Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Contra Islam a difesa della nostra “identità”? Ma quale?

Contra Islam a difesa della nostra “identità”? Ma quale?

di Stefano Di Ludovico - 13/01/2015

Fonte: Krisis



Tra i punti di forza che Matteo Salvini presenta come imprescindibili del nuovo corso intrapreso dalla Lega Nord continua ad esserci il “no alle moschee”, ovvero il no alla costruzione di luoghi di culto islamici nelle nostre città. Diciamo “continua” perché se in altri ambiti Salvini pare aver impresso una svolta importante ed innovativa alla politica del suo partito (vedi ad esempio, a livello interno, l’attenzione alla dimensione nazionale o, a livello internazionale, l’appoggio alla Russia di Putin), su tale punto non si registrano novità sostanziali rispetto alle tradizionali posizioni antislamiche tipiche del movimento leghista, all’interno del quale “questione immigrazione” e “questione islamica” sono state da sempre viste come due facce di una stessa medaglia. E proprio da tale identificazione che ci pare scaturiscano una serie di problemi la cui messa a fuoco crediamo possa essere utile al fine di chiarire meglio limiti e contraddizioni in cui anche la nuova Lega di Salvini continua a muoversi, e con lei i diversi partiti e movimenti europei cosiddetti “identitari” – etichettati anche come “populisti” o “di estrema destra” – con i quali la Lega è oggi sempre più strettamente alleata, limiti e contraddizioni che vanno ad investire la natura, i valori di riferimento e la visione del mondo stessa che sottendono all’insieme di tale area politica.

Come noto, il “no alle moschee” è parte di una battaglia politica complessiva volta ad ostacolare ed arginare la diffusione in Italia di pratiche, usi e costumi islamici, ritenuti incompatibili se non addirittura ostili rispetto a quelli propri del nostro paese come dell’Occidente in genere. Il “no alle moschee” va di pari passo così con il no al velo per le donne, il no ai kebab, al cibo islamico nelle mense scolastiche e via dicendo. Il problema decisivo è quindi quello del cosiddetto “pericolo islamico”, e pertanto legato a quello più generale dell’“invasione extracomunitaria” che metterebbe a rischio, al di là dei costi materiali e sociali che un’immigrazione senza regole inevitabilmente comporta, l’identità e quindi la sopravvivenza stessa della nostra civiltà. Se non fosse per questo, sarebbe arduo capire come potrebbe giustificarsi il rifiuto di riconoscere ai fedeli musulmani l’elementare diritto di pregare in luoghi idonei (li si vuol forse lasciare negli scantinati e nei garage?), diritto che non ci sembra i leghisti, come i partiti ad essa affini sopra richiamati, intendano negare ai rappresentanti di altri culti non cristiani. Non ci risulta, infatti, che questi si mobilitino ogni qual volta si paventi la costruzione di un tempio ebraico, buddhista o new age, senza considerare il fatto che anche tra i musulmani si contano ormai decine di migliaia di cittadini italiani convertiti (quindi non certo “extracomunitari”): in tal caso trovare qualche ragione che possa giustificare la negazione del diritto di culto riconosciuto invece agli italiani cristiani, ebrei o buddhisti sarebbe a maggior ragione alquanto difficile e paradossale. Quindi, più che una questione di elementari quanto scontati diritti soggettivi, il problema sembra essere quello ben più rilevante della difesa della nostra “civiltà”, dato che questa, a dire di tali forze politiche, sarebbe messa in pericolo innanzi tutto dall’Islam, non costituendo a tal proposito altre fedi pericolo alcuno, sia per il limitato numero dei loro aderenti, sia soprattutto perché questi, al di là del particolare Dio in cui credono e dello specifico culto che gli riservano, per il resto appaiono perfettamente integrati nella società occidentale riconoscendosi pienamente nei suoi costumi e nei suoi valori di fondo.

C’è da chiedersi, allora,notre_dame_de_paris_krisis quale sarebbe questa “civiltà” occidentale, quali i suoi costumi e valori, in nome dei quali la Lega e le altre forze identitarie europee conducono la loro battaglia antislamica. Che se ne sappia, l’unica “civiltà” che caratterizza oggi l’Occidente è la cosiddetta civiltà “moderna”, ovvero la civiltà laica, materialista e consumista che, nata per l’appunto in Occidente circa due secoli fa, si è progressivamente espansa, grazie al dominio di questo, al resto del mondo, mondo così quasi completamente “occidentalizzato”: come tale civiltà si è eretta qui da noi facendo tabula rasa di tutte le civiltà e culture “altre”, civiltà e culture di tipo essenzialmente “tradizionale” che avevano caratterizzato in precedenza l’Occidente stesso, allo stesso modo si va imponendo a livello globale spazzando via le locali civiltà tradizionali, alcune delle quali, non ancora totalmente sradicate, in determinate aree cercano ancora di resistere in nome della difesa della propria identità. L’Islam, sebbene anch’esso profondamente snaturato dalla modernità, è una di queste, al di là delle diverse articolazioni e correnti, spesso anche in aspra lotta tra loro, che inevitabilmente connotano ogni grande tradizione (se c’è una cosa che accomuna i sunniti dell’Isis o della Fratellanza musulmana e gli sciiti della Repubblica Islamica dell’Iran o dell’Hezbollah libanese è l’ ostilità verso i costumi e lo stile di vita occidentali). Quando la Lega e i partiti “identitari” dicono di battersi per l’“identità” occidentale contro il pericolo islamico, è quindi di questa identità che essenzialmente parlano, dato che in Occidente, da svariati decenni a questa parte, non se ne vedono altre. Parlare altresì di difesa dell’“identità cristiana”, come tali movimenti pure fanno, come se l’Occidente ancora si identificasse con tale sua ultima, in senso temporale, tradizione, appare più che altro un mero pleonasmo, visto che i cristiani d’Occidente e le loro rispettive chiese sono anch’essi da tempo completamente omologati alla cultura “moderna” che proprio contro la loro “tradizione” si è edificata. Né a tal proposito possono far testo le sparute e perciò stesso del tutto ininfluenti minoranze di “tradizionalisti” che ancora permangono all’interno delle Chiese cristiane: se i partiti identitari fossero espressione di tali istanze minoritarie, non sarebbero certo quei partiti di massa che oggi sono o quanto meno aspirano ad essere.

tradizionalisti krisisE’ l’Islam, invece, che, anche nelle nostre società, porta spesso avanti istanze e valori effettivamente incompatibili con la modernità e quindi difficilmente “integrabili”. Ed è quello che le forze identitarie gli rinfacciano, vedendo i suoi aderenti come soggetti estranei ed alieni rispetto al nostro mondo, a differenza, come detto, dei seguaci di altri culti che, proprio come i cristiani, al di là delle forme esteriori che ancora seguono nelle pratiche del culto, per il resto sono completamente omologati ai costumi e allo stile di vita materialista e consumista proprio della nostra civiltà. Così, una donna islamica che indossa i suoi abiti tradizionali come ad esempio il velo genera contestazioni e quasi un senso di ripulsa in chi trova conforme alla nostra “tradizione” gli abbigliamenti con cui si agghindano le nostre ragazze in ossequio all’ultima moda lanciata dalla griffe del momento. Allo stesso modo, l’apertura di un kebab o di una macelleria islamica andrebbe a deturpare per gli “identitari” nostrani l’arredo urbano delle nostre strade, mentre un McDonald’s o un locale fashion e di tendenza no. Gli esempi si potrebbero moltiplicare: anni fa in Svizzera partiti identitari organizzarono un referendum contro la costruzione di minareti, perché questi avrebbero comportato lo stravolgimento delle tipiche architetture delle città svizzere: non ci risulta che simili partiti, in Svizzera come altrove, si siano mai sollevati, quanto meno con lo stesso ardore, contro le eccentriche architetture moderne che deturpano abitualmente i nostri centri storici come in genere i nostri quartieri, per non parlare degli ecomostri delle nostre periferie, dove ormai ogni senso della misura, dell’armonia e quindi del “bello” si è completamente perso e non certo per colpa dei minareti o di chissà quale altro edificio esotico.

consumismo krisisIl fatto è che ormai anche i rappresentanti di movimenti e partiti che intendono, spesso in perfetta buona fede, denunciare la crisi e la decadenza della nostra civiltà e presentarsi come i difensori del “localismo” e del “pluralismo” contro l’omologazione e la globalizzazione operata dalla modernità, sono a tal punto assuefatti e compromessi con il suo stile di vita e i suoi valori che finiscono per sentire come una minaccia e un pericolo ogni realtà che si presenti come effettivamente “altra” e differente. Se scaviamo a fondo, dietro il “no alla moschee” si nasconde così proprio la diffidenza se non la vera e propria “fobia” dell’uomo moderno verso una civiltà, come quella islamica, ancora legata, come ogni civiltà degna di questo nome, a fondamenti religiosi, “sacri”, per cui la presenza di persone che affollano un luogo di culto genera fastidio alla sola vista e andrebbe a stravolgere la vita del quartiere, mentre non si avrebbe niente da ridire se quelle stesse folle andassero ad invadere, nel giorno di festa, un centro commerciale o un centro sportivo. Anni fa a Milano si gridò allo scandalo, proprio da parte della Lega e di altri partiti della destra, perché un gruppo di musulmani, durante una manifestazione, di fermò a pregare in piazza Duomo: si parlò addirittura di “profanazione” del principale luogo sacro dei milanesi. Non ci sembra che quegli stessi partiti abbiano mai gridato alla scandalo di fronte alla profanazione permanente a cui quel luogo è sottoposto ogni giorno a causa delle più svariate e bizzarre iniziative mondane e consumiste che vi si svolgono, spesso promosse e finanziate proprio da chi, come loro, la città di Milano ha a lungo amministrato. Ma cos’è che dovrebbe offendere maggiormente uno spirito religioso, gente, sebbene di altra fede, che prega o la campagna pubblicitaria per lanciare l’ultimo prodotto di consumo come ogni giorno avviene in piazza Duomo? Tornando agli esempi del velo o dei locali islamici, il problema è che in Occidente non ci si riesce a fare una ragione di persone così tenacemente legate ai dettami religiosi addirittura nel vestiario e nell’alimentazione (cosa del tutto normale in ogni civiltà tradizionale, dove ogni aspetto della vita è espressione del “sacro”), mentre l’essere determinati dalle logiche consumiste anche negli ambiti più intellettuali e spirituali come avviene in Occidente è ritenuto “normale” e quindi tollerato. Ed anche le campagne che i partiti identitari spesso intraprendono a favore di simboli e usanze propri della nostra tradizione religiosa (vedi la difesa del crocifisso o del presepe nei luoghi pubblici) quando questi vengono messi al bando da zelanti rappresentanti istituzionali in ossequio alla “laicità” dello Stato, sono fatte per lo più in nome di una tradizione intesa quale mero folklore (folklore che del consumismo è solo una variante) e da politici che l’autentico spirito tradizionale e religioso l’hanno in genere completamente perso e che certe usanze non seguono più essi stessi neppure a livello di sola aderenza formale.

Volendo negare ai musulmani la possibilità di seguire i propri costumi e valori, ai quali dovrebbero rinunciare per accettare i nostri, i partiti identitari si pongono così, nella sostanza e al di là delle apparenti differenze, sullo stesso piano dei partiti di sinistra, che, in nome dell’“integrazione” e della “società multietnica” che vanno sbandierando come istanze alternative a quelle del “rifiuto” e dell’“intolleranza” che rinfacciano alle destre, perseguono in realtà lo stesso fine dell’“assimilazione”, dei musulmani come di ogni altra diversità, all’unico modello di civiltà ritenuto legittimo, quello occidentale moderno. E’ l’equivoca commistione tra “questione immigrazione” e “questione islamica” che porta erroneamente i partiti identitari ad accusare la sinistra di “filoislamismo”, quale conseguenza del suo “immigrazionismo”, quando in realtà la sinistra tutto può essere tranne che “filoislamica”, visto che i valori e i costumi propri della tradizione islamica, come di qualsivoglia “tradizione”, sono incompatibili con i valori e i costumi della modernità di cui proprio la sinistra è la rappresentante per eccellenza. O i leghisti pensano che le donne progressiste italiane auspichino l’adozione nel nostro paese della sharia per quanto riguarda, ad esempio, i rapporti uomo-donna? In realtà esse vogliono quello che sostanzialmente vogliono anche loro: che i musulmani rinuncino a tali “barbare” ed “arretrate” tradizioni e si convertano alle magnifiche sorti e progressive della modernità, con buona pace del tanto sbandierato multiculturalismo che per la sinistra ad altro non si riduce, anche da questo loro punto di vista, che alla salvaguardia dell’aspetto “folkloristico” delle tradizioni altrui all’interno del solo modello di civiltà tollerato e riconosciuto.

islamici krisisLa Lega e i partiti identitari europei si trovano così davanti ad un bivio: o definiscono con chiarezza quale sarebbe l’“identità”, ovvero il modello di civiltà al quale aderiscono e che vogliono salvaguardare contro il presunto “pericolo islamico”, o rischiano di fungere anche loro, in ultima istanza, da semplici “cani da guardia” del sistema, alternativi solo in apparenza, nei dettagli dei metodi e delle strategie politiche, alle forze di centro o di sinistra che tale sistema governano e nel quale si riconoscono pienamente. Del resto alcuni di questi partiti – soprattutto quelli di area protestante o nordica – non fanno mistero di erigersi a paladini più intransigenti e rigidi proprio del modello di sviluppo occidentale, contro un Islam ad esso non assimilabile: l’LPF olandese ad esempio, dello scomparso Pim Fortuyn, ha sempre rifiutato nettamente l’etichetta di partito “reazionario”, di “estrema destra”, dichiarando a più riprese di voler difendere contro il tradizionalismo islamico i valori laici e secolarizzati propri dell’Occidente moderno, quali l’uguaglianza tra uomo e donna e i diritti gay (Fortuyn era del resto omosessuale dichiarato), e su posizioni simili si attestano i partiti “populisti” di paesi quali la Danimarca, la Svezia o la Norvegia che vedono proprio nel modello di sviluppo “scandinavo” la punta di lancia della modernità a loro dire messa in discussione dalla sempre più massiccia presenza di immigrati islamici. In pratica l’ideologia a cui tali partiti si rifanno è quella che, con un termine oggi in voga, viene definita il “fallacismo”, essendo la violenta polemica antislamica della nota giornalista italiana dovuta proprio alla sua piena condivisione dei valori occidentali moderni che l’Islam si ostina a non riconoscere; “fallacismo” che, come risaputo, continua a far capolino anche nella Lega salviniana. Il persistere di simili orizzonti ideologici trova del resto conferma anche in alcune posizioni di politica estera che tali partiti esprimono e che vanno a stridere con le pur interessanti novità – come la vicinanza alla Russia di Putin in funzione antiatlatista ed antieuropeista – prima richiamate: vedi ad esempio il filosionismo, lo stato d’Israele essendo visto come il “baluardo dell’Occidente” in un Medioriente mare islamico, o l’appoggio ai regimi e movimenti arabi cosiddetti “laici” o “moderati”, finendo con il far proprie categorie interpretative occidentaliste del tutto fantasiose e pretestuose tese solo a ribadire che l’unico Islam che l’Occidente tollera è un Islam fatto a sua immagine e somiglianza, un Islam che non è più tale e che accetta di essere “assimilato” in tutto e per tutto agli stili di vita occidentali (sia detto per inciso, il filosionismo appare davvero paradossale in forze così dichiaratamente antimmigrazioniste, visto che proprio Israele è uno stato fondato sull’immigrazione “clandestina” e l’espulsione e ghettizzazione dei nativi).

pim fortuyn krisisSe invece di un diverso modello di società, di un diverso modello di civiltà la Lega e i partiti della destra identitaria si vogliono far portavoce contro la decadenza e l’anonimia del moderno mondo globalizzato che pur dicono di avversare, allora le loro invettive e i loro strali dovrebbero essere indirizzati altrove, verso un “nemico” che non è, come l’Islam, esterno ed esotico, bensì interno ed endogeno, in quanto ciò che ha distrutto ed ostacola il rifiorire di una civiltà “altra” e che davvero possa considerarsi tale è da rinvenire nella storia e nelle scelte effettuate dallo stesso Occidente nel corso della sua storia recente e oggi trova i propri baluardi nelle istituzioni e nei centri di potere dei nostri stessi paesi. Così, anziché sbraitare contro la presunta quanto fantomatica “invasione islamica”, è contro l’invasione “americana”, sia essa quella delle sue basi militari come soprattutto dei suoi costumi di vita — l’american way of life — che chiunque si presenti come difensore dell’identità e della civiltà europee dovrebbe sbraitare; anziché protestare contro la costruzione di moschee o l’uso del velo islamico, è contro la costruzione degli ipermercati, delle sedi delle multinazionali, di tutti i centri e i simboli dell’industria del consumo che ci si dovrebbe rivoltare perché sono questi che stravolgono, umiliano ed infangano quotidianamente e scientemente le nostre città e le nostre stesse vite. La storia insegna che nessuna grande civiltà, finché si è mantenuta salda e forte nelle sue tradizioni, è stata cancellata dal contatto e l’urto con una civiltà straniera, il decadimento e la crisi essendo sempre stati dovuti a fattori innanzi tutto interni. Allo stesso modo sarebbe del tutto illusorio pensare di salvaguardare le nostre tradizioni costringendo gli altri ad abbandonare le proprie; anzi, l’ostinazione con la quale i musulmani continuano a tener fede ai loro costumi di fronte ad un mondo che va da tutt’altra parte dovrebbe essere per noi fonte di ammirazione ed esempio. Sempre che si sappia uscire dall’equivoco di scambiare la nostra tradizione per ciò che invece l’ha distrutta e si capisca una volta per tutte qual è oggi la vera battaglia, la vera posta in gioco per tutti quelli che hanno davvero a cuore le sorti di ogni identità e di ogni civiltà: come scriveva Guénon, «da diverse parti si parla molto, oggi, di “difesa dell’Occidente”; ma sfortunatamente si sembra non capire che è soprattutto contro se stesso che l’Occidente ha bisogno di essere difeso».