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Ecco perchè il voto della Crimea va rispettato

di Federico Capnist - 18/03/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


E’ un risultato che l’Occidente, piaccia o no, deve accettare perché risponde al diritto internazionale ed al buon senso, nonostante si siano sprecate in questi giorni parole in senso opposto. La situazione a cui si è giunti dopo la rivolta di Kiev rappresenta tutto l’opposto di quanto auspicato da Mosca.

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Come previsto, come giusto che fosse, il referendum sulla Crimea è risultato essere un plebiscito della popolazione a favore dell’unione alla Russia. E’ un risultato che l’Occidente, piaccia o no, deve accettare perché risponde al diritto internazionale ed al buon senso, nonostante si siano sprecate in questi giorni parole in senso opposto. La situazione a cui si è giunti dopo la rivolta di Kiev rappresenta tutto l’opposto di quanto auspicato da Mosca. Dopo aver raggiunto, in dicembre, un accordo con l’Ucraina secondo consuetudine e rispetto delle più elementari norme vigenti nelle relazioni internazionali, essa si è trovata, suo malgrado, a dover tutelare il volere dei propri compatrioti ed i propri interessi in un modo un po’ burbero, ma al quale è stata costretta dagli eventi e dalla situazione attuale del Paese, frutto del modus operandi dei paesi occidentali. Alla base di ogni discussione, è bene ricordarlo, c’è il fatto che a Kiev è avvenuto un colpo di stato che con la violenza di piazza ha rovesciato un governo democraticamente e regolarmente eletto, un colpo di Stato supportato in ogni modo da paesi stranieri accorsi subito in piazza Maidan con il “fior fiore” della loro intelligentsia e della politica, per riconoscere frettolosamente un governo nato dal sangue e dare una parvenza di legalità ad un atto che – in virtù del fatto che viviamo in un mondo dove i governi dovrebbero votarsi e non decidersi con la forza, così ci hanno insegnato – normalmente sarebbe definito criminale.

A monte di questi avvenimenti, c’è un’inquietante trama ordita continuamente ai danni di Mosca negli ultimi venticinque anni: una trama che si traduce in un avanzamento verso Est – più o meno direttamente – della Nato e che sfocia in un accerchiamento della Russia che non può essere tollerato. Quale altra nazione al mondo degna del rango di Potenza, lascerebbe che ai suoi confini, in un paese abitato in buona parte da cittadini legati ad essa da secoli, avvenga quel che sta avvenendo ora in Ucraina senza reagire? Mosca ha dovuto rispondere a quanto accaduto perché ne vale della sua sicurezza e ne vale del suo prestigio, esattamente per gli stessi motivi per i quali le grandi potenze non hanno mai potuto e voluto tirarsi indietro in situazioni analoghe o quando faceva loro comodo. Possono ripetere all’infinito, in questi giorni, che questo referendum è illegittimo e che non rispecchia il diritto internazionale, perché allora si potrebbe replicare che il diritto internazionale, da che mondo è mondo – e i casi più volte ricordati in questi giorni, Kosovo in primis, ce lo insegnano – si tira in ballo quando fa comodo e si calpesta quando fa ancor più comodo. Ma questa usanza nasce dal neocolonialismo e dal comportamento dei paesi occidentali degli ultimi anni, non certo dalle azioni recenti della Russia che ha solo dovuto adeguarsi ad un sistema che non le piace, ma se al quale è costretta ad adattarvisi, lo sa fare molto bene. E ne è la riprova il fatto che l’azione russa abbia totalmente spiazzato e colto alla sprovvista i governi occidentali, rimasti a bocca aperta, prima, e balbettando parole a caso su fantomatiche sanzioni, poi. Il diritto internazionale, e si mettano l’anima in pace i critici filo-atlantisti, in questo caso è più che rispettato perché tirato in ballo è il principio dell’autodeterminazione dei popoli: un principio che bisognerà iniziare a valutare diversamente e non continuare a calpestare, che dovrà essere rispettato invece che snobbato. Inserito nella carta dell’ONU nel ’45 e tenuto in palmo di mano nell’era della decolonizzazione in cui l’Occidente si lavava i suoi peccati del passato, pare che da allora, esauritosi questo spirito, il principio sia decaduto e con esso l’importanza della volontà popolare. Sbagliando, poiché esso è forse il più nobile ideale concepito dall’uomo contemporaneo, che va tutelato e messo in pratica nel caso le spinte dal basso lo richiedano in maniera prepotente; come, per l’appunto, nel caso della Crimea.

Riguardo all’altro aspetto che ha scatenato polemiche e dubbi sulla legittimità del referendum – ovvero la presenza di militari russi nella penisola – non ce ne voglia il presidente Putin, ma sappiamo bene che quei disciplinati soldati a volto coperto che hanno popolato per giorni le immagini dei telegiornali, non sono miliziani ucraini filorussi, bensì soldati di Mosca. E’ ovvio. Ma è una mossa a cui Vladimir Vladimirovich è stato forzato, una piccola ipocrisia (quella di nascondere ogni mostrina o bandiera riconducibile alla Russia) per rispondere ad un’ipocrisia più grande: di fronte alle menzogne propinate dal maldestro asse euro-atlantico, di fronte all’illegalità della presa del potere a Kiev, di fronte alla presenza nel nuovo governo di elementi neofascisti (nella peggiore accezione del termine e che agitano più che giustificati incubi nella mente dei russi) e di fronte a scenari rovinosi per l’est del paese e per gli interessi del Cremlino, l’unica mossa era rispondere in maniera consona. Tutelare con la presenza della forza il sacrosanto diritto della popolazione della Crimea di scegliere in autonomia il proprio destino, lanciando un severo monito a chi provvisoriamente comanda a Kiev. E dovendo sottolineare come la presenza di questi soldati non abbia minimamente influito sull’esito referendario, tanto forte era l’entusiasmo della popolazione. Siamo più che sicuri che la Russia – salvo drammatiche evoluzioni degli eventi – si limiterà ad agire in questo modo solo riguardo alla Crimea, e che come dichiarato dal ministro degli Esteri Lavrov, consultazioni multilaterali saranno intavolate per decidere la sorte delle altre aree sud-orientali dell’Ucraina, dove la situazione, seppur diversa, presenta importanti analogie con quelle della preziosa penisola. Solo qui, per il momento, è stato infatti necessario fare sfoggio della propria forza con tale velocità, perche lì gli interessi strategici lo richiedevano e perche lì soprattutto, la volontà popolare di legarsi alla Madre Russia era troppo forte per non essere ascoltata, come si é visto dai risultati. La Russia in fondo è come un ragazzo grande e grosso, ma buono, al quale non piace prendersela con i più piccoli, ma che pretende rispetto. Se questo manca, deve mostrare i muscoli, altrimenti diventa uno zimbello e invece che grande, grosso e buono diventa grande, grosso e scemo. La Russia di oggi, per il bene suo e per il bene di un mondo che deve avviarsi verso un sistema multipolare, non può permetterselo.