Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / 007, missione a Damasco

007, missione a Damasco

di Michele Paris - 16/01/2014



Proprio mentre gli Stati Uniti e i loro alleati stavano terminando un incontro a Parigi per rilanciare la campagna per il rovesciamento del regime in Siria, sulla stampa internazionale è apparsa la notizia che membri dei servizi segreti di alcuni paesi europei si sono recati a Damasco nei mesi scorsi per incontrare esponenti del governo Assad, con i quali avrebbero scambiato informazioni sui guerriglieri jihadisti attivi nel paese mediorientale.

Basandosi su rivelazioni di anonimi funzionari europei e mediorientali, il Wall Street Journal ha pubblicato mercoledì un articolo che conferma ancora una volta l’apparente schizofrenia delle politiche occidentali nei confronti della crisi siriana, divise tra l’appoggio a formazioni fondamentaliste, utilizzate per dare la spallata al regime, e i timori degli effetti collaterali prodotti dal proliferare di gruppi estremisti che potrebbero minacciare gli stessi interessi occidentali.

In particolare, gli incontri andati un scena a Damasco sarebbero serviti alle agenzie di intelligence occidentali per raccogliere informazioni su circa 1.200 jihadisti residenti in Europa e trasferitisi in Siria in questi tre anni per unirsi ai “ribelli” che si battono contro Assad. Le preoccupazioni che hanno spinto i governi di Gran Bretagna, Germania, Francia e Spagna ad intraprendere una simile iniziativa sarebbero legate al possibile ritorno di questi estremisti in patria per organizzare attentati terroristici.

La notizia era stata anticipata martedì da un’intervista rilasciata alla BBC dal vice primo ministro siriano, Faisal Mekdad, il quale aveva rivelato le visite di membri dei servizi segreti occidentali a Damasco ma senza elencare i paesi coinvolti nel dialogo con il regime.

Secondo Mekdad, addirittura, questi incontri sarebbero la prova delle divisioni esistenti tra i rappresentanti politici e i servizi di sicurezza in alcuni paesi che appoggiano l’opposizione anti-Assad. “Francamente”, ha poi affermato il numero due della diplomazia siriana, “la disposizione [di questi paesi] sembra essere cambiata” nei confronti del regime.

All’interno dei governi che avevano puntato tutto sulla rimozione di Assad, infatti, circolano da tempo molti dubbi su una strategia che ha alimentato gravissime violenze settarie con il rischio di destabilizzare l’intera regione e creare un nuovo serbatoio di terrorismo nel cuore del Medio Oriente.

La rivelazione delle visite dell’intelligence europea a Damasco è perciò la conferma dell’esistenza almeno di alcune sezioni delle classi dirigenti occidentali che ritengono i gruppi integralisti dell’opposizione siriana più pericolosi dello stesso regime, in alcuni casi fino a prospettare la riapertura di un qualche dialogo con Assad e la sua cerchia di potere.

Questo ripensamento, inoltre, sembra riguardare ormai anche alcuni paesi mediorientali che avevano appoggiato senza riserve l’opposizione, comprese le formazioni islamiste.

È il caso della Turchia, da dove il presidente, Abdullah Gül, nel corso di un’apparizione di fronte agli ambasciatori accreditati ad Ankara, martedì ha fatto appello al governo del premier Erdogan a ricalibrare la propria strategia siriana, evidenziando la necessità di cercare una strada diplomatica per risolvere la crisi nel vicino meridionale.

Le fonti del Wall Street Journal, come è ovvio, hanno tenuto a sottolineare che lo scambio di informazioni rivelato mercoledì riguarda soltanto la questione degli estremisti legati ad al-Qaeda e “non rappresenta un’apertura diplomatica più ampia”.

Queste rassicurazioni sono rivolte soprattutto all’opposizione “moderata” appoggiata dall’Occidente che sta decidendo se inviare una propria delegazione a Ginevra la prossima settimana per l’apertura dei negoziati di pace con il regime.

I “ribelli” filo-occidentali temono infatti che i loro sponsor stiano preparando una svolta strategica in Siria, basata sull’accettazione della permanenza al potere del presidente Assad nel prossimo futuro, perché considerato come il partner più affidabile per combattere l’estremismo sunnita. Un simile riallineamento trarrebbe origine dalla collaborazione del regime nella distruzione del proprio arsenale di armi chimiche, seguita all’accordo tra USA e Russia del settembre scorso dopo il fallito tentativo americano di scatenare un’aggressione militare contro la Siria.

Anche se le rivelazioni del Journal indicano come i contatti tra il regime e le agenzie di intelligence europee siano recenti, essendo avvenuti tra novembre e dicembre, è difficile stabilire se quella che può essere considerata un modesta apertura verso Assad sia da considerarsi come il percorso che i governi occidentali intendono perseguire nell’immediato futuro.

Infatti, l’inizio del nuovo anno è stato segnato, almeno pubblicamente, da una rinnovata offensiva contro il regime, suggellata ad esempio dai toni minacciosi espressi dagli “amici della Siria” nel fine settimana a Parigi e dall’annuncio americano di volere riprendere la fornitura di aiuti “non letali” all’opposizione siriana. Ciò è coinciso con la guerra scatenata dall’opposizione armata “moderata”, in collaborazione con milizie fondamentaliste, contro un’altra fazione ribelle, l’organizzazione legata ad al-Qaeda denominata Stato Islamico dell’Iraq e della Siria.

La strada dello scontro e quella dell’apertura sembrano in realtà essere seguite parallelamente dai governi occidentali, in modo da scegliere la più opportuna una volta chiarite le potenzialità del vertice “Ginevra II” che dovrebbe partire il 22 gennaio. Un diplomatico occidentale di stanza in Medio Oriente ha infatti confermato al Wall Street Journal che “dopo Ginevra potrebbero esserci delle aperture” verso il regime, sempre che quest’ultimo si mostri disponibile a qualche concessione.

Gli incontri di Damasco, oltre a raccogliere informazioni sul jihadismo esportato in Siria dall’Europa, potrebbero essere serviti anche ad un altro scopo ed esso è legato, come spiega lo stesso articolo del Journal, al tentativo da parte degli “USA e dei loro alleati di creare un governo provvisorio accettabile sia per Damasco che per l’opposizione”.

In questo quadro, l’intelligence europea può avere sondato il terreno in Siria per trovare elementi all’interno del regime disponibili ad un accordo con i “ribelli”, a cominciare dal consigliere speciale per la sicurezza di Assad, Ali Mamlouk, protagonista degli incontri con i rappresentanti dei servizi segreti europei e indicato da un diplomatico occidentale, sentito dallo stesso quotidiano newyorchese, come un “importante candidato di compromesso” per guidare un eventuale governo di transizione.

I governi occidentali citati dall’articolo del Wall Street Journal, in ogni caso, si sono quasi tutti rifiutati di commentare le rivelazioni. Solo un portavoce dell’agenzia per la sicurezza interna spagnola ha confermato che Madrid ha condiviso informazioni con Damasco circa cittadini spagnoli trasferitisi in Siria per unirsi ai gruppi jihadisti.

Anche senza conferme da Londra, Parigi o Berlino, in ogni caso, questi governi - come quello di Washington, che non avrebbe però inviato i propri agenti a Damasco - stanno discutendo da tempo dei pericoli legati ad una delle conseguenze dirette delle loro manovre, vale a dire il ritorno in patria di guerriglieri passati attraverso un processo di radicalizzazione in Siria.

Reclutati nelle moschee delle città europee o americane, i jihadisti con passaporti occidentali raggiungono solitamente il sud della Turchia e, facendo lo stesso percorso delle armi e del denaro destinato ai “ribelli”, oltrepassano il confine siriano per raggiungere gruppi armati che sono stati spesso protagonisti di violenze e soprusi ai danni della popolazioni civile.

Secondo i dati del governo britannico, Londra avrebbe finora privato della cittadinanza una ventina di persone che hanno preso parte al conflitto in Siria. Da Parigi, invece, il presidente Hollande ha affermato proprio martedì che almeno 700 cittadini francesi hanno già lasciato il paese per raggiungere i “ribelli” siriani, mentre un pubblico ministero transalpino ha aggiunto che altre centinaia di persone sarebbero pronte a partire, tutte per combattere una battaglia che ha sostanzialmente lo stesso obiettivo perseguito dai governi dei loro paesi di origine in Occidente.