Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le bestie dell’Apocalisse: neocapitalismo e islam

Le bestie dell’Apocalisse: neocapitalismo e islam

di Eugenio Orso - 13/01/2015

Fonte: Pauperclass


Allegoricamente e metaforicamente possiamo richiamare le due bestie dell’Apocalisse di Giovanni, evangelista e apostolo. Per prima si manifesta la bestia uscita dal mare, in solido con il drago, dotata di sette teste blasfeme, dieci corni e caratteristiche di varie specie animali (leone, orso, pantera). Dopo di lei appare sulla scena la bestia salita dalla terra, complice della prima, simboleggiante il falso profeta, il menzognero e l’anticristo, con due corni d’agnello e voce di drago. Non ho trovato metafora migliore di questa per il discorso che mi accingo a fare.

Oggi l’Europa deve affrontare contemporaneamente due mostri, nel senso che ha davanti due nemici mortali, ambedue potenti e apparentemente invincibili, con poche speranze di risollevarsi dal torpore nichilista in cui è scivolata e di sconfiggerli. Il drago originario è l’affermazione del valore di scambio, resa possibile dalla potenza dell’astrazione monetaria (scomodando Marx) che si manifestò fin dalla comparsa del primo capitalismo produttivo. Il primo mostro, diretta filiazione del drago simboleggiato dall’affermazione del valore di scambio, è il nuovo capitalismo su base squisitamente finanziaria, evoluzione e trasfigurazione del capitale indagato da Marx, che corrisponde alla bestia venuta dal mare nell’Apocalisse di Giovanni. Questo mostro dalle molte teste (le nuove “sette sorelle”?) ci tiene in pugno. Impedisce al vecchio continente, compresso nell’eurolager a moneta unica e politiche economiche depressive, di risollevarsi, riacquisire la necessaria libertà e riprendere il suo cammino verso il futuro. E’ un mostro uscito dal mare, nel nostro caso dall’oceano Atlantico, le cui sponde, americana ed europea dominate dalle aristocrazie finanziarie occidentali, sono fuse in alleanze militari come la Nato (non a caso nord atlantica) e presto unificate dal trattato transatlantico per il commercio.

Il secondo mostro, che corrisponde alla bestia salita dalla terra, è l’islam, quello più ortodosso e militante, che impone il ritorno alla purezza delle origini. In effetti, l’islam è una “religione legale” fin dalla sua formulazione originaria, tesa a regolare qualsiasi aspetto della vita umana. Come tale, non prevede – e addirittura inibisce brutalmente – la separazione fra vita religiosa e organizzazione della convivenza civile e politica. In questa unificazione imposta dai dogmi, ogni abuso diventa possibile e ogni diritto può essere cancellato. L’islam è la sola legge applicata, com’è sempre stato fin dalla sua comparsa, se necessario imposta sgozzando e tagliando teste, uccidendo con furia omicida chi si oppone, o coloro che non ne accettano fino in fondo i rigori. Fin dai primi anni del settimo secolo l’islam ha rappresentato violenza punitiva nei confronti dei cosiddetti miscredenti, dei seguaci di altre religioni, degli atei, degli idolatri, dei politeisti, degli gnostici, degli apostati, dei peccatori, degli scettici, degli animisti, eccetera. Ben pochi possono salvarsi dai suoi rigori. Ciò che regola i massacri di infedeli e miscredenti è l’arbitrarietà, perché basta poco per accusare qualcuno di essere blasfemo. A volte è sufficiente un tatuaggio visibile sul corpo – infatti, l’islamic state uccide a vista persino i tatuati – o fare semplici giochi di prestigio per divertire i bambini, come è accaduto recentemente nel nord della Siria. L’integralismo più sanguinario è implicito nell’islam puro e ortodosso, che nel corso di una storia ormai millenaria, dagli albori del settimo secolo a oggi, per consolidarsi ed espandersi ha causato centinaia di milioni di morti, in molta parte vittime innocenti.

L’attuale stato islamico, imposto fra la Siria e l’Iraq, è quello che tende più di tutte le altre organizzazioni musulmane alla purezza originaria. Il più “conforme” ai lineamenti che nella storia ha assunto il mostro. Qui, in Italia, si sente e si legge di tutto a riguardo. Un vecchio giornalista come Massimo Fini, forse per suscitare scalpore e far parlare di se a fine vita, ha scritto provocatoriamente “scelgo quelli dell’Isis” e in altro articolo ci ha spiegato che loro, cioè gli islamici militanti, i veri credenti, vogliono semplicemente vivere come vivevano i loro antenati, secondo le tradizioni.

Ebbene, Fini ha colto nel segno scrivendo che loro vogliono vivere come vissero gli antenati (o supposti tali), anche se avrebbe voluto significare ben altro, cioè la riscossa nei confronti dell’occidente, l’appropriazione dell’identità, il ristabilimento dei propri valori minacciati, quali esiti positivi ed emancipanti di una lotta di liberazione. Massimo Fini sembra non vedere i veri lineamenti del mostro, e si culla, come fanno altri, in sogni piuttosto ingenui di “superamento” dell’attuale capitalismo resuscitando con scopi benefici una tradizione qualsivoglia, animata da un’etica religiosa o comunitaria purchessia. Rifiuto l’indifferentismo e mi guardo bene dall’affermare che ogni etica religiosa e/o comunitaria può essere messa sullo stesso piano delle altre, considerandola altrettanto legittima e accettabile. L’etica di una tribù di cannibali, ad esempio, prevede che si mangino i nemici sconfitti, quella dei tagliatori di teste prevede che gli si taglino le teste, lasciandole seccare e rimpicciolire come trofei. Non sono cose buone, da accettare universalmente. Mi spiegherò meglio di seguito, entrando nello specifico dell’islam.

I tagliagole dello stato islamico siro-irakeno, montati su Humvee e Toyota, fanno esattamente quello che fecero i ben guidati muhajirun, cioè i compagni meccani del profeta Maometto, e gli ansar medinesi convertiti, dopo la vittoria nella decisiva battaglia del fossato nei pressi di Medina (627 d.C., sesto anno dopo l’Egira). Oltre agli sconfitti in maggioranza politeisti vi erano pure degli ebrei, i Bani Qurayza, che furono decapitati a centinaia con riduzione in schiavitù di donne e bambini. Un piccolo genocidio, il primo di una lunga serie – naturalmente con il permesso di allah – accompagnato dall’immancabile tratta degli schiavi. I pochi cristiani presenti nell’Higiaz (parte della penisola arabica con Mecca e Medina) furono sottoposti alla tassa, oppure dovettero convertirsi, pena la morte. Idolatri e politeisti furono posti davanti alla scelta morire o convertirsi. Niente tassa per loro. Da lì cominciò, il mostro crebbe e la sua avanzata non si arrestò per i successivi due secoli. La conquista – dalla penisola arabica alla Persia, dalle coste atlantiche dell’Africa settentrionale alla penisola Iberica (al-Andalus) – avvenne con la spada, cioè con abbondante spargimento di sangue, massacri, sottomissione violenta, razzie, schiavitù. Il cosiddetto jihad con la spada è stato assolutamente prevalente su tutto il resto e l’abbandonarsi a dio, la sottomissione, per il musulmano non ha mai significato pace. Considerando com’è nato e come si affermato, qualcuno mi provi che l’islam è “una religione d’amore”, come sostengono i furbi imam in Europa occidentale, dove gli immigrati musulmani sono ancora minoranza. La stessa vicenda del profeta, dalla Mecca a Medina alla battaglia del fossato, è stata un’epopea avventurosa costellata di guerre e razzie, tipica di un predone o di un guerrigliero, più che di un prescelto per trasmettere il messaggio di dio (al-Kitāb, Qur’ān, il Corano). Neppure vi fu nella umma delle origini piena uguaglianza e uguale considerazione fra i credenti – una sorta di comunismo islamico – per la disparità “di rango” fra gli ansar convertiti a Medina e i compagni meccani primi seguaci del profeta, in certi casi parenti di Maometto.

Emulando i primi compagni del profeta e le generazioni musulmane immediatamente successive, quelli dello stato islamico decapitano adulti e talora i bambini in tenera età, per definizione incolpevoli, riducono in schiavitù donne e soggetti deboli, costringono alla fuga e razziano, questa volta non le carovane nel deserto dei meccani politeisti, ma banche, case, pozzi di petrolio, depositi di armi. Per terrorizzare i deboli europei, hanno postato in rete videomessaggi in cui affermano che arriveranno fin nel vecchio continente, ci uccideranno tutti e renderanno schiave le donne, in perfetta linea con gli ascendenti (o supposti tali). Non si tratta di rodomontate, ma di minacce da prendere drammaticamente sul serio. Sono loro, dunque, quelli che più di tutti gli altri – jabhat al-nusra, fratelli musulmani, salafiti e simili – approssimano la purezza originaria dell’islam e vivono come gli antenati.

Sempre disposti al sacrificio supremo, in nome di un dio che non si mostra, i martiri di allah compiono regolarmente azioni suicide, come quelle di questi giorni a Parigi, conclusesi con la morte dei killer islamici-sunniti e di una ventina di innocenti. L’islam moderato non esiste, non è mai esistito. Si tratta di un’invenzione occidentale di questi anni, amplificata ad arte dai media, frutto d’ipocrisia e opportunismo, retaggio di una società aperta, femminilizzata e infantilizzata, che serve soltanto al grande capitale. Così come nella spaventosa guerra di sterminio in Siria non c’è un esercito libero, laico, “democratico”, ma solo fazioni islamiste spietate che si mangiano a vicenda, contrapposte ai curdi e all’esercito siriano, impegnati a resistere per proteggere le minoranze.

Tornando alla metafora apocalittica, la seconda bestia è ricomparsa in Medio Oriente, in Egitto e nell’Africa del nord con la sconfitta delle forze panarabe, socialiste, marxiste, nasseriane, baathiste e il conseguente riaffacciarsi di un’alternativa – questa volta non alla vecchia Europa cristiana, ma all’occidente a guida americana neocapitalista e “politeista” – che si rivela addirittura peggiore del male. Gli anni ottanta e novanta hanno segnato l’inizio della riscossa musulmana. Fuori dal mondo arabo, l’occupazione sovietica dell’Afghanistan, iniziata nel dicembre del 1979, ha rappresentato un discrimine, suscitando l’integralismo islamico armato e finanziato dagli usa in funzione anticomunista, mentre in Pakistan il generale golpista Zia ul-Haq, al potere dal 1977, per reggersi rivitalizzò il deobandismo e favorì una nuova islamizzazione nel grande paese asiatico. Nelle Filippine meridionali i moros di religione islamica per anni hanno ucciso e messo in pericolo le popolazioni locali. In Cina, gli Uiguri musulmani si sono rivoltati contro lo stato e i cinesi Han. Nel corno d’Africa la Somalia è da troppi anni in preda al caos, devastata dai gruppi islamici, mentre nel nord della Nigeria boko haram stabilisce il suo emirato con il sangue, sterminando cristiani e animisti. I petrodollari cumulati per decenni dalle monarchie del Golfo, a cominciare da quella saudita, hanno finanziato la “ripresa” islamica in senso ortodosso e wahabita e, soprattutto, hanno armato la mano dei praticanti il “piccolo jihad”, l’unico e il solo veramente in uso nei secoli. La guerra come surrogato della spiritualità.

Oggi questa bestia, notevolmente rinvigorita, sembra minacciare direttamente l’Europa, e in particolare i paesi occidentali del vecchio continente, in cui vivono più di venti milioni di islamici immigrati. Quale relazione c’è fra il mostro islamista e quello neocapitalista?  Fra i due vi dovrebbe essere un’opposizione totale, tale da porli in rotta di collisione. Uno è dominato dal fanatismo religioso, che modernamente assume tratti ideologici, l’altro dagli interessi mondani del capitale finanziario e da nuove forme di accumulazione. Sotto la superficie, invece, vi è una sorta di complementarietà e di complicità. Un legame che unisce le due bestie, in ciò simili a quelle dell’Apocalisse di Giovanni, in cui la seconda è allineata con la prima, facendone il gioco. E’ a questo legame, drammaticamente importante, che ho voluto arrivare e in ciò, credetemi, non vi è nulla di esoterico, di oltremondano.

L’aspetto ideologico della bestia sorta dalla terra si salda con la guerra come unica spiritualità, remoto riflesso dell’islam originario guidato dal profeta, guerriero e predone, e perciò imposto con la spada. Ciò rende attrattiva la seconda bestia e la mette in relazione con la prima, quella che ho identificato nel neocapitalismo finanziario. Non sono l’unico a pensarla così, perché scopro a sorpresa un articolo dell’erudito don Curzio Nitoglia sull’omonimo blog – Conoscenza elementare dell’islam contemporaneo e del mondo arabo – in cui il suddetto afferma quanto segue: “Per sintetizzare e semplificare, senza distorcere, si può dire che l’islamismo fondamentalista o integralista rende la religione islamica un’ideologia rivoluzionaria (“thawra”) antinazionalista, paradossalmente mondialista e “antiaraba”, che contesta lo Stato arabo/islamico per instaurare la sharia o legge coranica universale e globale. È per questo che il mondialismo o la globalizzazione del Nuovo Ordine Mondiale giudaico-americanista va d’accordo con il wahabismo e lo finanzia dall’alto, senza che la bassa manovalanza dei ribelli armati lo sappia, nella lotta attuale contro la Siria, come nel 1981 arrivò all’assassinio di al-Sadat in Egitto, nel 2005 a quello di Saddam in Iraq e nel 2011 a quello di Gheddafi in Libia. L’islam attuale e religiosamente radicale non si fonda più sui teologi (“ulama”, in farsi “ayathollàh”), i quali hanno avuto in Egitto eccellenti università e scuole di pensiero filosofico/teologico, ma sull’ideologo militante e contestatore, il quale è l’inquisitore dello Stato/Nazione /Patria arabo-musulmana non ritenuto più elemento di coesione, ma idolo che va abbattuto in nome della sharia e del puro islam, che si fonda solo su Allah e il Corano. Ecco perché lo Stato siriano è combattuto dalla contestazione religiosa radicale islamica, che non implica tanto un discorso di fede, ortodossia o teologia quanto un’orto-prassi ideologico-rivoluzionaria simile a quella farisaico/talmudica, la quale ha come maestri principali due ideologi: il pakistano al-Mawdudì (1903-1979) e l’egiziano Qutb (1906-1966).”

Nella relazione fra le due bestie, sotto la superficie non c’è soltanto la comune tensione verso un mondialismo assolutista e totalizzante, imposto con la forza, sia essa simboleggiata dalla spada e/o rappresentata dal potere economico-finanziario, ma il fatto che la prima bestia neocapitalista sta alimentando la seconda bestia islamica per usarla come arma. L’aristocrazia globalista occidentale comprende anche la componente islamo-saudita (in generale, le monarchie del Golfo), oltre che quella americana, europea ed ebrea. Tutti costoro hanno in qualche modo favorito, direttamente o indirettamente, la “rinascita islamica” (nahḍa) nei termini in cui la possiamo osservare oggi.

Ci sono chiare prove che il neocapitalismo finanziario ha permesso lo sviluppo della minaccia islamista e rafforzato il secondo mostro, utile per la sua persistenza e riproduzione. I finanziamenti dei globalisti islamo-sauditi tollerati da quelli americani, le armi distribuite da americani e soci in Siria ai gruppi islamisti sunniti, da al-Nusra allo stato islamico pro-quota, con la scusa del sostegno all’inesistente ”esercito libero siriano”, l’interesse americano a mantenere nell’area siro-irakena una permanente instabilità anti-Assad, anti-russa e anti-iraniana, l’interesse israelo-giudaico a indebolire gli stati arabi vicini, frammentandoli in piccole entità territoriali, i bombardamenti “selettivi” e poco efficaci della cosiddetta coalizione internazionale in Siria e Iraq,  ci mostrano la patente complicità fra i due mostri, testimoniano la benevolenza delle aristocrazie finanziarie occidentali verso la rinata e apocalittica bestia islamico-sunnita.

C’è di peggio, perché la minaccia islamica, che oggi dispone di “stati terroristi”, abbondanza di armi e commercio in nero del petrolio, può essere rivolta direttamente contro l’Europa – attraverso l’azione violenta delle minoranze musulmane immigrate e dei combattenti di ritorno dal jihad in Siria e Iraq – per mantenere in stato di soggezione il vecchio continente. Le popolazioni europee terrorizzate, colpite a casa loro da una cieca violenza, per paura e necessità di sopravvivenza si metteranno totalmente sotto la protezione dell’alleanza atlantica militare e accetteranno, non la sottomissione forzata all’islam, ma “come male minore” le politiche neoliberiste strangolanti e la dittatura della finanza occidentale.

Questo è il Grande Gioco in atto, fuor di metafora apocalittica, e L’Europa soggiogata ne sarà vittima illustre, non certo il protagonista.