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Palestina: la Storia contro la propaganda

di Antonio Cuadrado-Fernandez - 30/07/2014

Fonte: controinformazione



 

Scrivo questo articolo mentre in una parte del pianeta ci sono più di un milione di esseri umani terrorizzati sotto una pioggia di bombe e di missili comandata dalla più alta tecnologia disponibile sul pianeta. Si tratta della Striscia di Gaza. Ancora una volta Israele bombarda con freddezza quasi burocratica ogni cinque sei anni per per minare poco a poco il morale e la speranza degli abitanti di Gaza e finire con obbligarli ad andarsene in altro luogo perché Gaza è un inferno sulla terra. Tuttavia essi seguono a rimanere nella loro terra, resistendo ostinatamente al tentativo di sradicarli e forzarli a scomparire nonostante siano violentati nelle viscere, con l’animo lacerato e sepolto. Quelle persone continuano ad esistere perché sanno che quella è la loro terra e anche perché non avrebbero altro luogo dove andare, perché sanno che che gli antichi abitanti palestinesi del paese chiamato Sderot dovettero andarsene e mai sono potuti rientrare. Una mia amica giordana di origine palestinese, mi racconta che i suoi genitori se ne andarono in vacanza nel 1967 e quando tornarono la loro casa era stata letteralmente occupata da una famiglia israeliana. Come molte altre famiglie di ebrei che, nel 1948 occuparono molte delle case che i palestinesi dovettero abbandonare fuggendo alla violenza di quello che i palestinesi hanno chiamato la Nabka (la catastrofe), e gli israeliani cinicamente hanno chiamato la guerra di indipendenza (indipendenza da chi?).

 

Sono stufo di leggere le frasi  tipo Goebbels  della propaganda israeliana che cerca di trattarci come imbecilli. Se Israele vuole la pace, perché paga quasi più di 300.000 dei suoi cittadini per andare a vivere nelle colonie illegali costruite in Cisgiordania? Un paese che vuole la pace occupa militarmente un altro territorio per più di 50 anni? Ricordiamoci che la costruzione di insediamenti illegali in Cisgiordania è iniziata nel 1967, molto prima che di verificasse qualsiasi attentato terroristico in Israele. Sembra una verità che gli israeliani non vorrebbero uccidere i civili? Come può sbagliare il quarto esercito più potente del mondo? O è che arruolano soldati stupidi? No, il governo israeliano ha sempre tenuto chiaro fin dal 1948 che i palestinesi non esistono (o quando esistono sono terroristi) e che la Palestina e Israele devono chiamarsi Giudea e Samaria. Un poco di Storia e di contesto può servire a smontare la disumanizzante macchina della propaganda israeliana che tende a giustificare autentiche carneficine contro la popolazione civile come se, al posto di esseri umani, stiano uccidendo animali o insetti.

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E’ necessario capire questa catastrofe, quella dei palestinesi, perchè questo è vitale per comprendere molte delle cose che non funzionano bene in questo mondo . Non corrisponde a verità che palestinesi ed israeliani abbiano passato tutta la vita uccidendosi, come sento dire a volte. Questo suona come una facile scusa per non comprendersi e per non dover prendere partito, fino a sporcarsi, come diceva Gabriel Celaya. Si, questo è sicuro, il Medio Oriente è stata un terra disputata per molti anni, moltissimi anni. Tuttavia conviene ricordare che il conflitto tra palestinesi ed israeliani non è esistito per tutti i 500 anni che la Palestina fu un provincia dell’Impero Ottomanno, la grande barriera per accedere molto più comodamente alle colonie dell’Estremo Oriente. Questo dominio che tuttavia la trasformò in una poverissima provincia dell’Impero Ottomanno, divenne come oggetto di desiderio dell’Impero britannico e francese. Come ho detto, era importante per le rotte di passaggio verso l’Asia e per indebolire così il grande nemico di quell’epoca, l’Impero Ottomanno.

Ci si può chiedere come era l’attuale Israele/ Cisgiordania in quell’epoca e come vivevano i suoi abitanti palestinesi? Il “fellaheen” o contadino palestinese, da secoli viveva coltivando un territorio in condizioni molto dure dove la siccità era la norma e soltanto una piccola porzione della terra si prestava alla coltivazione di cereali, olio di oliva, sesamo e frumento, che venivano vendute poi nelle città di Heblon e di Nablus o nelle città costiere come Haifa dove esisteva il commercio marittimo. La vita del contadino nei piccoli paesi dell’interno non era per nulla facile ma, come annota la Rosemary Sayigh – nel suo libro “I Palestinesi da contadini a rivoluzionari”- c’era solidarietà ed un solido ancoraggio nei valori come la generosità, l’ospitalità, il rispetto per gli anziani ed il rispetto per la fertilità della terra. Come afferma Ibrahim Muhawi, l’occupazione militare israeliana è tanto dura che molti dei palestinesi rifugiati oggi idealizzano la Palestina di allora per quanto fosse dura la sopravvivenza.

Con il romanticismo iniziò a crearsi in europa l’idea romantica della terra Promessa in sostituzione della terra dei pellegrinaggi ai luoghi consacrati alle tre Religioni monoteiste. Tuttavia come sempre accade, il discorso religioso servì per nascondere i motivi meno spirituali come quello di porre la zona sotto l’influenza politica ed economica dell’ Europa. Poco a poco i viaggiatori che provenivano dalla Palestina iniziarono a riportare notizie stereotipate della popolazione locale: i palestinesi erano una popolazione che viveva in condizioni di molta povertà quasi animale e quindi si affermava la necessità di civilizzare quel popolo come anche tutto l’Oriente, che veniva descritto nell’epoca come barbaro, passionale e selvaggio. Inutile dire che queste descrizioni trascuravano la bellezza e la ricchezza di città portuali come Jaffa. Tuttavia gli stereotipi legittimarono il pretesto per la penetrazione del capitale estero sulla zona per modernizzarla e per “far fiorire un giardino nel deserto” che le popolazioni arabe non erano state capaci di creare nel corso dei secoli.

Fu la famiglia dei banchieri Rotschild quella che finanziò i primi arrivi ed i primi coloni degli ebrei nella provincia della Palestina che si conosce come la prima Aliyah, che durò dal 1882 fino al 1902. Molti di questi migranti erano giudei dell’est Europa e dello Yemen che fuggivano dal clima di antisemitismo che si viveva in quell’epoca in Europa. Evidentemente vi erano molti interessi economici creati intorno a questa zona del Medio Oriente (ricordiamo il canale di Suez) già che era urgente creare uno Stato che operasse come un vigile politico militare del transito delle merci e risorse naturali che percorrevano la zona. Questo è qualche cosa che non è cambiato nel corso del XXI secolo: gli Stati Uniti concedono ogni anno un aiuto economico ad Israele per 3 billioni di dollari annuali questo perchè Israele svolge un ruolo geostrategico importantissimo come muro di contenimento delle ambizioni di Russia e Cina nella zona, a volte è una estensione degli interessi economici occidentali in Medio Oriente.
In definitiva oggi sta morendo gente per preservare gli interessi economici di alcune minoranze oligarchiche alle quali non interessa nulla della vita umana.

Dopo la I guerra mondiale l’Impero Ottomanno rimase smembrato e così iniziò la lotta tra le potenze coloniali europee per spartirsi il bottino: il trattato Syktes Picot divideva il Medio Oriente in zone di influenza tra i britannici ed i francesi: i britannici si aggiudicarono il controllo della Palestina. Successivamente arrivò l’accordo più infame, la prima catastrofe per la popolazione palestinese: la dichiarazione di Balfour che era un documento scritto dall’allora ministro degli esteri britannico Arthur James Balfour, diretta al Barone Lionel Walter Rothschild, il leader della comunità giudea britannica. Con questa dichiarazione si appoggiava la creazione di uno stato ebraico, che era il grande sogno del sionismo. A partire da quella iniziarono i veri problemi. Soltanto un dato illustra la grandezza del problema.Nel 1878 il censimento dell’Impero Ottomanno in Palestina indicava che la popolazione araba era circa l’85% del totale, mentre il percentuale della popolazione gidea era circa il 3% del totale. Nel 1942 la popolazione araba era scesa al 61,44% e la popolazione giudea si era incrementata fino al 29%. Gli ebrei cercavano rifugio per sfuggire alle persecuzioni razziste che avvenivano nella nostra civile Europa ma con quell’accordo si sottrasse la terra a tutto un popolo: il 29 Novembre del 1947 l’ONU dichiarava la spartizione della Palestina in due Stati, al nuovo Stato ebraico, con una popolazione di 498.000 ebrei si attribuì il 56,47% del territorio mentre alla popolazione araba, composta da 807.000 abitanti, si assegnava il 43,53% del territorio. A qualcuno questo accordo potrebbe sembrare giusto? Risulta che l’ONU e le potenze occidentali piantarono per prime il seme dell’odio che in questi giorni contempliamo con orrore indescrivibile. Il luogo comune che sempre ci siano stati giudei in Palestina? Certo ve ne erano come anche negli altri paesi arabi , ma sempre furono una sparuta  minoranza.

A partire da allora, Israele, sempre più ben armata ed appoggiata dai suoi alleati occidentali, ha sottratto sempre un pezzo in più di territorio ai palestinesi dopo ogni guerra. Poco dopo la guerra del 1967, Israele iniziò ad impiantare colonie illegali ebraiche in Cisgiordania e da allora la Palestina si è ristretta fino quasi ad essere ridotta ad una serie di “batustan”isolati fra loro ed incrociati da una fitta rete di strade destinate esclusivamente agli ebrei e piegati da una occupazione militare che dura già da più di 40 anni.

Per i sostenitori filo israeliani che ripetono i luoghi comuni della propaganda senza alcun contesto o criterio, dire che quando Israele decise di espandersi più in là delle sue frontiere non vi era alcun terrorismo in Palestina, che tutta la violenza generata da allora è stata una risposta all’occupazione militare che dura da anni trasformando la vita dei palestinesi in un inferno; che i palestinesi nella loro stessa terra non possono muoversi in libertà e che bisogna vedere come molte donne palestinesi sono costrette a partorire nei checkpoints israeliani perchè il militare israeliano di turno non ha voluto dare loro il permesso di passare per recarsi all’ospedale, che gli insediamenti illegali dispongono di piscina mentre le abitazioni dei palestinesi sono soggette a interruzioni dell’acqua corrente, controllata da Israele, nonostante che le fonti d’acqua si trovino in Cisgiordania, non in Israele, che gli israeliani hanno distrutto più di mezzo milione di alberi di olivo che costituivano il principale sostegno economico per molte famiglie di contadini palestinesi, che lo consideravano un simbolo di resistenza e di attaccamento alla propri terra. Tutto questo significa che Israele pratica un memoricidio, una distruzione fisica del patrimonio culturale palestinese per cancellare ogni traccia della loro presenza. Israele è riuscita a disumanizzare i palestinesi tanto quanto i nazisti disumanizzarono gli ebrei.

Si tratta di una vendetta? No si tratta di una strategia: Israele segue un lento ed inesorabile piano per realizzare la “grande Israele” (Eretz Israel) sulle rovine della popolazione e della cultura palestinese, il tutto per salvaguardare gli interessi bastardi di una minoranza oligarchico finanziaria arricchitasi con il sangue degli innocenti.

Fonti:
Canadians for Justice and Peace in the Middle East, Factsheet: Demographics of Historic Palestine Prior to 1948, http://www.cjpmo.org/DisplayDocument.aspx?DocumentID=18
Farsoun Samigh K. and Nasser H. Aruri. Palestine and the Palestinians: A Social and Political History. Boulder, Colorado: Westview Press, 2006.
Gregory, Derek. The Colonial Present: Afghanistan, Palestine, Iraq. Oxford: Blackwell Publishing, 2004.
Kimmerling, Baruch and Joel S. Migdal. The Palestinian People: A History. Cambridge: Harvard University Press, 2003.
Muhawi, Ibrahim. ‘Oral History in the Palestinian and Saharawi Contexts: A Comparative Approach.’ Al Majdal (a quarterly magazine of BADIL Resource
Center for Palestinian Residency and Refugee Rights) 32 (winter 2006-2007), http://www.badil.org/al-majdal/2006/Winter/article06.htm
Said, Edward. Reflections on Exile and Other Essays. Cambridge, Mass.: Harvard University Press, 2000.
Said, Edward. The Question of Palestine. London: Vintage, 1992.
Sayigh, Rosemary. The Palestinians: From Peasants to Revolutionaries. London: Zed Books, 2007.
Shehadeh, Raja. Palestinian Walks: Notes on a Vanishing Landscape. London: Profile Books, 2008.
White, Ben. Israeli Apartheid: A beginner’s Guide, 17, London: Pluto Press, 2009.
Whitelam, Keith W. The Invention of Ancient Israel: The Silencing of Palestinian History. London: Routledge, 1996.

Antonio Cuadrado-Fernandez, Doctor en teoría postcolonial, Universidad de East Anglia, Reino Unido.

Tratto da Rebelion

Traduzione: Luciano Lago