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Christopher McCandless e la fuga dalla società

di Andrea Chinappi - 03/12/2012

Fonte: lintellettualedissidente


Christopher e il Magic Bus
Christopher e il Magic Bus

« C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende « C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo »
(da una  lettera di Christopher McCandless)

Christopher McCandless è Alexander Supertramp. Prima di essere interpretato da Emile Hirsch nell’ ‘’ Into the Wild” di Sean Penn e di essere stato il  protagonista del libro di John Krakauer, Alexander Supertramp è stato Christopher McCandless. Due nomi una sola persona, un ragazzo e un (anti)eroe.
Laureatosi nel ‘90 a pieni voti nella facoltosa “ Emory University” di Atlanta  in Storia e Antropologia, Chris a ventidue anni sale su una vecchia Datsun gialla, devolve i  24.000 dollari di risparmi ad una organizzazione di beneficenza e punta verso Ovest. La famiglia McCandless è la stereotipata famiglia benestante americana: la casa nella zona residenziale con lo steccato bianco, il padre con la cura estrema per l’auto appena comprata, il barbecue del weekend,l’università importante ed un futuro assicurato. Ma in Christopher matura l’idea di non voler più vivere in quella società.Rifiuta il consumismo, rifiuta l’ipocrisia nascosta nel materialismo, fa una scelta di vita: mettersi in viaggio verso una terra incontaminata,purificando l’Io da tutte quelle convenzioni che il mondo moderno impone. Dopo una notte nel deserto del Mojave in California abbandona la sua auto, cancella ogni forma di riconoscimento,brucia gli ultimi dollari e cambiando il suo nome in Alexander Supertramp dà inizio al suo cammino verso la candida terra dell’Alaska.

Non dovremmo negare che l’essere nomadi ci ha sempre riempiti di gioia. Nella nostra mente viene associato alla fuga da storia, oppressione, legge e noiose coercizioni, alla liberà assoluta, e la strada porta sempre a Ovest.”

Prosegue a piedi e, facendo l’autostop, scende al confine settentrionale messicano per poi risalire per la costa occidentale americana e così arriva dopo quasi due anni di pellegrinaggio vagabondo nei boschi dell’Alaska,nel parco nazionale del Denali. Qui Christopher trova rifugio in un vecchio bus abbandonato, che ribattezzerà Magic Bus. Vive a contatto con la natura selvaggia del nord America, nutrendosi della selvaggina che riusciva a procacciarsi, riso e piante del luogo. Proprio quest’ultime saranno per lui letali: dopo 112 giorni trascorsi nell’ostile terra Christopher McCandless muore, lasciando di sè una macchina fotografica con degli autoscatti e numerosi appunti.

“Due anni lui gira per il mondo: niente telefono, niente piscina, niente cani e gatti, niente sigarette. Libertà estrema, un estremista, un viaggiatore esteta che ha per casa la strada. Così ora, dopo due anni di cammino arriva l’ultima e più grande avventura. L’apogeo della battaglia per uccidere il falso essere interiore, suggella vittoriosamente la rivoluzione spirituale. Per non essere più avvelenato dalla civiltà lui fugge, cammina solo sulla terra per perdersi nella natura selvaggia.”

Non voglio dare un giudizio assoluto sulla scelta di Alexander Supertramp, non riesco a classificarlo come spesso si è soliti fare: rivoluzionario, asceta, codardo, sognatore, pazzo. Bisogna innanzitutto lodare una presa di posizione di tal genere, con conseguente messa in atto nel modo più estremo e deciso di quest’ultima. Quanti di noi dopo aver visto il film si sono sentiti vicini alle idee del protagonista? Ma quanti davvero sarebbero in grado di lasciare tutto quello che ci circonda, tutto ciò che fa parte della nostra quotidianità, nel nome di un ideale astratto e lontano? Non credo molti. Dobbiamo in realtà ammettere di essere complici della nostra ”odiata” società e che spesso far parte di questo complesso sistema ci fa comodo. Ma ciò che maggiormente va lodato al giovane McCandless è la semplicità e la riservatezza con cui si è accinto alla rivoluzione interiore. Non è andato nelle piazze a declamare i suoi risentimenti e a rimproverare i concittadini, non ha cercato di indottrinare le persone che ha conosciuto ma anzi ha lasciato un forte e genuino ricordo nei cuori di queste. Ma forse l’amara verità risiede nella sua ultima considerazione scritta prima di morire. “Happiness is real only when shared”, suona come un paradosso: due anni spesi alla ricerca di un cambiamento radicale per comprendere il senso stesso dell’esistenza , solo poco prima di abbandonarla.