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Il revisionismo fa cassetta

di Edoardo Castagna - 12/10/2005

Fonte: avvenire.it

È il momento della storia, un genere che tiene sempre più banco fra i lettori e suscita scontri e accese polemiche fra gli studiosi. Due esperti, Cardini e Canfora, spiegano le ragioni di questo «boom»

Cardini: «Gli italiani stanno dimenticando il senso della tradizione,e la storia vale come surrogato della perdita delle proprie radici»Canfora: «Questo interesse è sbocciato ancora dopo la caduta del Muro, diventando una sorta di nuovo strumento politico»

Di Edoardo Castagna

La storia come clava, atta a dispensare mazzate nell'arena dello scontro politico. Arma impropria ma efficace, e prodotto di successo sul mercato dei mezzi di comunicazione di massa. Fa audience, attira folle ai festival, infiamma dibattiti televisivi e smercia copie di libri a milioni: nelle librerie, nelle edicole, nei supermercati, dovunque. Gli italiani, si ripete, non leggono e non sanno, eppure divorano storia; questa settimana è l'ora del Festival, a Saluzzo - Savigliano (Cuneo), della Festa della storia a Boloogna e della tavola rotonda di Roma. Agli storici di professione, come Franco Cardini e Luciano Canfora, spetta anche il compito di riflettere su questa passione di massa.

Secondo voi, perché tanto chiacchiericcio, più o meno a proposito, sulla storia in Italia? Ma perché, dai libri alla tivù, la storia va tanto di moda?

FRANCO CARDINI: «È un prodotto molto gettonato in quel grande supermercato che è oggi l'Occidente, ma tanto interesse è anche frutto di cattiva coscienza: di fronte all'imperversare del sapere tecnologico, l'offerta storica dei media e della pubblicistica supplisce alla debolezza della cultura generale. Si parla tanto di storia e radici perché se ne avverte la carenza. Dopo il boom economico degli anni Sessanta gli italiani hanno sempre più perso il senso della tradizione, così la storia funziona da surrogato di fronte alla coscienza di aver smarrito le nostre radici e della fragilità strutturale della nostra società».

LUCIANO CANFORA: «Fino agli anni Sessanta e Settanta, la storia era passione di tutti; nelle scuole e nelle università quasi non si parlava d'altro. Poi l'interesse è crollato e soltanto a partire dal 1989, in seguito alla caduta dei regimi comunisti, il sapere storico è tornato al centro dell'attenzione. Ma più come strumento politico che come conoscenza neutrale. Un esempio eclatante fu la famosa lettera di Togliatti che accennava agli italiani prigionieri in Unione sov ietica: nel 1992 venne pubblicata affrettatamente, incompleta e priva di un vero vaglio storico. La si buttò nella mischia politica con il chiaro intento di esercitare pressioni sul presidente della Repubblica, Francesco Cossiga. E anche oggi la storia è onnipresente perché prosegue la lotta politica con altri mezzi, imponendosi di conseguenza con facilità nei giornali e nei programmi televisivi».

CARDINI: «Non sempre l'uso strumentale e politico della storia è un male: il genocidio degli armeni, per esempio, è riemerso alla memoria proprio perché torna utile a chi non vuole che la Turchia entri nell'Unione europea. Ma, se si usa la storia come pretesto, si corre sempre il rischio di trasformarla in demagogia, e di lasciare spazio solo a sprazzi, quando va bene, agli effettivi risultati della ricerca. La storia come scienza dà fastidio, quando la politica le impone di uscire dal circolo degli specialisti; così diventa difficile sostenere qualcosa che non si accordi con la vulgata corrente. Alla fine resta poca libertà per gli storici, se il tema che studiano è finito sotto i riflettori».

CANFORA: «I contenuti trasmessi dai media sono ormai diventati luoghi comuni, proprio per la loro finalità politica. Ma questa non è una novità, da sempre la storia è stata piegata gli interessi di parte. La Rivoluzione francese riallacciava se stessa alla Grecia democratica e alla Roma repubblicana, il fascismo si presentava come erede dell'impero di Augusto, i regimi comunisti si appropriavano sistematicamente della storia, tanto che vennero definiti "cliofili"».

Il passato imperversa, riveduto e corretto per i bisogni poco disinteressati del presente. Ma, sia pure in modo strumentale, di storia si parla davvero e il pubblico può realmente confrontarsi con il passato, soprattutto con quello del proprio Paese: diventa allora decisivo valutare il valore dell'offerta in campo storico dei nostri mezzi di comunicazione di massa.

CARDINI< /I>: «Purtroppo in media la qualità è bassa. Chi porta la storia in televisione ha come priorità la popolarità degli argomenti, in base al gusto mutevole del pubblico, e i conseguenti risultati in termini di audience. Soltanto alla fine arrivano, se arrivano, i contenuti più seri, i discorsi su che cosa sia la storia e le riflessioni sul suo ruolo nella società. Bisognerebbe invece tener ben distinta l'immagine della storia offerta dai media - un qualcosa che ci offre certezze e ci regala un'identità - dalla storia come sapere "scientifico", che al contrario è una continua rilettura dei fatti. In storia non si dà mai una verità oggettiva, stabilita una volta per tutte: è sempre interpretazione, e quindi varia con il variare delle conoscenze, dei metodi, della sensibilità».

CANFORA: «Il problema è proprio questo: spesso in televisione si spaccia la storia per Verità. Ma questo non può essere. Si fa un uso grossolano della verità storica, che è sempre presunta. La storia è sempre stata oggetto di dibattito pubblico, fin dai tempi di Erodoto: ma quelle dedicate alla storia, oggi sul piccolo schermo, sono molto spesso trasmissioni pilotate, chiuse dentro cancelli ideologici predeterminati. Comunque, resta positivo il fatto che, nei festival o attraverso i media, si stabilisca un confronto diretto tra gli storici e il pubblico. L'interesse diffuso deriva, certo, anche dal rilievo politico che le questioni storiche assumono e dall'insistenza dei media, ma è anche passione vera, come confermano le grandi partecipazioni agli eventi culturali».

CARDINI: «La storia è sempre un continuo, incessante revisionismo. Le vere scoperte storiche, in genere, non sono altro che nuove interpretazioni. La storia o è revisionista, o non è: non mi piace questo frequente sbandierare - o stigmatizzare - ogni revisionismo come se fosse chissà quale novità. Così come non mi piace l'attuale stagione "d'oro" della storia, perché finisce per intorbidare le acque e rendere più difficile il lavoro di noi storici. Anche se si può intravedere qualche sintomo di possibile sviluppo positivo. I libri che vengono pubblicati insieme ai giornali, per esempio, sono per lo più titoli buoni, o almeno passabili. E la rinascita dell'interesse per i temi storici parte sì da temi "tossici" - non in sé, naturalmente, ma per come sono presentati - però poi emergono anche informazioni corrette, e alla fine riescono a dire qualcosa, dopo i vari Dan Brown, anche gli storici seri. La storia "buona", cacciata dalla porta, rientra dalla finestra: il che rappresenta uno spiraglio di speranza verso una crescita culturale diffusa dell'opinione pubblica. Anche passando attraverso una moda».