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Indulto. Ingiustizia è fatta

di Massimo Fini - 31/07/2006

 
Ingiustizia è fatta. La motivazione ufficiale dell'indulto, divenuto legge dello Stato dopo l'approvazione definitiva del Senato con i voti dell'Ulivo, Prc, Verdi, Udeur, Forza Italia e Udc, e che rimetterà in libertà fino a 20 mila detenuti, è che le carceri sono sovraffollate in modo disumano e che è quindi necessario sfoltirle. Le ragioni reali sono tutt'altre. Si tratta di un voto di scambio che mette insieme lo storico "buonismo" delle sinistre con la volontà, e anche la necessità, del gruppo dirigente di Forza Italia di salvare alcuni "colletti bianchi" dai reati che sono loro propri (bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, concussione, corruzione semplice e persino corruzione di magistrati). Su tutto questo c'è poi una buona spalmata di "perdonismo" cattolico che spiega il voto dell'Udc e dell'Udeur il cui leader, e ministro della Giustizia, Mastella ha dedicato i provvedimenti di clemenza a Papa Wojtyla.
È uno schiaffo in faccia non solo alla Giustizia italiana, ma a tutti quei cittadini che ancora si ostinano (non so per quanto)a rispettare le leggi. L'indulto infatti non serve allo scopo per cui si dice che è stato varato, mentre procura una serie di gravi danni. È dimostrato, storicamente e statisticamente, che due terzi dei detenuti che usufruiscono di un provvedimento di clemenza, amnistia o indulto che sia, tornano a delinquere. Nel giro di due anni saremo quindi daccapo per quanto riguarda il sovraffollamento delle carceri. Anzi in una situazione ancora peggiore perché ai vecchi detenuti recidivi, che nel frattempo avranno fatto le loro vittime, si saranno aggiunti i nuovi, in misura sempre maggiore incoraggiati dal fatto di potersela, prima o poi, scapolare con qualche altro provvedimento di clemenza o beneficio.

In uno Stato che voglia dirsi civile le pene non devono essere nè eccessivamente severe nè, tantomeno, "esemplari". Devono però essere certe perché chi compie dei reati sappia ciò cui va incontro. La pena infatti non serve solo a punire il reo, ma ha la funzione di deterrente, di "controspinta alla spinta criminosa", dicendola col vecchio Antolisei, per dissuadere chi abbia intenzioni o predisposizioni delinquenziali. In Italia invece la pena, a causa della farraginosità del nostro ordinamento, è un optional e l'indulto non farà che aumentare questa diffusa percezione d'impunità.

L'indulto inoltre attua la peggiore sperequazione fra detenuti. Si applica infatti solo a coloro che sono già stati condannati.

Ma quasi la metà della popolazione carceraria è formata da detenuti in attesa di giudizio e che potrebbero benissimo risultare innocenti, ai quali l'indulto non è applicabile perché manca una sentenza e quindi una pena da cui scalare i tre anni che il provvedimento di clemenza concede. Per cui si arriva all'infame paradosso che l'indulto tira fuori di galera delinquenti certi, ma vi lascia possibili innocenti.

E con questo ci avviciniamo al vero nocciolo della questione. Che è l'abnorme ed esasperante durata del processo penale italiano, di cui il sovraffollamento delle carceri rappresenta un subproblema. Una giustizia che arriva tardi è infatti sempre "denegata giustizia", come dicevano i latini che il diritto l'hanno creato, sia che assolva, sia che condanni. Se assolve, perché ha tenuto un innocente sulla graticola per anni e anni, se condanna perché lo fa quando ormai non serve più e il criminale ha avuto modo di fare tutto il male che gli era possibile alla società e ai suoi concittadini. C'è quindi bisogno di un provvedimento strutturale che riduca drasticamente la durata dei processi. E una contrazione della durata dei processi, oltre a risolvere la questione principale, ridurrebbe anche il sovraffollamento delle carceri contraendo contemporaneamente il tempo di permanenza nei penitenziari dei detenuti in attesa di giudizio.

Sembra elementare. Eppure in questi anni la nostra classe dirigente, di destra o di sinistra, a tutto ha pensato fuorché occuparsi della durata dei processi. Ha anzi aggravato ulteriormente la situazione inserendo nel nostro Codice di procedura un'infinità di leggi dette "garantiste" che allungando ancora le procedure danneggiano gli innocenti e favoriscono i colpevoli. Perché l'interesse dell'innocente è di essere giudicato il più presto possibile, quello del colpevole il più tardi o, preferibilmente, mai come si è visto bene in questi anni con imputati eccellenti e anche eccellentissimi assolti solo perché era passato il tempo sufficiente per far cadere i loro reati in prescrizione.

In attesa di questi provvedimenti strutturali cui nessuno pensa, e in subordine per risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri, si dovrebbero costruire penitenziari nuovi, più moderni e a misura d'uomo, con spazi di libertà, anche sessuale, per i detenuti, perché la prigione non deve essere un luogo di tortura ma solo una prigione, invece di favoleggiare sul Ponte di Messina o sulle "grandi opere".

Infine questo provvedimento dimostra, nel modo più lampante, il totale disprezzo della nostra classe dirigente, di destra e di sinistra, per quei cittadini di cui, pur profumatamente pagati, dovrebbero rappresentare la volontà. Un provvedimento a cui la stragrande maggioranza della popolazione era contraria è stato dichiarato "prioritario", "urgentissimo", gli si sono trovate, in piena estate, corsie preferenziali, mentre altre misure di interesse primario per i cittadini giacciono, inevase, in Parlamento da anni. Non siamo che sudditi.

E adesso che succederà? Che buona parte dei detenuti rimessi in libertà tornerà a delinquere, compiendo reati di routine o gravi o anche gravissimi (tipo Alessi). E allora quelle stesse "anime belle" che hanno votato l'indulto grideranno allo scandalo e si scaglieranno contro i magistrati additandoli al ludibrio generale per aver applicato quelle leggi che proprio loro hanno voluto.

 

www.massimofini.it