Il saccheggio del Sud Sudan
di Tony Cartalucci - 12/01/2014

L’articolo continua notando che se gli accordi di pace raggiunti avessero lasciato intatto il Sudan, avrebbero potuto evitare il conflitto mortale che ora infuria, cosa naturalmente corretta. Tuttavia, la pace non è e non è mai stata l’obiettivo dell’occidente e della sua presenza in Africa, ma il profitto economico. Proprio perché la Cina ha ancora ampi possessi in Sudan e infrastrutture petrolifere nel Sud Sudan, il conflitto verrà inasprito, e non sorprende che l’epicentro del conflitto corrisponda alle principali regioni petrolifere del Sud Sudan. Fin quando i cinesi saranno cacciati dal Sud Sudan, l’occidente continuerà a modificare i confini per imporre le vie d’esportazione delle ricchezze petrolifere recentemente acquisite in un Paese senza sbocco sul mare, o passeranno per il Kenya, con o senza il sostegno dell’attuale governo di Nairobi. La BBC riferiva nell’articolo, “I timori della Cina nella lotta per il petrolio nel Sud Sudan“, che: “La posta in gioco non potrebbe essere più alta per la Cina, il maggiore investitore nel settore petrolifero del Sud Sudan, mentre aspri combattimenti continuano tra le forze fedeli al presidente Salva Kiir e quelle del suo ex-vice. Alcuni dei maggiori campi petroliferi della Cina si trovano nelle zone controllate dai combattenti che sostengono Riek Machar, vicepresidente del Paese fin quando fu licenziato a luglio. La produzione di petrolio è già calata del 20% dall’inizio del conflitto, tre settimane prima, e più di 300 lavoratori cinesi sono stati evacuati. Lo spettro dell’esperienza libica pesa pesantemente sulle menti cinesi, progetti su progetti giacciono abbandonati per via dei pesanti combattimenti durante la rivolta della primavera araba del 2011, infliggendo perdite enormi alla Cina”. Assai eloquente è il riferimento della BBC alla Libia, un’altra nazione distrutta dall’aggressione militare occidentale che ha visto gli interessi russi e cinesi sbriciolarsi in una notte e sostituiti dalle multinazionali occidentali. Mentre il caos del Sud Sudan è orchestrato segretamente dall’occidente, l’obiettivo finale di cacciare i cinesi e sostituirli è lo stesso.
Una simile destabilizzazione occulta si intravede nella relazione del 2006 dello Strategic Studies Institute, “Filo di Perle: affrontare la sfida della potenza in ascesa della Cina sui litorali asiatici“, sul cosiddetto “Filo di perle” della Cina. In tal caso i militanti filo-USA che tentano di separare la provincia del Baluchistan dal Pakistan, dove la Cina ha creato il porto di Gwadar, mentre un altro porto cinese si trova nello Stato di Rakhin, Myanmar, dove si sono avute le brutali violenze genocide istigate dall’icona della “democrazia” dei “monaci di Aung San Suu Kyi” contro i rifugiati Rohingya.
Depredare il Sud Sudan
Non c’è dubbio che gli Stati Uniti e i loro complici Israele e Uganda hanno deciso di rimanere in Sud Sudan. La fondazione finanziata dalle aziende, il “Progetto Basta” degli Stati Uniti, ha fornito la giustificazione retorica per una presenza permanente nello Stato africano lacerato dalla guerra, nell’editoriale su al-Jazeera dal titolo “Salva Kiir del Sud Sudan ha bisogno di rimettersi il cappello nero“, dichiarando: “Certo, i dolori della crescita sono comuni nelle società che operano per garantirsi l’indipendenza dopo anni di emarginazione e governo autoritario. Costruire una coesa identità nazionale tra gli 81 gruppi etnici del Sudan del Sud richiederà generazioni. Eppure, lo spettro incombente della violenza intercomunale di massa indica che non possiamo permetterci di abbassare la guardia. Gli Stati Uniti sono da decenni impegnati nella lunga marcia del popolo sud-sudanese verso l’indipendenza. Sarebbe un peccato se gli USA permettessero il ritorno della guerra quando il Sud Sudan è così vicino a garantirsi un futuro.” Con tale piede di porco umanitario per la promozione della libertà, l’occidente ha il pretesto d’immischiarsi per decenni.
Per cominciare, le Israeli Military Industries Ltd. (IMI) nel 2012 firmarono quello che definirono un accordo con il governo del Sud Sudan per lo “sviluppo delle infrastrutture idriche e tecnologiche“. L’accordo riguarderebbe desalinizzazione, irrigazione, sistemi idrici e depurazione, ma una visita al sito delle Israeli Military Industries Ltd. dimostra che si tratta di un’industria militare e bellica, non d’ingegneria civile e certamente non specializzata in infrastrutture idriche. Altre fonti affermano che le IMI fungeranno da canale delle vere imprese idriche israeliane, ma alla luce delle operazioni congiunte di Stati Uniti, Israele, Arabia, Qatar e altrove, le IMI molto probabilmente saranno un condotto per armi e denaro destinati al conflitto (comunque).
Nel 2013, Israele e Sud Sudan avrebbero cominciato a stipulare accordi petroliferi. L’articolo dell’UPI, “Il Sud Sudan firma un accordo petrolifero con Israele“, afferma: “Il Sud Sudan dice di aver firmato un accordo con diverse compagnie petrolifere israeliane, una mossa strategica potenzialmente significativa che consoliderà le relazioni dello Stato ebraico con il neonato Stato petrolifero dell’Africa orientale”. L’UPI continua evidenziando il problema lampante che l’esportazione del petrolio comporti effettivamente profitto: “il ministro del petrolio e delle miniere del Sud Sudan, Dhieu Dau, ha annunciato l’accordo petrolifero la scorsa settimana dopo il suo ritorno da una visita in Israele. Ha detto che erano in corso trattative con aziende israeliane, che non ha indicato, che cercano d’investire in Sud Sudan. Dau ha indicato che il governo di Juba, capitale dello sgangherato neo-Stato, spera di esportare petrolio in Israele, ma ha osservato che ciò non potrà avvenire prima di marzo. Non ha indicato quando il Sud senza sbocco sul mare l’avrebbe raggiunto, o il volume di greggio interessato. Ma è una mossa contro cui Khartoum avrebbe fatto tutto il possibile per distruggerlo”. Infine, l’articolo dell’UPI indica le maggiori implicazioni per Israele (e gli USA) nel coinvolgimento in Sud Sudan, utilizzandolo come trampolino di lancio per far cadere il vicino Sudan, a Nord: “La prospettiva che Israele ottenga effettivamente il petrolio dal Sud Sudan rimane incerta, data le difficoltà di Juba con Khartoum. Si è parlato della costruzione di un gasdotto di 1000 miglia dal Sud Sudan al Kenya per l’Oceano Indiano, che libererebbe Juba dalla dipendenza dei gasdotti di Khartoum. Ma piani definiti, che dovrebbero costare circa 2 miliardi di dollari, non si sono ancora concretizzati”. Può darsi che le aziende israeliane cerchino di dare una mano a tale proposito, se non altro per indebolire il regime islamico di Khartoum e la sua alleanza con Teheran, e di accedere sul fiume Nilo, fonte primaria di acqua per l’Egitto ed obiettivo strategico.
Durante la guerra civile del Sudan, uno dei conflitti più lunghi dell’Africa in cui circa 2 milioni di persone morirono, Israele ha fornito ai ribelli del sud armi, addestramento e finanziamenti, come ha fatto in altre parti dell’Africa, cercando d’indebolire i suoi avversari arabi. Chiaramente, la presenza di trafficanti di armi israeliani non sviluppa le infrastrutture del Sud Sudan, ma piuttosto inonda la regione di armi per cacciare i cinesi ed eventualmente colpire a nord, il Sudan e la sua capitale Khartoum. L’articolo dell’UPI continua ammettendo che l’aiuto militare indubbiamente ancora fluisce in Sud Sudan a tale scopo. Oltre a un confronto militare per procura con il Sudan, Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita e Qatar tentano di rovesciare il governo di Khartoum dall’interno, provocando una rivolta in stile “primavera araba” verso la fine del 2013, infine fallita.
L’intrusione di USAFRICOM e Museveni dell’Uganda
Infame collaborazionista dell’occidente e dittatore a vita ugandese, Yoweri Museveni ha combattuto guerre per procura occidentali in Africa per decenni. Ha anche fatto molto all’interno per placare l’occidente, compresa la vendita a sviluppatori stranieri di destra di grandi appezzamenti di terreno sottratti al popolo, spesso uccidendone i proprietari che rifiutavano lo sfratto. Nel 2011 sotto il falso pretesto di combattere l’”Esercito di Resistenza del Signore di Joseph Kony” gli Stati Uniti iniziarono il dispiegamento di truppe in Uganda. Nel 2013, queste truppe erano ancora presenti quando le violenze iniziarono a diffondersi nel vicino Sud Sudan; le truppe statunitensi convenientemente ancora di stanza in Uganda furono mobilitate per l’evacuazione dei cittadini statunitensi. Stars and Stripes indicava nel suo articolo, “I marines trasferiscono il personale dell’ambasciata degli Stati Uniti dal Sud Sudan“, che: “Il personale non essenziale dell’ambasciata degli Stati Uniti è stato evacuato dal Sud Sudan a bordo di due aerei KC-130 assegnati ad una squadra di risposta alle crisi dei marines, posizionata nella vicina Uganda”. L’articolo riportava anche: “La scorsa settimana, la Special Purpose Marine Air Ground Task Force – Crisis Response è stata pre-posizionata anche ad Entebbe, in Uganda, per fornire sostegno supplementare. L’unità di Moron, Spagna, è stata costituita meno di un anno fa per rafforzare le capacità di risposta alle crisi dell’AFRICOM”.
L’Uganda, come il Sudan, è chiaramente intrappolato permanentemente dall’AFRICOM con un falso pretesto “umanitario” tranquillamente divenuto occupazione permanente del territorio africano. E l’Uganda non è solo una base dell’USAFRICOM, ma è anche utilizzata dai suoi soldati per perseguire gli obiettivi dell’AFRICOM oltre i confini dell’Uganda. The Guardian riferisce nel suo recente articolo, “I colloqui di pace del Sud Sudan vacillano mentre l’Uganda invia truppe“, che: “I colloqui di pace del Sud Sudan che si terranno in Etiopia sono in fase di stallo, dicono i funzionari, mentre un comandante ribelle dichiara grandi vittorie contro il governo del Sudan meridionale, e l’Uganda invia altre truppe e armamenti”. L’articolo inoltre indica: “L’Uganda avrebbe inviato 1200 soldati per proteggere gli impianti come l’aeroporto e la sede del governo, aggiungendo che aerei militari ugandesi avevano bombardato diverse posizioni dei ribelli. L’Uganda afferma che il dispiegamento di ulteriori truppe e armamenti a Juba, questa settimana, avviene su richiesta di Kiir. Il tenente colonnello Paddy Ankunda, portavoce militare ugandese, ha detto che i rinforzi sono stati inviati “per colmare le lacune sulla sicurezza”, smentendo che gli ugandesi siano coinvolti attivamente nei combattimenti. Yoweri Museveni, presidente dell’Uganda, è un forte alleato di Kiir. I due Paesi confinanti hanno stretto un legame che risale alla lotta armata del Sud Sudan per l’indipendenza dal Sudan e dal governo di Khartoum. Museveni ha recentemente avvertito Machar che i Paesi dell’Africa orientale si sarebbero uniti per sconfiggerlo militarmente se non parteciperà ai colloqui di pace”. In sostanza, l’Uganda fornisce le truppe mentre Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita, Qatar e altri forniscono denaro, armi e tutto il resto. E’ un’altra guerra per procura, proprio come il conflitto in Siria, anche se le truppe ugandesi hanno letteralmente invaso il Sud Sudan per sostenere il governo ascaro dell’occidente di Juba.
Chi finanzi e armi i gruppi ribelli che combattono il governo ascaro dell’occidente non è chiaro. Gli articoli indicano che potrebbe trattarsi di fazioni dissidenti delle forze armate del Sud Sudan coinvolte nel recente tentativo di colpo di Stato. Altre teorie suggeriscono che Stati Uniti, Uganda e/o Israele potrebbero aver finanziato e armato entrambe le parti sperando di perpetuare il conflitto contro Khartoum. E’ chiaro che Khartoum, in Sudan, in un modo o nell’altro, è l’obiettivo israelo-saudita-qatariota-statunitense, per poter completare il furto di petrolio sudanese, nonché avere i mezzi per esportarlo da un Paese decimato e dilaniato. Questa è la realtà dell’ordine globale di Wall Street-Londra in Africa, e un’Africa lacerata e sfruttata dovrebbe persistere in futuro.
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora.