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È il liberismo che crea i monopoli

di redazione - 19/07/2006

Presentata la relazione annuale dell’Antitrust

Col pretesto della concorrenza si spiana la strada ai grandi gruppi economici

Che in passato l’Antitrust abbia avuto i
suoi meriti è un fatto. E nessuno lo nega.
Anche se è doveroso ricordare che spesso
le multe miliardarie irrogate dall’Authority
sono state poi ridimensionate dai tribunali
amministrativi. Con questa Relazione
annuale, però, l’Antitrust si sbilancia
esageratamente a favore del Governo
e del Dl sulle liberalizzazioni. Il Garante,
Antonio Catricalà, tesse le lodi del decreto
e auspica che ora si resista «alle pressioni
delle lobbies, altrimenti potrebbe
diffondersi la sensazione dell’inutilità di
ogni sforzo». Troppo fervore, francamente.
Diamo pure addosso alle lobbies dei
tassisti o degli avvocati, ma ricordiamoci
che il pericolo principale sono gli oligopoli.
E, a maggior ragione, i monopoli.

Megaspot sulle liberalizzazioni,
atto secondo. Dopo
il decreto legge di fine giugno,
e il coro di apprezzamenti da
parte dei vari potentati imprenditoriali
e finanziari, ecco un ulteriore avallo
alle scelte del Governo: sotto la
forma, un tantino paradossale, della
Relazione annuale dell’Antitrust.
In teoria, com’è noto e come sta a
indicare il suo stesso nome, l’Authority
presieduta da Antonio Catricalà
ha il compito di vigilare sull’economia
nazionale, a tutela della concorrenza
reciproca e della correttezza nei
confronti dei consumatori. In teoria.
Di fatto, l’efficacia della sua azione è
di gran lunga più limitata di quello
che dovrebbe essere. Vedi quel che
succede, quel che continua a succedere,
in ambiti cruciali come la banche,
le assicurazioni e la vendita dei carburanti.
Nonostante le denunce dell’Antitrust
- e le relative sanzioni, che
peraltro vengono spesso ridimensionate
in sede di ricorso amministrativo
- la realtà di questi settori resta lontanissima
dall’essere bonificata una
volta per tutte. Si elimina un abuso
(ad esempio il famigerato anatocismo,
la spregevole procedura per cui
gli interessi bancari a debito venivano
conteggiati su base trimestrale e quelli
a credito, invece, a cadenza annuale)
e ne spunta fuori un altro. O
magari più di uno.
Ed ecco che la situazione continua a
essere segnata dai vizi di sempre: dalle
piccole e grandi sopraffazioni a
danno dei clienti, agli accordi di cartello
che riducono la tanto decantata
concorrenza a una farsa. Confermando,
ancora una volta, che il vero e
decisivo problema non è nei singoli
comportamenti, ma nell’approccio
complessivo. Quando a muovere l’economia
è solo la ricerca del massimo
profitto, il rispetto delle regole si
affievolisce per definizione. Perché le
regole vengono percepite come un
intralcio, piuttosto che come un valore
etico da preservare ad ogni costo.
La Relazione annuale dell’Antitrust,
dunque, non può che essere analizzata
alla luce di tutto questo. Proprio
come si doveva fare a proposito del
decreto legge sulle liberalizzazioni.
Prese in se stesse, molte delle cose
che afferma Catricalà appaiono logiche.
E quindi condivisibili.
Ma il problema, appunto, è che esse
fanno il paio coi discorsi dei politici.
Pieni di buonissime intenzioni, ma
incapaci di reggere il confronto con
la realtà. Catricalà, ad esempio, parla
della Pubblica Amministrazione e
auspica che le attività di “back office”
vengano appaltate sempre di più
a ditte esterne. «L’etica della concorrenza
- sottolinea - non lascia spazio
per sprechi e inefficienze».
Bello. Ma è solo un’affermazione di
principio. Gli appalti esterni esistono
già da molto tempo, a cominciare dai
servizi esattoriali: e sappiamo bene
con quali risultati.