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Il Volto di Qana (VII)

di Miguel Martinez - 22/07/2006

 

beirut

Beirut in questi giorni

Quando abitavo a Roma, tanti anni fa, c'era un tale che era solito arrampicarsi sugli angoli più inaccessibili del Colosseo, con un grande cartello al collo.

Credo fosse un ambulante, che protestava per una faccenda di licenze.

Comunque, arrivava la polizia e con qualche manovra di alpinismo archeologico, lo tirava giù. E dopo qualche giorno, lo ritrovavano allo stesso posto.

Mettiamo, invece, che il ministero degli interni avesse deciso, di concerto con il governo, di stanarlo radendo al suolo il Colosseo, con dentro qualche centinaio di turisti.

E' più o meno quello che sta facendo in questi giorni Israele.

Questo porta, qualche volta, a critiche ingenue o ipocrita contro una presunta "risposta sproporzionata", che sarebbe quindi (lievemente) immorale.

In politica si fa carriera grazie all'assenza di ogni forma di scrupolo, e quindi chiedere a uomini politici di comportarsi eticamente, sarebbe come chiedere la monogamia a una prostituta. La morale casomai diventa uno strumento di immagine e di manipolazione, ma quello è un altro discorso.

Inoltre, il concetto di "risposta sproporzionata" presume una logica da asilo nido, dove Pippo ha rubato il giocattolo a Nando, e Nando per dispetto lo ha picchiato.

La politica, invece, seleziona le persone per la loro capacità di prevedere i risultati delle proprie azioni, di non fare passi falsi, e di affidarsi all'astuzia più che all'emozione.

Questo significa che se il governo decide che per stanare un ambulante, è il caso di radere al suolo il Colosseo con dentro i suoi visitatori, sa quello che fa. E siccome il Colosseo è molto più importante dell'ambulante, quasi certamente l'ambulante è solo un pretesto per arrivare alla distruzione del Colosseo.

Non abbiamo mai sottovalutato l'intelligenza e la lungimiranza dei governanti d'Israele, che contano su molti saggi uomini politici in grado di evitare colpi di testa individuali, innumerevoli esperti in tutto il mondo, un'immensa rete di intelligence, e devono rendere conto di tutto ciò che fanno alle grandi organizzazioni sioniste di New York, a loro volte gestite da alcuni dei migliori uomini d'affari, militari e tecnici del paese che domina il pianeta.

Prima di tutto, l'attacco al Libano ha rimesso in moto il ciclo vizioso su cui si regge Israele: ha generato un immenso ma impotente risentimento tra tutti gli arabi del mondo. E questo risentimento rimette Israele psicologicamente "sotto assedio" (il famoso slogan del "diritto di esistere"), permette di tirare in ballo le solite cose sull'"antisemitismo", e garantisce quindi l'acquiescenza sia degli "occidentali" che di tanti sostenitori ebrei in tutto il mondo.

Israele, ricordiamo, non è un paese, come l'Italia, ma è un progetto, il sionismo, a cui si aderisce volontariamente. Ma senza tensione, uno stato che si basa sulla pura volontà delle persone, rischia di diventare uno stato normale. E se diventasse normale, i suoi stessi abitanti finirebbero per emigrare altrove, mentre non riceverebbe più appoggi esterni. Ecco perché occorrono, ciclicamente, provocazioni forti, come quella compiuta del tutto gratuitamente da Sharon nel 2000, con la passeggiata sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, che scatenò la seconda Intifada.

Questo è l'aspetto interno. Ma c'è anche un aspetto esterno fondamentale.

Israele ha colto l'occasione del sequestro di due suoi soldati per distruggere tutto il sistema di infrastrutture del Libano, annientando le basi stesse dell'economia, in maniera molto più sistematico di quanto abbia fatto nel 1982.

Allo stesso tempo, mentre a parole chiede l'intervento dell'esercito libanese, Israele ha distrutto anche tutte le strutture, certo fragili, di quell'esercito.

E ha trasformato un quarto circa della popolazione libanese in profughi senza assolutamente nulla. Persone scappate, non per una generica paura, ma per un esplicito invito, tramite lancio di volantini e sms (il genocidio entra nel terzo millennio) ad abbandonare immediatamente le proprie case. I profughi sono per la maggior parte sciiti, e si riversano nelle zone sunnite, risvegliando vecchi risentimenti.

Salvo imprevisti, il risultato dovrebbe essere la fine dell'unità e della ricostruzione libanese, e la ripresa di lotte tribali e di clan, come avviene sempre quando un'economia collassa e si muovono contemporaneamente grandi masse di persone.

E' chiaro che il problema è geopolitico. A Beirut ci può essere un governo di destra o di sinistra, filosiriano o filoisraeliano, poco importa. Comunque il Libano è un forte centro economico e intellettuale per tutta l'area, e anche un punto di fusione tra mondo islamico e cristiano. E perciò deve sparire.

Tutto questo ci ricorda quanto è successo all'Iraq. L'Iraq, qualunque governo avesse, era l'unico paese in tutto il mondo arabo che avesse, insieme, petrolio, acqua e popolazione. E quindi aveva cibo, un alto numero di laureati e la possibilità di avere una forte economia.

Oggi l'Iraq ha cessato di esistere, con un'economia annientata e divisa in pratica in tre paesi, con sunniti e sciiti che si neutralizzano a vicenda in orrendi massacri. E' una situazione che non aiuta certamente la reputazione di George Bush, ma a lungo termine è un risultato molto più utile per gli interessi "occidentali" di un Iraq temporaneamente filo-americano, ma sempre forte.

Lo stesso si può dire della Palestina: basti pensare come a Gaza in questi giorni abbiano preso di mira l'energia, l'acqua, l'agricoltura e le comunicazioni, ma anche come abili architetti e geometri abbiano ideato percorsi per il Muro che rendono impossibile ogni forma di vita economica in Cisgiordania.

Rimangono due stati forti nell'area: la Siria e l'Iran: l'Arabia Saudita, avendo solo petrolio, non può esistere fuori dai circuiti finanziari occidentali e quindi non pone problemi, come ne pone pochi l'Egitto con la sua drammatica sovrapopolazione.

Possiamo pensare bene o male dei governanti della Siria e dell'Iran, ma quello che è importante è che quando crolleranno quei governi, crollerà anche l'unità nazionale. In Siria, ci sarà una spaventosa frammentazione su basi religiose, in Iran su basi etniche.

Ogni giorno, ci dicono che proprio questi due paesi, guarda caso, saranno prossimamente il bersaglio di qualcosa. Potrà essere un attacco esterno o qualche forma di sovversione interna, ma non servirà tanto a portare al potere un governo "occidentalista". Servirà a sciogliere quei paesi nell'acido.