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La prepotenza della Ragione

di Andrea Chinappi - 08/09/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Questa perenne supervisione della Ragione grazie alla quale tutto si risolve in essa, ha reso gli uomini individui rassegnati davanti ad un ente che razionalizza ogni ambito della vita umana: dalla vita giuridica, all'arte, all'economia, tutto è “funzionale” alla sopravvivenza del Sistema che investe di senso le cose che produce. La conseguenza inevitabile di un mondo che fornisce risposte istantanee di ogni natura, è la perdita di senso della domanda stessa (“ Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale”, Hegel); all'assenza di una richiesta di senso corrisponde inevitabilmente il controllo e il dominio della Ragione.

Newton-WilliamBlake

Il sociologo ed economista tedesco Max Weber nel celebre saggio di inizio ’900 “ L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo” già definiva il Sistema del nuovo millennio come una “gabbia d’acciaio” che attraverso strapotere e costrizione determinava la vita di ogni individuo, il quale era ridotto a mero “ ingranaggio”1. L’illuminismo, le rivoluzioni scientifiche legittimate dalla filosofia neopositivista e la stra-industrializzazione della società hanno mutato l’essenza stessa dell’uomo, quella che Karl Jaspers chiamava “ Umgreifende”2, l’essere-in-sé. La rivoluzione tecnica è stata a tutti gli effetti una rivoluzione metafisica, in quanto è riuscita a compromettere e ripensare categorie e valori prima d’ora mai messi in discussione dall’uomo. Il mondo in cui viviamo ci viene presentato come un insieme di relazioni determinate da principi di causa e effetto, di equilibri perfetti e necessari, di oggetti utili e inutili, di attività efficaci ed inefficaci, in quanto uomini e cose si definiscono grazie ad un principio di razionalità dettato dal Sistema. Sin dalle scuole primarie docenti e supervisori trasfondono agli studenti l’importanza di essere “funzionali”, come se fosse una categoria a priori per essere-nel-mondo; questo modo di intendere il mondo da parte dell’uomo ha portato a smettere di chiedersi il senso della cosa, ma piuttosto a domandarsi il suo impiego. Scrive Galimberti:

 Nell’età della tecnica la misura della ragione è quella dell’efficacia, che traduce la domanda metafisica di natura essenziale « Che cos’è?» in domanda pratica di tipo funzionale « A che serve?»  3.

Da ciò possiamo dedurre il carattere ontologico ( dal greco “einai”, essere) della Ragione che ha preso il posto del pensiero, predeterminandolo: la ricerca della verità intorno alla quale tutti i filosofi hanno speso le loro vite, da Platone a Hegel, ha perso di senso dal momento in cui questa si è identificata con la Ragione, unica fonte di verità e di certezze. Se nelle epoche precedenti l’uomo aveva la possibilità di sviluppare diverse concezioni della natura e del mondo e di conseguenza anche il modo di occuparsene, nella società tecnologica tutto è regolato da principi scientifici insindacabili che determinano la comprensione del mondo ormai scomponibile e trasformabile: se prima l’uomo concepiva il mondo come un essere autonomo al quale doveva adattarsi, ora la prepotenza della Ragione fa in modo che questo mondo è possibile costruirlo e organizzarlo secondo i propri bisogni. Questa perenne supervisione della Ragione grazie alla quale tutto si risolve in essa, ha reso gli uomini individui rassegnati davanti ad un ente che razionalizza ogni ambito della vita umana: dalla vita giuridica, all’arte, all’economia, tutto è “funzionale” alla sopravvivenza del Sistema che investe di senso le cose che produce. La conseguenza inevitabile di un mondo che fornisce risposte istantanee di ogni natura, è la perdita di senso della domanda stessa (“ Ciò che è razionale è reale, e ciò che è reale è razionale”, Hegel); all’assenza di una richiesta di senso corrisponde inevitabilmente il controllo e il dominio della Ragione. Dal momento che è stato matematizzato, quantificato e calcolato il reale, le sue cause e i suoi scopi, i valori a cui l’uomo può appellarsi, quali il Bene, la Verità o la Libertà, rimango immagini illusorie e lontane, possedenti un’astratta validità e un anelito di poesia. Da ciò sono scaturite le assurde vicende del secolo XX come l’impiego della bomba atomica e le uccisioni di massa, o la progressiva perdita di concetto delle arti, o la fine delle rivoluzioni.

Il Sistema è una macchina che utilizza una logica dialettica per sopravvivere: sintetizza spinte alla razionalizzazione e le relative negazioni, positivizzando i poli negativi e trasformandoli in spinte necessarie. Si pensi alla necessità delle manifestazioni di cui i governi necessitano per autolegittimarsi o al terrore di una guerra nucleare per armarsi. Come la società anche la filosofia non si interroga più sulle cause prime dell’Essere dal momento che l’Assoluto non è quantificabile o spiegabile razionalmente, e dunque destinato all’oblio in quanto ricerca insensata e in grado di turbare l’attenzione dell’individuo per il fatto di non poter utilizzare i mezzi messi a disposizione dalla Ragione; le uniche filosofie possibili sono quelle scientifiche ed epistemologiche, capaci di giustificare l’inutilità di una ricerca sul trascendente.

A questo punto è importante capire il ruolo della responsabilità umana nell’era della pre-potenza della Ragione. La responsabilità umana è una questione esclusivamente di carattere morale, di natura etica. Ma come conciliare l’ ethos dell’individuo con le necessità della Ragione? Qual’è il peso della moralità in un processo “tecnico”? Assolutamente nessuno. La “necessità delle cose”,di cui parla Galimberti, esenta l’uomo da ogni colpa morale e la Ragione non giudica ciò che è giusto o sbagliato ma solo la quantità di mezzi necessari per raggiungere uno scopo. Nella libertà di non scegliere questi mezzi si colloca la responsabilità dell’essere umano ma il Sistema economico bisogno-prododuzione-bisogno impone all’uomo dei bisogni irrinunciabili, razionali. L’unica via di fuga è un ripensamento dei mezzi stessi, ad esempio un’economia pura non sottoposta allo strapotere bancario, o ad una politica diretta senza la mediazione di partiti su cui l’individuo non ha alcun controllo, o al dibattito collettivo al posto della dittatura intellettuale dei canali di comunicazione. L’abolizione delle individualità delle teste pensanti hanno portato alla tramutazione del conformismo in valore e hanno fatto dell’indipendenza un’anomalia. Essere diversi ora vuol dire non essere ragionevoli, inadeguati alla tecnica; anteporre un No ad un Si impersonale ( il “Man” di Heidegger) non è una richiesta di libertà ma un malfunzionamento che il Sistema prontamente sintetizza in una forza di coesione, l’eccezione che conferma la regola. Essere “efficaci”, “prestanti”, “funzionali” diventato caratteristiche necessari all’adattamento dell’individuo alla vita pubblica; i mass media a casa ci garantiscono un’adeguata ricompensa in divertimenti, benessere ed emozioni individuali, lusingandoci di non far parte della grande “massa” al prezzo di un “Si” che vale la nostra esistenza, che “ prescrive il modo di essere della quotidianità”4.

La sottrazione dal Si impersonale comporta la solitudine, l’alienazione, il rifiuto;nella solitudine non resta che il silenzio; nel silenzio, dice Heidegger, si può udire “la chiamata” che “ chiama nel modo spaesato del tacere” grazie alla quale il pensiero si separa dalla Ragione, e l’essere può finalmente collocarsi fuori dal Sistema in un processo di spaesamento poiché, afferma Galimberti ricalcando il filosofo tedesco, “ nell’esser-spaesato l’uomo custodisce la sua essenza e le possibilità autentiche della sua libertà”.

1Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-05), Bur, Milano 1991

2Karl Jaspers, Orientazione filosofica del mondo, Mursia, Milano 1977

3Umberto Galimberti, Il Tramonto dell’Occidente, Feltrinelli, Milano 2005

4M. Heidegger, Essere e Tempo, Utet, Torino 1978