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Distruggere la Palestina La politica israeliana dopo il 1948

di Tanya Reinhart - 21/07/2006

 


Riportiamo una interessante intervista alla prof.ssa israeliana Tanya Reinhart apparsa il 4 marzo 2006, in lingua francese, nel sito
www.oumma.com

Lei afferma che, in Israele, le decisioni sono prese dai militari e non a livello politico?

L’esercito è effettivamente l’elemento che domina la politica israeliana. Il sistema militare e il sistema politico sono stati sempre intimamente legati, con generali che lasciavano l’esercito direttamente per assumere incarichi di governo, ma, sotto il governo presieduto da Sharon, lo statuto politico dei militari si è andato vieppiù rafforzando.

E’ sempre più spesso evidente che le decisioni vere sono prese dagli alti gradi dell’esercito e non dai politici. Gli alti ufficiali dell’esercito “istruiscono” (briefent) la stampa, formano l’opinione dei diplomatici e dei giornalisti esteri, vanno in missione nel mondo, disegnano i piani d’azione del governo ed esprimono, in ogni occasione, i loro punti di vista politici.

Contrastando con la stabilità e l’” establishment” militare, il sistema politico israeliano è sul punto di collassare. Un rapporto della Banca mondiale (aprile 2005) ci informa che Israele è considerato uno dei paesi occidentali tra i più corrotti e i più instabili: per la corruzione, è al secondo posto, dopo l’Italia, mentre all'ultimo per la stabilità politica. Lo stesso Sharon, con i suoi figli, è stato oggetto di gravi accuse - per aver preso “bustarelle” - che non sono mai arrivate in tribunale. Kadima, il nuovo partito da lui fondato, è un conglomerato di individui senza statuti e base popolare. Le sue regole di funzionamento, pubblicate a novembre 2005, prima della malattia vascolare di Sharon, permettono al suo capo di cortocircuitare ogni processo democratico e di stabilire la lista dei candidati alle elezioni, senza voto e senza approvazione del partito.

Il partito laburista è incapace di proporre una soluzione alternativa. Nelle due ultime elezioni ha presentato dei candidati “colombe”, Amram Mitzna nel 2003 e Amir Peretz nel 2006. Ambedue sono stati ridotti al silenzio dall’apparato del partito, e il loro programma non si distingueva da quello di Sharon; sino al punto di aver contribuito a persuadere gli Israeliani che la via intrapresa di Sharon era quella buona.

Qual è l’eredità politica di Sharon ?

L’eredità è la guerra eterna, non soltanto contro i Palestinesi, ma contro tutti quelli che l’esercito israeliano considera come loro sostenitori, oggi l’Iran, la Siria domani. Ma è anche ciò che Sharon ha condotto alla perfezione: fare passare la guerra per la prosecuzione instancabile della pace. Egli ha mostrato che si poteva trasformare la Palestina in prigione, bombardare i palestinesi, confiscare le loro terre in Cisgiordania, e passare allo stesso tempo, agli occhi degli occidentali, per la parte pacifica nel conflitto Israele-Palestina.

Che il dirigente più brutale, più razzista, più manipolatore che Israele abbia mai conosciuto, abbia finito la sua carriera in eroe della pace testimonia la potenza di un sistema di propaganda che ha raggiunto la perfezione nella manipolazione della coscienza.

L'eredità di Sharon è fino ad oggi molto rispettata dai suoi successori, Olmert e l'esercito. Olmert fa la promozione del suo nuovo "piano di pace", battezzato "consolidamento".

Lo scopo è di ottenere l'approvazione internazionale per l’annessione unilaterale del 40% della Cisgiordania. Ma Olmert, anche, è un uomo di pace.

La “road map” proposta nella primavera del 2003 offriva veramente una prospettiva di pace?

Per rispondere a questa domanda, occorre ricordarsi di che cosa si tratta in questo conflitto. Secondo il ragionamento israeliano, si tratta del diritto di Israele all'esistenza, al quale i palestinesi si oppongono chiedendo il diritto al ritorno dei profughi, ed utilizzando l'arma del terrorismo. In realtà, si dimentica che si tratta di un conflitto molto classico che riguarda l'occupazione delle terre e la confisca delle risorse (l'acqua) palestinesi dal 1967. Il documento della "road map” non contiene alcuna allusione alla questione territoriale. È semplicemente detto che alla fase III, la fase finale, l'occupazione cesserebbe. Ma il piano non prevede alcuna costrizione per Israele in questa fase. È soltanto questione - fin dalla prima fase - di congelare l'espansione delle colonie e smantellare i posti avanzati.

Ma dove la “road map” era interessante, è che prevedeva che fin dalla prima fase sarebbe stata proclamata una tregua: i palestinesi avrebbero cerssato ogni azione armata e gli Israeliani si sarebbero ritirati nelle posizioni che occupavano prima dell’Intifada, nel settembre 2000. Era una concessione importante, e se fosse stata accettata, è probabile che avrebbe permesso un certo ritorno alla calma. Ma Israele non si è piegato a questo piano. I palestinesi hanno accettato la “road map” ed hanno rispettato la tregua, ma, mentre gli occidentali celebravano la nuova era, l'esercito israeliano ha intensificato la sua politica di assassinii ed ha dichiarato la guerra totale al Hamas, di cui ha ucciso tutti i dirigenti di primo piano, soldati e politiche.

Quali erano le vere intenzioni di Sharon evacuando la striscia di Gaza?

L'opinione che prevale è che Sharon aveva deciso di concentrare i suoi sforzi sul mantenimento e l'espansione delle colonie di Cisgiordania. Non ci sono dubbi sul fatto che Sharon ha utilizzato il disimpegno di Gaza per concentrare la sua influenza sulla Cisgiordania. Ma secondo me, non ha evacuato Gaza con il suo pieno gradimento. Certamente, l'occupazione di Gaza era costosa in mezzi militari ed altri. Anche gli “espansionisti” più arrabbiati ammettevano che Israele non aveva alcun bisogno di questa striscia di terra, una delle più densamente popolate e più povere del mondo.

Ma era importante conservare Gaza per conservare la Cisgiordania: un terzo dei palestinesi "occupati" vive là, e se si danno loro la libertà e l'accesso al mondo esterno, non trascureranno di aiutare, politicamente e militarmente, la resistenza in Cisgiordania. Nel mio libro mostro che Sharon ha evacuato Gaza soltanto perché vi è stato costretto. Fino all'ultimo momento, ha cercato mezzi di sfuggire, come di solito, ai suoi impegni.

Ma per la prima volta nella storia recente, gli Stati Uniti hanno esercitato una forte pressione affiché lo sgombro delle colonie di Gaza avesse luogo: non era loro più possibile ignorare l'insoddisfazione mondiale dinanzi al loro sostegno cieco alla politica israeliana. Ciò mostra che i movimenti di solidarietà, gli appelli al boicottaggio, le petizioni, gli articoli di alcuni giornalisti coraggiosi finiscono per avere una certa efficacia. Attualmente, la causa palestinese è ridotta al silenzio ma tornerà in superficie, un giorno o l'altro.

Il ritiro di Gaza non è stato sostituito da un'altra forma d'occupazione?

Ma Sharon non si è mai impegnato ad abbandonare il controllo della striscia di Gaza! La sezione III, clausola 1 del piano di disimpegno, precisa che "Israele continuerà a sorvegliare le frontiere terrestri di Gaza, manterrà il controllo dello spazio aereo e condurrà azioni militari nelle acque territoriali." È esattamente ciò che avviene dallo sgombro delle colonie: i punti di passaggio che permettono l'entrata dei prodotti alimentari e delle materie prime sono di solito chiusi, ed i palestinesi sono ridotti a digiunare pur essendo bombardati dall'aviazione e l'artiglieria israeliane.

In altre parole, la striscia di Gaza resterà una grande prigione, come prima?

Per gli americani, lo scopo è stato raggiunto con lo sgombro delle colonie. Era importante per loro dare l'impressione al mondo che qualcosa era evoluto sulla questione palestinese, per potere mantenere l'occupazione del Iraq e passare alle tappe seguenti della "guerra contro il terrorismo". L'amministrazione Bush è determinata ad accelerare sulla "campagna iraniana". Di colpo, le azioni di Israele a Washington sono in rialzo. La vittoria di Hamas va nello stesso senso. Coloro che hanno accettato per anni di sentirsi dire che Arafat non era un partner, quindi che neanche Abbas lo era, sono ovviamente molto pronti ad ammettere la stessa cosa per Hamas.

Secondo lei, la costruzione del muro non obbedisce ad imperativi di sicurezza. L'obiettivo reale è di fare passare dalla parte israeliana il maggior numero di terre palestinesi?

Se lo scopo del muro fosse di impedire le infiltrazioni di terroristi, perché non averlo costruito sulla frontiera del 1967? Ciò avrebbe lasciato intatte le terre palestinesi e sarebbe stato meno costoso. Sharon e l'esercito hanno stabilito la disposizione del muro per confiscare il massimo di terre lungo la frontiera. Il muro taglia i villaggi delle loro terre coltivate, imprigiona città intere (Kalkiliya) e priva gli abitanti dei loro mezzi per vivere. Se il progetto è condotto fino al suo termine, saranno 400.000 i palestinesi che saranno obbligati ad andarsene per cercare di che vivere nei sobborghi delle città di Cisgiordania o altrove.

Lei nota che, dal 2003, una nuova forma di resistenza popolare si è sviluppata lungo il muro.

Sì,c’è una resistenza non violenta, popolare, che ha lo scopo di stabilire o almeno rallentare il lavoro di distruzione massiccia realizzato da Israele. Nella Nakba (catastrofe) del 1948, 750.000 palestinesi sono stati cacciati di casa. Piuttosto che attendere che seconda Nakba si iscriva nei libri di storia, i palestinesi lottano lungo il muro per salvare le loro terre. Ed è sorprendente che nel corso degli ultimi tre anni, gli Israeliani si sono aggiunti a loro. Per la prima volta dall'inizio dell'occupazione, si assiste ad una lotta congiunta israeliano-palestinese. Dall'inizio, i Palestinesi e gli Israeliani avevano organizzato manifestazioni pacifiche, che si tendono la mano sulle dighe ed i checkpoints. Ma dall'inizio della costruzione del muro, nel 2002, la giovane generazione di attivisti israeliani ha sentito che non fosse più sufficiente, che occorresse passare ad una nuova fase per difendere le terre palestinesi, che occorreva superare la linea, aggiungersi alla lotta non violenta dei palestinesi contro l'esercito del loro paese.

Ed allo stesso tempo, un nuovo sostegno alla lotta dei palestinesi è apparso nei territori: nella primavera del 2001, un gruppo di attivisti internazionali ha fondato International Solidarity Movement (ISM). Da allora, centinaia di volontari del mondo intero sono venuti in Palestina, mantenendo una presenza costante nelle città ed i villaggi lungo il muro. La lotta congiunta, popolare e non violenta è cominciata con il campo internazionale israelopalestinese del villaggio di Masha, nel nord della Cisgiordania, nell'aprile 2003. Da allora, essa si è esteso verso sud, a Budrus, Biddu e ad altri villaggi. È a Bil'in che si situa oggi il centro della resistenza: tutti i venerdì, una manifestazione raccoglie gli abitanti del villaggio e della regione, gli Israeliani e i volontari internazionali. Tutti i gruppi israeliani che si oppongono all'occupazione vi prendono parte, nonostante la repressione spesso brutale dell'esercito. È una nuova Israele-Palestina che si forma lungo il muro. È esso il portatore della nostra speranza

Tanya Reinhart
L’héritage de Sharon : Détruire la Palestine, suite
La Fabrique éditions, 2006
239 pages ; format 13 x 20 cm
15 euros
ISBN : 2-913372-51-1

Nel momento in cui questo libro viene pubblicato, nell'aprile 2006, il mondo occidentale è ancora sotto l'incanto della leggenda di Sharon, della storia della grande svolta che ha imposto alla politica israeliana. Dallo sgombro delle colonie di Gaza, il discorso dominante vuole che Israele abbia percorso la sua parte del cammino verso la soluzione del conflitto. Come è -il possibile che Sharon, il dirigente più brutale, più razzista, più il manipolatore che Israele abbia mai conosciuto, abbia terminato la sua carriera politica in eroe della pace? Questo libro illustra la storia dell'occupazione israeliana della Palestina dal 2003. Mostrare che attraverso tutte le tappe – dalla "road map” fino al "disimpegno" a Gaza, Sharon non è mai cambiato. I suoi scopi e quelli dei suoi successori sono restati gli stessi: mantenere in stato di prigione Gaza, trasformare la Cisgiordania in un sistema di zone franche chiuse, confiscare le terre palestinesi grazie al muro di separazione.

L'esercito, che rappresenta il vero potere in Israele, applicherà la volontà di Sharon e per ciò, l'arrivo al potere del Hamas costituisce un pretesto ideale.
Questo libro è il seguito di “Come distruggere la Palestina, o come terminare la guerra del 1948 (La Fabrique, 2002), tradotto in italiano (Distruggere la Palestina La politica israeliana dopo il 1948. Tropea. 2004)


Fonte:
http://www.oumma.com/article.php3?id_article=2026
Visto su:
www.eurasia-rivista.org