Come sempre, ringrazio Lorenzo Adorni per la collaborazione ed i contributi preziosi che aricchiscono questo blog. Oggi si concentra su una “defenestrazione eccellente” che potrebbe avere conseguenze molto più rilevanti di quanto si pensi. Buona lettura!
Disegnate una linea. Breve, molto breve. Su di essa disponete, in ordine, quattro elementi: l’Arabia Saudita, il suo Ministro della Difesa, l’Ambasciatore saudita a Washington e gli Stati Uniti. Agli estremi avete uno dei maggiori stati acquirenti di armi e aerei, l’Arabia Saudita, e uno dei maggiori stati produttori di sistemi d’arma e aeromobili, gli Stati Uniti. Nel mezzo trovate, per l’appunto, Sultan bin ‘Abd al-Aziz, il Ministro della Difesa saudita e il principe Bandar bin Sultan, Ambasciatore saudita a Washington. Il primo è il padre del secondo. A questo punto, sotto i vostri occhi, avete un sistema perfetto. Un sistema che per anni ha funzionato egregiamente, producendo scambi commerciali per miliardi di dollari.
Durante la presidenza Bush Senior, il principe Bandar era un uomo molto vicino all’amministrazione, in grado di vantare rapporti stabili e diretti con coloro i quali a Washington erano chiamati ad effettuare scelte strategiche. Non accadde lo stesso con l’amministrazione Clinton, quando, anche se gli accordi commerciali non mancarono, il principe saudita si vide costretto ad accontentarsi di un ruolo minore. Ma, a differenza di quanto accade a Riyad, a Washington i presidenti cambiano.
Con il ritorno dei Bush alla Casa Bianca, ecco Badar tornare alla ribalta, frequentare lo studio ovale e muoversi a Washington, fra la sua lussuosa villa e i centri nevralgici del potere americano. Con una scorta direttamente organizzata dal Dipartimento di Stato. Privilegio unico nel suo genere. Dopo l’undici settembre 2001, Bandar deve accontentarsi di mantenere un profilo più basso. Nonostante ciò, nessuno lo lascerà solo in un angolo. E’ ancora lui nel 2003 a sostenere a gran voce l’intervento americano in Iraq.
Nel 2005 viene richiamato in patria e diviene Segretario Generale del Consiglio Nazionale di Sicurezza saudita. Suo padre, Sultan bin ‘Abd al-Aziz, diviene Vice Primo Ministro ed erede designato al trono. Il fratellastro di suo padre, Abd Allah, diviene re dell’ Arabia Saudita. Nulla sembra impedire a Bandar, principe ereditario, un futuro di primaria importanza. Tuttavia, nel 2011 suo padre muore.
Per gli al Saud inizia un periodo di rapidi cambiamenti. Viene nominato erede al trono Nayef, che però muore in meno di un anno dalla nomina, nel giugno 2012. Un mese dopo Bandar diviene capo dell’Intelligence saudita. Quasi contestualmente sulla stampa di mezzo mondo si spargono voci di una sua possibile morte in un attentato. Voci poi rivelatesi infondate. Voci che, però, se considerate unitamente alla nomina di Salman a principe ereditario, iniziano a gettare un’oscura ombra su quanto stia avvenendo all’interno della famiglia reale degli al Saud: re Abd Allah è malato, e tutti i suoi potenziali successori cadono in disgrazia o muoiono dopo brevi periodi ai vertici dello stato.
Bandar è lontanissimo da una possibile successione al trono, ma gli avvenimenti non gli riservano un futuro positivo. Si muove con spregiudicatezza. Fallisce il suo tentativo eliminare Assad in Siria. I suoi aiuti finiscono nelle mani dei ribelli jihaidisti. Particolare molto sgradito a Washington, ma anche al ministro degli interni saudita, che vede tornare in patria ex combattenti fondamentalisti, potenziali futuri destabilizzatori dello stesso regno degli al Saud. Successivamente Bandar si rivolge con espressioni piuttosto dure nei confronti di Barack Obama per il mancato intervento militare in Siria. Si muove per contrastare i negoziati fra Teheran e Washington sul programma nucleare iraniano. Sostiene apertamente il colpo di stato del Generale al Sisi contro Morsi in Egitto. Ma la sua fine giunge con la una visita a Mosca. Un maldestro tentativo di convincere Putin ad abbandonare Assad, viene arricchito con una promessa, non molto credibile, di una sostanziale apertura di Riyad nei confronti degli interessi di Mosca. Putin, che ha conosciuto da vicino la politica di Riyad a sostegno dei fondamentalisti islamici nel pantano ceceno, rifiuta.
Quest’azzardo di Bandar risulta essere troppo anche per Washington. Gli al Saud, preoccupati anche dal fatto di divenire un alleato minore all’interno del nuovo disegno geostrategico statunitense, intervengono e allontanano Bandar dai vertici dello stato. Nei fatti il principe era già stato rimosso ben prima del comunicato ufficiale emanato nei giorni scorsi e ben prima della visita di Obama a Riyad, avvenuta nel marzo scorso. Visita, quest’ultima, volta ad appianare le divergenze emerse nei mesi precedenti, in particolare riguardo alla crisi siriana e al negoziato sul nucleare iraniano.
Con re Abd Allah malato, il principe ereditario Salman quasi ottantenne e, a quanto pare, non perfettamente lucido, si è aperto definitivamente lo scontro per giungere ai vertici della monarchia saudita. Bandar, molto probabilmente, non avrebbe potuto aspirare a cariche di primaria importanza, ma quale capo dell’intelligence, avrebbe comunque giocato un ruolo fondamentale.
Ora, dal suo “esilio” in Marocco, dove il padre, nei decenni precedenti, aveva realizzato notevoli investimenti economici e immobiliari, non potrà influenzare significativamente la successione ai vertici dello stato saudita.