immersi, richiedono un commento.

Cominciamo con un'immagine che non troverete in televisione o sui giornali, e che risale a due o tre giorni fa.



So che tutte le centinaia di migliaia di bambini assassinati da piloti militari hanno lo stesso aspetto: questo poteva essere un basco di Guernica nel 1937, un italiano nel 1944, un vietnamita nel 1970, o un iracheno di Falluja nel 2004.

Giustamente questo omicidio non interessa nessuno, e forse non è un caso che non si veda nemmeno la faccia del bambino.

Però vale la pena sapere come sia morto quel bambino. Ce lo racconta il bellissimo blog di Angry Arab.

Questo bambino abitava in un villaggio nel sud del Libano. Gli israeliani avevano dato due ore a tutti gli abitanti per scappare, dopo di che il villaggio sarebbe stato raso al suolo.

Gli abitanti hanno cercato rifugio presso la vicina base dell'ONU, che li ha cacciati via, e quindi sono stati sterminati da qualche pilota israeliano di passaggio.

Ieri sera, immagino che quel pilota stesse ballando in discoteca, sfruttando al massimo il fascino della divisa. Proprio mentre Veltroni, Castelli, Fassino, Pera, Fini, Rutelli e Tajani fiaccolavano ecumenicamente a Roma, a suo sostegno.

Sembra che i militari dell'ONU avessero paura di ripetere l'esperienza di Qana: il 18 aprile 1996, gli israeliani uccisero 106 civili che si erano rifugiati in una base dell'ONU. All'epoca, il portavoce del governo americano, Nicolas Burns, riuscì, come sempre, a far cadere la colpa sulle vittime: "Hezbollah usa i civili come scudo. E' una cosa spregevole da fare, una cosa malvagia". [1]

Siccome certa gente in terra non sarà mai punita, possiamo solo augurarci che l'inferno esista davvero.

Non sono storie nuove, perché il modo di ragionare dei dominatori dell'aria è sempre uguale.

Scrive Sven Lindqvist, in quell'opera fondamentale che è Sei morto! il secolo delle bombe (Ponte alle Grazie, 1999), pp. 89-90:

L'aviatore scovò gli ottentotti su un piccolo altipiano a circa mille metri d'altezza sopra il livello del mare. "Stavano lì seduti in gruppetti e si scaldavano accanto a dei piccoli falò, poiché difficilmente riescono a superare la notte senza fuoco" scrive il giornale di Johannesburg The Star in un reportage sulla rivolta del Bondelzwart (Africa sud-occidentale) nel 1922.

Era l'alba di una domenica e l'aereo era carico di bombe e munizioni. "Quegli ometti giallognoli" furono colti assolutamente di sorpresa. Lassù avevano spesso cercato rifugio dai loro nemici: dieci uomini potevano tenere la cima della montagna contro un esercito intero. Adesso erano d'improvviso alla completa mercé del pilota d'aereo.

"Le bombe cadevano da un'altezza di 30 metri. Le mitragliatrici aprivano il fuoco. Molti di loro precipitarono dentro la gola... Morirono a dozzine. Quelli che riuscirono a fuggire si disperdevano in ogni direzione.

"Adesso le loro greggi sono state disperse. Montagne di carcasse sono ammucchiate nelle riserve. Le capanne sono state rase al suolo dal fuoco.

"Stando alle dichiarazioni dei prigionieri, gli ottentotti sono stati completamente annientati da questo nuovo modo di combattere le rivolte.

"Gli indigeni finiranno presto per scoprire che l'aeroplano ha precluso loro ogni possibilità di fare guerra".

Eppure gli ometti giallognoli di questo mondo non sempre piegheranno la testa.

 


[1] Steven Erlanger, Christopher Sees Syria Chief in Bid on Lebanon Truce, The New York Times, April 21, 1996. 

Il Volto di Qana (II)

Quello che è successo in questi giorni, fa seguito a due avvenimenti importanti.

Il primo, più noto, è l'attacco israeliano a Gaza, su cui ritorneremo.

Il secondo, di cui probabilmente non avrete sentito parlare, è la scoperta, mezzo mese fa, in Libano, di una cellula di sicari guidati da un ex-poliziotto.

I killer erano stati assoldati da Israele, e avevano compiuto una serie di omicidi, tra cui quello del palestinese Mahmud al-Majzub, ucciso assieme a suo fratello con un'autobomba a Sidone il 26 maggio scorso, e dei dirigenti di Hezbollah, Ali Saleh e Ali Hassan Dib, e di Jihad Jibril, il figlio del fondatore del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

Il 26 maggio, per chi non lo avesse notato, è meno di due mesi fa.

Cioè, meno di due mesi fa, una squadra di assassini prezzolati ha piazzato una bomba in una macchina, che poi è stata fatta esplodere tramite un comando impartito da un aereo che è passato sopra, ovviamente violando lo spazio aereo libanese.

Siamo in guerra, e non mi scandalizzo particolarmente. Mahmud al-Majzub era un combattente, che aveva fatto la scelta di resistere all'oppressione e di non chinare la testa. E di questi tempi, chi non china la testa sa di essere condannato a morte.

Quello che invece è scandaloso è il fatto che tutti i media occidentali, in questi giorni, ci raccontino di un attacco da parte del Hezbollah, gratuito e non provocato, contro Israele.

Come al solito, il problema non è Israele, che fa più o meno quello che farebbe qualunque stato se si potesse permettere sempre e ovunque ciò che vuole. Anche il Paraguay bombarderebbe Buenos Aires e compirebbe rapimenti in Bolivia se potesse.

Il problema è chi permette a Israele di fare sempre e ovunque ciò che vuole; e chi fa le fiaccolate a sostegno delle sue aggressioni.

Proprio in questi giorni, il governo libanese avrebbe dovuto presentare una protesta per quello che ha definito un "atto di aggressione" davanti all'ONU.

L'ambasciatore statunitense, Jeffrey Feltman, ha immediatamente minacciato un "impatto negativo" sui rapporti tra Stati Uniti e Libano in caso venisse presentata la denuncia. Poi uno si chiede perché qualcuno fa a meno dell'ONU, prende le armi e si difende da solo.

Prigionieri

Sia la Palestina che il Libano convivono con l'immenso dramma del carcere. Dal 1967 a oggi, è stato calcolato che 650.000 nativi palestinesi sono passati per le carceri israeliane: questo su una popolazione attuale, nei territori occupati, di circa 3,5 milioni di persone. Facendo le dovute proporzioni, è come se 11 milioni di italiani fossero stati, in qualche momento della loro vita, in prigione.

Questo vuol dire che non esiste una sola famiglia palestinese che non abbia conosciuto il carcere.

Non esiste palestinese che non abbia visto picchiare il proprio padre.

Non esiste palestinese che non abbia visto degli stranieri devastargli casa.

Non esiste palestinese che non sia cresciuto negli urli di uomini con gli stivali che gli ordinavano di umiliarsi.

Non esiste palestinese che non si ricordi di aver avuto il terrore del yahûd, che non si vergogni di essersela fatta sotto dalla paura.

A me interessa poco sapere se la vita nei campi di detenzione nel deserto del Negev sia peggiore di quella, poniamo, in un carcere pakistano. Questo è un tipico dilemma da umanitari, che lascio a quelle persone che non cercano mai le cause delle cose, ma vorrebbero solo alleviare i sintomi. E lascia aperte infinite, stupide disquisizioni, sul tipo, "in Israele ti picchiano e basta, mentre in Liberia ti tagliano il piede". Cosa che ci dovrebbe far immedesimare in chi si limita a picchiare.

Quello che è importante è cogliere i punti fondamentali del sistema carcerario israeliano, che lo distinguono, ad esempio, da quello italiano.

Prima di tutto, vengono punite proprio le scelte etiche: quasi tutti i palestinesi che sono andati in carcere, ci sono andati, non per aver spacciato droga, ma per aver tenuto la testa alta, quando gli si diceva, devi strisciare per terra.

Secondo, il sistema di "detenzione amministrativa" implica che non si sa perché ci si trova in carcere, non si possiedono diritti e non si sa quando, né se, si uscirà.

Terzo, l'incarcerazione è su basi esclusivamente ed esplicitamente razziali, come razziale è la divisione delle strade per ebrei e non ebrei, o razziale la libertà o l'impossibilità di muoversi. Se sei nato a Varese, ma sei della razza giusta, puoi girare con il Kalashnikov a Hebron. Se sei nato a Hebron, e ti trovi a Hebron, ma non sei della razza giusta, devi accettare che il primo varesotto che passa ti vieti di andare a scuola, ti tiri i sassi o ti impedisca di portare tua moglie a partorire in ospedale.

Quarto, lo scopo del sistema carcerario israeliano non è di rieducare, ma di estrarre informazioni. Non è importante la severità delle torture inflitte: il punto non è il sadismo, che esiste ovunque. E' che tutti devono essere spinti al punto di tradire i propri amici. Per ottenere un risultato di questo tipo, in una società tutta basata sui rapporti di solidarietà, di famiglia, di intensa amicizia, si deve smontare sistematicamente e distruggere ogni individuo che finisce dentro la rete.

In particolare, questo avviene dentro una società araba. Contrariamente ai pacifisti, che tendono a smussare le differenze culturali, io ritengo che una cultura arabo-islamica esista, anche se ovviamente non nella versione caricaturale degli islamofobi. E questa cultura arabo-islamica dà un valore eccezionale alla dignità della persona, che non deve mai essere umiliata. Chi conosce il nostro meridione, ha un'idea, anche se parziale, di questo senso di rispetto e di cortesia.

Mentre l'intero sistema del dominio consiste nel ricordare ai dominati che non devono osare fiatare, e che il dominante può entrare nelle loro case in qualunque momento, può tagliare i loro ulivi come gli gira, può ordinare loro di sdraiarsi per ore sull'asfalto, fpuò mettere le mani addosso ai bambini e alle donne.

Ecco perché la liberazione dei prigionieri è una questione molto più grave di quello che potrebbe mai essere da noi. Forse perché agli arabi, privati di tutto il resto, è rimasta una briciola di dignità in più rispetto a noi.

Oggi ci sono circa 10.000 o 12.000 prigionieri palestinesi: le cifre variano, probabilmente secondo i momenti e le definizioni, comunque è come se ci fossero in Italia 170.000 persone in carcere solo per le loro idee o le loro azioni politiche.

Per questo, un gruppo armato palestinese ha recentemente preso prigioniero un soldato israeliano, chiedendo in cambio il rilascio delle sole donne e minorenni nelle carceri e nei campi israeliani.

In passato, Israele ha più volte accettato scambi di prigionieri, a differenza di altri paesi.

La cosa non è sorprendente: Moro fu sacrificato per la sacralità delle istituzioni, ma Israele è ciò che in sociologia si chiama una Herrenvolk Democracy, cioè uno stato che non ha un particolare culto delle istituzioni astratte, ma si tiene insieme per l'enorme valore attribuito a ogni singolo membro di una certa etnia, che gode di diritti certamente notevoli. Tra cui il diritto di contare sulla protezione dello stato in ogni momento. Inoltre, esistono possibilità illimitate di procurarsi nuovi prigionieri arabi.

Negli ultimi trent'anni, Israele ha rilasciato circa 7.000 prigionieri, in cambio di 19 israeliani vivi, e dei corpi di altri otto.

Nel 2004, Israele rilasciò ben 429 prigionieri in cambio di un unico imprenditore israeliano e dei corpi di tre soldati morti: è interessante notare che tra i prigionieri rilasciati, ce n'erano alcuni che Israele aveva catturato proprio allo scopo di scambiarli.

C'è qualcosa di grandiosamente imperiale e rassicurante in questo scambio, dove persino il corpo morto di un uomo bianco vale decine e decine di indigeni. La tecnologia fa di questi miracoli: la proporzione di israeliani e di libanesi morti in questi giorni è, al momento, di 1 a 41.  

Il Volto di Qana (III)

"Nel mio primo discorso in questi giorno dopo l'Operazione Promessa Veritiera, vorrei dire alcune parole - una parola al popolo libanese, una parola ai combattenti della resistenza, una parola ai sionisti e una parola ai dirigenti arabi. Non ho parole per la comunità internazionale, perché non ho mai creduto, per un solo giorno, nell'esistenza di una comunità internazionale, e questo è proprio ciò che molti nella nostra nazione sentono".
Sayyed Hassan Nasrallah, 16 luglio 2006

Nella società libanese, il dramma dei prigionieri è un argomento di immensa importanza.

Khiam, nel sud del Libano, è diventata una delle carceri più famigerate del mondo, dopo la precipitosa fuga degli aguzzini sei anni fa. Migliaia di libanesi sono stati torturati nelle sue minuscole celle, e molti sono morti. Il carcere fu gestito direttamente dagli israeliani fino al 1987, quando il controllo passò ufficialmente alle milizie cattoliche del SLA [2]. Oggi è la sede di un centro dedicato lotta contro la tortura e ai diritti umani.

Il movimento del Hezbollah è nato in questo durissimo contesto di resistenza contro uno degli eserciti più potenti del mondo.

So che nessuno darà mai una definizione credibile della parola "terrorismo": se indica l'uccisione di civili per convincere i governi a cambiare politica, è esattamente ciò che sta facendo Israele adesso, bombardando indiscriminatamente il Libano. Se invece indica semplicemente un movimento non riconosciuto come stato, dovremmo condannare la resistenza su cui si fonda ufficialmente l'Italia.

Fa comunque impressione vedere i media che definiscono tranquillamente Hezbollah come "movimento terrorista".

Hezbollah è infatti una costellazione di organizzazioni, sorte nel mondo emarginato della Shi'ah libanese - circa il 45% della popolazione - che ha sempre saputo agire con lucidità e senza perdere la testa. Nei lunghi anni di lotta contro l'occupazione ha sempre colpito bersagli militari, responsabili di un'invasione illegale da qualunque punto di vista.

Ricordiamo, tra l'altro, che il pretesto per l'invasione del Libano nel 1982 fu un attentato (non mortale) contro l'ambasciatore israeliano a Londra da parte di una piccola fazione palestinese, in rotta con tutte le altre.

Esattamente come il pretesto per la Kristallnacht, il primo grande pogrom di ebrei nella Germania nazista, fu l'omicidio di Ernst vom Rath, un dipendente dell'ambasciata tedesca a Parigi, da parte di un giovane ebreo. Visto che i morti durante l'invasione israeliana del Libano furono circa 20.000, mentre quelli della Kristallnacht furono un centinaio, almeno in questo caso è meglio non fare paralleli tra sionisti e nazisti.

Hezbollah è l'unica forza nel Vicino Oriente che possa dire di avere sconfitto Israele militarmente. Allo stesso tempo, ha saputo organizzare la vita quotidiana della comunità e ha avuto l'intelligenza di rinunciare a ogni progetto di creazione di uno stato islamico in un paese multiconfessionale. Ho conosciuto tanti libanesi, laici, di sinistra e anche cristiani, che si sono avvicinati a Hezbollah in questi anni, attratti dalla disponibilità e dal pragmatismo di questo movimento.

Durante lo scambio di prigioneri del 2004, l'ispiratore di Hezbollah [3], Sayyed Hassan Nasrallah dichiarò che era rimasta in sospeso la questione di tre detenuti che Israele si rifiutava di rilasciare (uno si trova in carcere da 27 anni), e della sorte di alcuni altri su cui Israele si rifiutava di dare informazioni. Tutte cose che, secondo i libanesi, facevano parte dell'accordo iniziale. Anche se tre prigionieri possono sembrare pochi, sono esattamente lo stesso numero di prigionieri per cui Israele fa quel che fa, in Libano e a Gaza.

Non a caso, la cattura dei prigionieri israeliani da parte dei combattenti di Hezbollah la settimana scorsa porta il nome di "Operazione Promessa Veritiera", perché compie la promessa del 2004. Ed è stata intrapresa solo dopo il fallimento di negoziati segreti.

Quale fosse lo scopo di questa operazione, progettata per cinque lunghi mesi, lo ha spiegato chiaramente lo stesso Nasrallah: "Ciò che abbiamo fatto è l'unico modo fattibile per liberare i detenuti nelle carceri israeliane".

Ora, un giornalista in buona fede dirà che Hezbollah ha sequestrato due soldati israeliani per ottenere la liberazione di tre libanesi detenuti nelle carceri israeliane, a un mese e mezzo di distanza da un attentato israeliano su suolo libanese. Esattamente come scriverà che gli israeliani hanno attaccato il Libano per ottenere la liberazione dei loro soldati.

Poi potrà dire tutto il bene o il male che vuole di una simile impresa.

Un giornalista in mala fede nasconderà deliberatamente il motivo per cui Hezbollah ha sequestrato i soldati israeliani.

A questo punto, la premessa per ogni giudizio diventa un "gratuito attacco non provocato". A quel punto, il lettore è costretto mentalmente a discutere solo di quanti libanesi devono essere "puniti": tutti, diranno quelli di destra; solo quelli di Hezbollah, diranno quelli di sinistra.

E' questo genere di manipolazione e di falsificazione delle basi stesse del discorso che rende terribilmente difficile discutere dei conflitti del Vicino Oriente.