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La montagna e i suoi simboli

di Luciana Busatto - 11/10/2005

Fonte: estovest.net

La simbologia della Montagna è profondamente radicata in molte tradizioni e riporta sempre ai concetti di stabilità, elevazione, centro. È anche simbolo dell'intera manifestazione nonché dello spazio propriamente umano. 
La forma grafica del triangolo iniziatico è pure una rappresentazione simbolica del Monte la cui base coincide con la terra, mondo della manifestazione corporea (Bhu), la cima tocca il Cielo, regno del non-manifesto (Swar) e lo spazio intermedio, l'atmosfera, raccoglie il mondo della manifestazione sottile (Bhuvar).
Questa triplice ripartizione, nell'uomo (microcosmo) corrisponde al corpo, anima e spirito, e a livello macrocosmico prende il nome di Mahanga, o regno di tutta la materialità del Cosmo, Mahatma o anima universale e Brahatma o regno dello Spirito Divino. 
Ordinariamente l'uomo vive ai piedi della Montagna immerso in una realtà densa, frazionata, di dispersione e lontano dalla perfezione. 
Proprio come nel dantesco “Nel mezzo del cammin di nostra vita” egli si ritrova in una selva oscura senza riuscire a scorgere la giusta via.
Allo stesso modo Arjuna, nel campo di battaglia, confuso, disperato, privo di ogni desiderio di vittoria, di regni o di piaceri, aggiogato dai suoi sentimenti, chiede lumi a Krisna, il suo maestro e guida, perché gli indichi la via per intraprendere la giusta azione (1).
Oltrepassare questa condizione ordinaria significa intraprendere la scalata della Montagna il cui compimento rappresenta per l'uomo la completa realizzazione di tutte le sue possibilità.
Si tratta di raggiungere non tanto un luogo ma uno stato in cui si riveste la funzione di Re del Mondo o Sovrano-Pontefice, cioè di colui che è capace di essere mediatore tra questo mondo e i mondi superiori.
Nello Yoga, colui che ha raggiunto la cima del Monte realizzando, quindi, completamente la sua funzione regale è chiamato Yogaruda. Garuda è l'aquila, capace di elevarsi oltre la cime, ove dimora, e di fissare direttamente il sole (lo Spirito Divino). Essa occupa infatti quel luogo centrale in cui avviene una comunicazione diretta tra il mondo terrestre e quello divino.
Garuda è anche la cavalcatura di Vishnu, divinità solare, protettore dell'Universo, guerriero e custode della tradizione: la cima del Monte, come vedremo in seguito, è anche luogo della conservazione della Tradizione.
Scopo del viaggio (e anche dell'iniziazione) non è solo quello di raggiungere la vetta del Monte, ma di proseguire il viaggio oltre, elevandosi a stati ancora superiori. Al di sopra della Montagna Sacra oltre i tre Mondi (Bhu, Bhuvar e Swar), si incontrano infatti realtà non più connesse con il mondo manifesto (Mahah, Janah, Tapah e Satya) che corrispondono alle gerarchie angeliche ove non vi è più nulla di propriamente "umano" e ancora oltre, verso l'obiettivo ultimo del viaggio, verso Colui che è l'Origine del tutto e dal quale tutto dipende, ossia “L'Amor che muove il Sole e l'altre Stelle” (Dante - Paradiso).
Nella Cosmogonia indù, la Montagna sacra è Meru (2) che in certe rappresentazioni è collocata al centro di un grande fiore di loto (3) i cui sette petali costituiscono i continenti che nelle varie epoche storiche emergono rappresentando il mondo terrestre.
Sette sono anche le direzioni nello spazio che in India sono i quattro punti cardinali, lo Zenith, il Nadir e il centro stesso.
Se pure ogni faccia di Meru ha un suo colore, il Monte, nel suo insieme, è bianco (4) e per questo è anche chiamato la Montagna Bianca.
Il mondo terrestre (Jambudwipa), si dice sia posto al Sud del Monte Meru, pertanto Meru mostra alla terra il suo lato sud, di colore turchese ove la luce si riflette provocando il colore azzurro del cielo.
Così si legge in alcuni versi tratti dalla raccolta "I centomila canti di Milarepa":
“... Il prezioso Monte Meru
lo Stupa al centro dell'Universo,
A Sud emana una luce di puro turchese;
Essa è il grande ornamento del
Firmamento di Zambuling” (5)
Considerato quindi che l'alternato emergere del "mondo terrestre" in posizione sempre diversa attorno a Meru provoca un diverso orientamento della Terra rispetto al Monte, è comunque da rilevare che Meru conserva in ogni caso la sua immobilità e centralità.
L'uomo, per intraprendere l'ascensione, deve pure dimorare al centro della propria individualità e, attraverso un adeguato cammino, deve poter "scendere" nella propria Natura Essenziale, punto di partenza per elevarsi verso la Cima.
Anche Dante inizia il suo viaggio da una posizione di centralità sia temporale (“nel mezzo del cammin di nostra vita”) che spaziale, scendendo prima al centro della Terra e da questo risalendo verso il Cielo.
Il Centro rappresenta quindi l'Origine di tutte le cose da dove, per la sua stessa potenza (Shakti), si diparte l'intera manifestazione che gli ruota attorno, dispiegandosi in tutte le sue possibilità con un'azione centrifuga che trova ulteriori espressioni sempre più lontano dal centro stesso.
Ritornare all'Origine delle cose significa riavvicinarsi al centro (6) ritrovando la saldezza dell'immobilità e dell'eternità.
Questa idea di immobilità e di stabilità del Monte è ancor più suggerita da certe immagini in cui Meru si erge su di un'isola circondata da un mare agitato.
L'acqua è simbolo della materia prima di Prakriti, la Potenza creatrice, da cui ogni cosa manifesta ha avuto origine ed è il luogo dei continui mutamenti, delle cose assoggettate alla temporalità (7).
Ma questo mare agitato non toccherà la Cima del Monte, come il diluvio non potrà raggiungere il Paradiso Terrestre trovandosi questo al di là del mondo dei mutamenti.
La Cima rappresenta anche il luogo in cui la Tradizione viene conservata: ma come il Paradiso Terrestre è divenuto inaccessibile, così lo può divenire la Tradizione, lontana e nascosta, come fosse perduta, ma conservata in alcuni centri occulti, ovvero sulle Cime inaccessibili.
Anche l'Arca può essere il luogo della conservazione della Tradizione e non solo nella cultura cristiana.
Nei testi puranici dell'India si narra di Satyavrata che, sotto le vesti di un pesce, dopo aver appreso dell'imminenza della distruzione del mondo da parte delle acque, costruisce un'Arca, come ordinatogli da Vishnu, ove poter conservare i germi del mondo futuro e, dopo il diluvio, portare agli uomini i Veda, cioè la Tradizione. È evidente l'analogia con la vicenda di Noè che salva il seme della vita nell'Arca, dimora protetta da Dio.
Salire la Montagna per raggiungere la Vetta, comporta il progressivo abbandono dei mezzi che sono stati utili alla "scalata" ed anche il distacco da un mondo tutto esteriore fatto di nomi e di forme che velano la Realtà Assoluta (8).
Nella Bhagavad Gita questo distacco implica necessariamente 'l'azione senza desiderio' (nishkama karma), la rinuncia ai frutti dell'azione.
La consapevolezza che nulla esiste al di fuori del Principio porta a quella "povertà spirituale" ritenuta da varie Tradizioni essenziale per poter ritornare alle proprie Radici, alle Origini (qui rappresentate come la Cima del Monte).
Solo nello stato di perfetta semplicità, caratteristico del ritorno allo stato primordiale, ci può essere pura contemplazione che porta alla Conoscenza della ragione prima delle cose.
“Questa "povertà" (in arabo el-faqr) conduce, secondo l'esoterismo mussulmano, a el-fana, cioè all'"estinzione" dell'"io"; per mezzo di questa "estinzione" si perviene alla "stazione divina" (el-maquam el-ilahi), che è il punto centrale dove tutte le distinzioni inerenti ai punti di vista esteriori sono superate, dove tutte le opposizioni sono cancellate e risolte in un equilibrio perfetto.”
(Guénon, Scritti sull'esoterismo islamico e il Taoismo, Ed. Adelphi - 1993 - pag. 48)
L'estinzione dell'io è il superamento del molteplice per il raggiungimento della Vetta, unico punto nel quale vi è comunicazione, via di passaggio, verso il Cielo.
Nel simbolismo evangelico, questa via di passaggio è anche una porta stretta, la "cruna dell'ago" attraverso la quale i "ricchi" non possono passare in quanto sono stati incapaci di impoverirsi delle loro "molteplicità" e pertanto non hanno saputo ascendere dal sapere distintivo alla Conoscenza unitaria rimanendo prigionieri indefinitamente dei cicli di manifestazione.

La scalata del monte nella tradizione Yoga.

Quanto è stato finora detto e riferito alla simbologia della Montagna e all'ascensione verso la vetta, possiamo ora rileggerlo a livello microcosmico, attraverso la tradizione yogica, in cui l'uomo non solo è parte del tutto ma è il tutto ed il suo corpo è omologato al cosmo.
Ecco allora che la via iniziatica di autorealizzazione, seppure attraverso pratiche diversificate, rende il cammino simile alla "scalata del monte" ove il monte rappresenta lo spazio propriamente umano ed il raggiungimento della cima è il recupero della condizione edenica (9).
Nel Kundalini Yoga la colonna vertebrale è il Merudanda ed ha nel corpo la stessa funzione che il Monte Meru svolge relativamente alla Terra (Macrocosmo).
Il cammino di realizzazione avverrà dunque verticalmente risalendo il Merudanda (che prende anche il nome di Brahmasutra, il filo che unisce a Brahma) a partire dal bacino, la Coppa Inferiore (ove stagnano le acque inferiori, mortali) fino alla testa, la Coppa Superiore (il Firmamento ove scorrono le acque superiori) attraverso vari stadi intermedi, espressi nei chakra, posti lungo la colonna vertebrale, centri di tutte le indefinite modalità di esistenza.
Nella iconografia classica la rappresentazione di ogni centro è arricchita da una complessa e affascinante simbologia (10) che svela il progressivo cammino, durante l'ascensione, verso modalità dell'essere sempre più sottili.
Le divinità maschili e femminili dei vari centri, gli oggetti che impugnano, i loro addobbi, gli animali simbolo, le forma geometriche, i colori, ecc., tutto riporta ad un'idea di progressivo "raffinamento", di "ascensionw", di "unificazione".
Basti pensare ai Bhuta, elementi primi della natura che, dal basso verso l'alto, dal muladhara chakra al vishudha chakra sono, nell'ordine: la Terra, l'Acqua, il Fuoco, l'Aria, l'Etere (dal più pesante al più sottile); sono gli stessi elementi che nell'alchimia operano per rigenerare l'uomo comune e profano e risvegliarlo alla sua Natura Reale celata dal suo essere apparente.
Oppure si pensi alle lettere dell'alfabeto sanscrito che appaiono nei petali dei fiori di loto che accolgono le iconografie dei chakra.
Tutte le consonanti, espressioni più pesanti della sonorità del linguaggio, sono raccolte nei primi quattro chakra; poi, in vishudha, dove regna l'elemento Etere, appaiono le sedici vocali, anima delle consonanti, quelle che danno loro un suono.
Quindi in ajna chakra, ultimo lembo di quanto c'è nel mondo della manifestazione, la pluralità dei suoni è riassunta nel Pranava "AUM" che tutti li comprende e di tutti è l'origine, il suono primordiale (11) che richiama all'esistenza il Cosmo, che separa il formale dall'informale, la Manifestazione dal Principio, Shakti da Shiva.
Nello Yoga il corpo è quel luogo sacro ove l'uomo può operare per rinascere alla sua Umanità ed elevarsi oltre, ritrovando la sia forma Celeste (Swarupa) fino a dissolversi nell'Assoluto, nell'uno-senza-secondo, nel Principio.
Nella pratica del Kundalini Yoga alla base della colonna vertebrale, nel muladhara chakra, giace Kundalini, la Potenza (Shakti) simbolo della manifestazione, del molteplice, della materia.
Sollecitata con opportune tecniche Kundalini si risveglia dal suo torpore e si eleva, da un centro all'altro, passando attraverso modalità dell'essere in cui Shakti assume differenti aspetti e dove ciò che è grossolano viene assorbito progressivamente in ciò che è più sottile in un cammino che è opposto a quello della Manifestazione, e rappresenta il Pralaya, ossia il riassorbimento della Manifestazione nel Principio, del Molteplice nell'Uno (12).
Scopo finale del Kundalini Yoga è l'unione di Shakti con Shiva in sahasrara chakra, posto alla sommità del capo, sede di Parama Shiva-Shakti che è lo stato di Pura Coscienza (Svarupa Jnana).
Questa reintegrazione dei poli opposti, nella tradizione tantrica, è rappresentata dall'Hardhanari, l'androgino indiano, metà Shiva e metà Shakti, mentre il Maithuna è il rituale che mediante l'unione sessuale realizza l'Unità delle origini.
Analoghi sentieri verso la reintegrazione sono percorsi nelle più diversificate tecniche appartenenti alla disciplina dello Yoga (13).
La preliminare operazione di "ritiro in sé", pratyahara, porta a distogliere l'attenzione dagli oggetti esterni comprendendo in questi anche quelli creati dai sensi e dal subconscio e che normalmente regnano nella nostra mente, teatro di un flusso incontrollato di pensieri.
L'ekagrata (14), attraverso vari esercizi e tecniche, porta al controllo delle radici di questo "affollamento" del mentale, focalizzando l'attenzione in un solo punto (un oggetto, un pensiero, una vibrazione, una divinità, ecc.).
La ricerca di questa preliminare "centratura" equivale al bisogno di dimorare al centro della propria individualità come necessario punto di partenza per poter "scendere" nella propria Natura Essenziale e per poi elevarsi verso la Cima e la completa reintegrazione, meta del nostro cammino.
L'idea, tanto richiamata nella simbologia del monte, di immobilità e di stabilità, è senz'altro ripresa nell'asana che, lungi dall'essere un esercizio fisico o salutistico o una semplice posizione, rappresenta un progressivo affrancarsi dalle modalità di dispersione dell'essere: come l'ekagrata è la concentrazione dell'attenzione in un solo punto, così essa è la "concentrazione" del corpo in una sola posizione.  
Analogo lavoro viene eseguito con il respiro che normalmente è agitato, aritmico, modificato costantemente dalle circostanze esteriori e dalle emozioni con conseguente instabilità e dispersione della concentrazione ed agitazione della mente.
Ritmando il respiro, con l'attenzione fissa in un solo punto, è possibile oltrepassare la modalità profana dell'essere, sottrarsi all'agitazione procurata dalle tensioni esterne ed immergersi in se stessi collocandosi al di là degli opposti.
Ecco che è stato compiuto realmente un primo passo verso l'abolizione di quell'aspetto tipico dell'essere umano che è fatto di movimento, agitazione, mancanza di ritmo ed armonia e dispersione mentale.
Questo cammino verso l'unificazione comporta un'ascesi, una progressiva trasformazione attraverso la pratica di questa disciplina che trova negli yama e nei niyama (15) i mezzi essenziali per arricchire, e nello stesso tempo per impoverire, attraverso l'abbandono e il distacco da quanto non è parte dell'essenziale.
Ogni buon praticante sa che le tecniche, come i maestri, non sono che strumenti, senz'altro necessari alla scalata del monte, ma che non sono il fine dello Yoga e che la reintegrazione finale avviene nella solitudine della Vetta dopo che è stato effettuato l'estremo abbandono di ogni strumento utile all'ascensione, nonché delle modalità propriamente umane dell'essere.
Questa povertà assoluta diverrà l'unica ricchezza quando, abbandonate le nebbie (Avidya) della pianura, dopo aver percorso i primi sentieri appoggiati al bastone e alla nostra guida, l'aria si farà più leggera, la luce più chiara e il Sole sarà direttamente visibile ai nostri occhi, come nel mantra vedico
“Yat sanoh sanum aruhat”
(innalzandoci da uno stadio all'altro il sentiero si fa sempre più chiaro) (16) 

                           Luciana Busatto 

 

NOTE
1) Bhagavad Gita - Cap. I V. 32 "Io non desidero vittoria, Krisna, né regno, né piacere..."
B.G. - cap. 2 v. 6: "Tutto il mio essere è smarrito per questo mio debole sentimento e la mente non comprende il dovere;..."
2) Oltre a Meru altri Monti vengono considerati sacri in India, ad esempio Kaylasa, residenza del Dio Siva, posto al centro dell'Universo e rappresentato come una piramide a vari gradini, ognuno dei quali rappresenta una diversa modalità dell'essere.
3) Sono varie anche le rappresentazioni della collocazione di Meru.
4) “Questo settimo termine non è un colore più di quanto il Centro non sia una direzione, ma che, come il Centro è il principio da cui procede tutto lo spazio con sei direzioni dev'essere anche il principio da cui sono derivati i sei colori e nel quale essi sono sinteticamente contenuti” (Guénon, Simboli della Scienza Sacra, Adelphi - pag. 303).
5) Zambuling è la nostra terra emersa e corrisponde al sanscrito Jambu-dwipa.
6 ) Il riavvicinamento al centro corrisponde anche alla risalita di un fiume o, ancora meglio, all'inversione della corrente del fiume stesso.
7) Gesù nel Cristianesimo, come anche Vishnu nel Narayama, cammina sulle acque a dimostrare la sua capacità di dominare il mondo delle forma.
8) “Andare a vivere in posti isolati e selvaggi è l'azione esterna. Coltivare il distacco dai cinque aggregati è l'azione interna. Tagliare ogni radice d'ignoranza è l'azione ultima [...]. Queste tre azioni sono potenti come il Garuda nel cielo che col suo splendore sottomette tutti gli altri uccelli" (da I centomila canti di Milarepa).
9) Condizione edenica: Adamo nel Paradiso Terrestre è l'immagine di Dio e rappresenta quindi l'Unità del Principio, il luogo della dissoluzione degli opposti nel Centro. Quel luogo è designato nella tradizione indù, col nome di un'unica casta chiamata Hamsa che è collocata oltre le altre quattro caste e ove l'uomo possiede un livello spirituale perfettamente integrato al Principio.
10) Vedi il testo Shatchakra nirupana in Il potere del serpente di A. Avalon, Ed. Mediterranee.
11) “L'essenza di tutti gli esseri è rappresentata dalla terra,
l'essenza della terra è l'acqua,
le piante sono l'essenza dell'acqua,
l'uomo è l'essenza delle piante,
l'essenza dell'uomo è il Verbo,
l'essenza del Rig-Veda è il Sama-Veda,
l'essenza del Sama-Veda è l'Udgitha (OM),
questo Udgitha è il migliore, la più elevata di tutte le essenze,
e merita il più alto posto:
l'ottavo”.
Chandogya Upanishad.
12) “Sperimentate appieno le modalità dell'essere governato dal chakra in questione, queste si pacificano e si riassorbono nel chakra superiore. Questo riassorbimento, che avviene nella dimensione microcosmica dell'ambito umano e in quella macrocosmica della natura, è il paradossale percorso a ritroso nel processo di manifestazione: se all'alba dell'essere la Shakti ha manifestato la pluralità condensandosi in una sequela discendente di elementi "materiali" costitutivi dell'Universo, kundalini
ascendendo riconcentra in sé il molteplice manifesto, dalle forme più grosse alle più sottili.” (Marilia Albanese, Lo Yoga, Xenia, pag. 67).
13) "Yoga" ha la sua radice nel sanscrito "Yuj" che ha analogo significato nel latino "jugum" e vuol significare l'unione tra una realtà "inferiore" e una "superiore"
14) L'ekagrata è la concentrazione in un solo punto. "Fissazione, osservazione, ascolto, comprensione, intervento e trasformazione sono le tappe successive che nella pratica dell'Ekagrata applicata agli asana permettono di vivere la dimensione fisica in ogni sua potenzialità, trasformando il corpo gravato dal fardello Karmico in strumento di liberazione" (Marilia Albanese, Lo Yoga, Xenia, pag. 35).
15) Yama e Niyama:
16) RG VEDA.


BIBLIOGRAFIA

"Simboli della scienza sacra" – René Guénon – Ed. Adelphi 1990
"Scritti sull'esoterismo islamico e il Taoismo" – R. Guénon – Ed. Adelphi 1993 
"Il Re del Mondo" – René Guénon – Ed. Adelphi 1977
"La Grande Triade" – René Guénon – Ed. Adelphi 1980 
"L'esoterismo di Dante"- René Guénon – Ed. Atanòr 1990
"Bhagavad Gita" Ed. Asram Vidya 1981
"Dizionario dei Simboli" – J. Chevalier, A. Gheerbrant – BUR Dizionari
"I Centomila Canti di Milarepa" – Ed. "Rassegna Culturale J.M." 1989 
"Il Potere del Serpente" – Arthur Avalon – Ed. Mediterranee 1987 
"Lo Yoga" - Marilia Albanese – Ed. Xenia 1998