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Gli interessi di Israele nella destabilizzazione del Libano. Intervista a Stefano Chiarini

di Mila Pernice - 24/07/2006

 

Sembra che tutto sia nato in seguito all’azione degli Hezbollah che ha portato alla cattura di due soldati dell’esercito israeliano e all’uccisione di altri otto soldati; in realtà possiamo pensare alla liberazione dei soldati come ad un pretesto che, come è successo nella Striscia di Gaza in seguito alla cattura del soldato Gilad Shalit, ha dato a Israele l’occasione per condurre questa operazione militare in Libano. Quale interesse ha Israele nella destabilizzazione del vicino Libano?

Israele ha numerosi interessi in Libano, li ha sempre avuti, ha sempre cercato di mettere in piedi a Beirut un governo suo alleato o comunque un governo che accettasse di rompere il fronte arabo con i palestinesi e con la Siria e provvedesse a una pace separata con Israele senza aspettare né il ritiro israeliano dai territori palestinesi né dal Golan siriano. Quindi in un certo senso l’obiettivo del governo israeliano, sin dai tempi di Sharon ma addirittura da prima, dai tempi di Ben Gurion, è stato sempre quello di controllare il sud del Libano a causa della presenza dell’acqua, che è molto molto importante, e di installare a Beirut un governo amico. Credo che questo sia tuttora il progetto che stanno portando avanti con il sostegno ovviamente degli Stati Uniti e in qualche modo anche della stessa Arabia Saudita. In realtà l’operazione degli Hezbollah è stata una scusa nel senso che il contenzioso tra Israele e il Libano vede innanzitutto l’occupazione israeliana delle Fattorie di Sheba – infatti Hezbollah sta facendo una resistenza proprio per liberare questa zona del Libano – e poi anche la liberazione degli ultimi prigionieri libanesi che sono ancora nelle carceri israeliane. Su tutti questi punti Israele si è rifiutata di trattare come si è rifiutata di trattare in generale con i palestinesi. Quindi direi che questa crisi non può essere isolata, ed è qui l’errore anche del governo italiano, ma va vista come una crisi regionale derivata dal rifiuto di Israele di trattare e di ritirasi dai territori occupati di Palestina, del Golan siriano, delle Fattorie di Sheba libanesi. Solo in questa chiave ci può essere una reale soluzione. Abbiamo visto questa pratica dei ritiri unilaterali, nel 2000 dal Libano e più recentemente da Gaza; in entrambe le zone c’è stato il re-intervento e la ri-occupazione. Questo dimostra che quelli che erano stati definiti dei passi in avanti verso la pace in realtà non erano che un consolidamento, un ri-aggiustamento della situazione che non hanno nulla a che fare con la pace.

Quindi alla luce del fatto che Israele occupa la parte meridionale del Libano possiamo dire che l’azione di guerriglia organizzata da Hezbollah aveva le caratteristiche di una legittima azione di resistenza agli occupanti. Ma forse c’è di più: visto che è stata condotta in un momento in cui la Striscia di Gaza era sotto le bombe dell’aviazione israeliana possiamo dire, d’accordo con Tanya Reinhart, che è stato “l’unico atto di solidarietà per Gaza”. Sei d’accordo su questo?

Si, non c’è dubbio. Di per sé sono operazioni legittime perché Israele come abbiamo detto occupa ancora il territorio libanese e detiene nelle sue carceri tanti prigionieri politici, e poi sono condotte anche in solidarietà con quanto sta accadendo a Gaza; è stato l’unico tentativo di spezzare il silenzio che è calato sull’aggressione israeliana nella Striscia di Gaza. L’azione di Hezbollah ha avuto una grandissima importanza perché ha dimostrato che in realtà è possibile resistere a Israele e ha svelato anche la complicità di gran parte dei regimi arabi che parlano tanto ma poi non fanno mai nulla per i palestinesi e sprecano poi gran parte del budget dello Stato per comprare delle armi che poi non usano mai perché poi in realtà sono tutti in qualche modo legati all’Arabia Saudita e quindi agli Stati Uniti. La resistenza Hezbollah ha anche un valore simbolico estremamente importante come indicazione per i palestinesi e per tutti i popoli della regione.

Dal G8 di San Pietroburgo è uscita la proposta di inviare una forza d’interposizione internazionale a guida Onu. Una proposta fatta propria anche dall’Italia, da Prodi e D’Alema che hanno assicurato la presenza italiana in un’eventuale missione. Considerando che Israele non ha mai rispettato nessuna risoluzione Onu, considerando che l’esercito israeliano ha mandato via gli osservatori internazionali durante il sequestro di Sadaat a Gerico pochi mesi fa, e ha mandato via anche gli osservatori del valico di Rafah per entrare nella Striscia di Gaza poche settimane fa, che prospettive può offrire l’arrivo al confine del Libano dei caschi blu dell’Onu?

Innanzitutto io credo che bisognerebbe chiedere a Israele il cessate-il-fuoco immediato senza condizioni, più che subordinarlo alle varie condizioni poste da Israele. In secondo luogo credo che l’invio di forze multinazionali può essere molto pericoloso se, innanzitutto, non si arriva a questo con il consenso della resistenza libanese e della resistenza palestinese nel caso di Gaza, e se, quindi, la trattativa non viene fatta solamente con l’appello di Sinora che è una marionetta degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita. La trattativa deve essere fatta anche con la resistenza libanese. Altrimenti, il vero obiettivo è quello di far fare alle forze multinazionali dell’Onu il lavoro sporco, per conto degli israeliani, di colpire la resistenza e impedirle di proseguire nella lotta per le Fattorie di Sheba, per la liberazione dei prigionieri politici e anche nel sostegno alla resistenza palestinese. Quindi è una proposta a mio parere pericolosissima e molto negativa perché può tramutarsi veramente nella realizzazione di quella eliminazione della resistenza da parte delle “forze multinazionali di pace” dell’Onu, e quindi per Israele sarebbe perfetto.

Lunedì 17 luglio il movimento contro la guerra è sceso in piazza davanti a Montecitorio per chiedere al governo di centrosinistra un’inversione di rotta in fatto di politica estera italiana in occasione dell’inizio del dibattito sul voto di rifinanziamento delle missioni italiane all’estero. A rendere complice l’Italia nei tentativi di destabilizzazione dell’area mediorientale e nei tentativi di allargamento del conflitto anche a Siria e Iran, c’è un accordo di cooperazione militare che il governo Berlusconi ha stipulato con Israele e che il governo di centrosinistra sembra non avere alcuna intenzione di congelare. Questi contenuti torneranno in piazza il 24 quando il voto sul rifinanziamento alle missioni passerà in Senato, ma anche il 27 quando arriverà a Roma il primo ministro israeliano Ehud Olmert. Obiettivi della protesta la condanna dell’aggressione israeliana in Palestina e in Libano, ma anche la denuncia di quella che possiamo chiamare senza troppi giri di parole la complicità italiana…

Non c’è dubbio, una complicità che si manifesta a vari livelli: innanzitutto questo trattato di cooperazione strategico-militare gravissimo perché ci rende complici della politica israeliana, del riarmo israeliano, addirittura della violazione del trattato di non proliferazione nucleare. Poi perché si accompagna anche a iniziative come quella della regione Lazio, ad altri accordi di cooperazione economica decentrata a favore di Israele, come se Israele avesse bisogno della nostra cooperazione, quando ne avrebbero bisogno i palestinesi che sono nelle condizioni in cui si trovano. Ma soprattutto l’aspetto più grave è di aver assunto sulla questione mediorientale il punto di vista israeliano. Quando D’Alema sostiene che la crisi è iniziata per il radicalismo di Hamas senza dire che il governo di Hamas è stato eletto regolarmente sotto gli occhi degli osservatori internazionali, e che Israele si rifiuta di trattare col legittimo governo palestinese, ecco che ha assunto la posizione di Israele, e questa è la cosa più grave perché poi chiaramente segue una politica che è a favore di Israele.

Vuoi aggiungere qualcosa?

Che è necessario mobilitarsi il più possibile sia a livello centrale che locale anche per informare di come stanno realmente le cose in Libano, per smascherare tutta una serie di luoghi comuni molto negativi…come se non ci fosse un contenzioso in Libano specifico - quindi l’occupazione israeliana delle Fattorie di Sheba – come se il diritto alla sicurezza ce l’avesse solo Israele e non i libanesi, come se il diritto a difendersi ce l’avesse solo Israele e non anche i popoli confinanti. Sono impostazioni diffuse e profondamente negative perché rappresentano esattamente il punto di vista israeliano sulla crisi del Medio Oriente.

Stefano Chiarini è giornalista del Manifesto

Fonte: http://www.forumpalestina.org e http://www.radiocittaperta.it