Gira nei commenti politici del nostro paese una grossa vulgata. Quella di Renzi, che sarebbe una figura di facciata manovrata da Berlusconi con lo scopo di rovinare la sinistra da dentro e governare di nuovo l’Italia con l’aiuto dell’amico Matteo e magari farsi eleggere Presidente della Repubblica. Sembra un disegno cospiratore degno delle peggiori teorie del complotto, eppure è una tesi che pare affascinare molto una larga fetta di giornalisti che si occupano di politica. Capostipite di questa tesi è l’immancabile Travaglio, uno che ha fatto la sua fortuna di giornalista cavalcando l’inconsistente antiberlusconismo mitologico della sinistra italiana e per merito delle veline degli amici magistrati. È anche grazie a lui, infiltrato della destra liberale montanelliana che la sinistra italiana è ormai completamente incapace di compiere qualsiasi tipo di analisi politica che non sia di ordine moralistico-giudiziario. Da Karl Marx come riferimento, in pochi anni siamo passati direttamente a Giovanni Calvino.
La verità è un’altra. Il nostro giovane premier nasce da una famiglia benestante di Rignano sull’Arno. Il padre Tiziano Renzi era un dirigente locale della DC, lo zio da parte materna, Nicola Bovoli una mente brillante del mondo dell’editoria e della pubblicità. Bovoli lavorò nella città di Milano per la Rizzoli fino alla Mondadori, arrivando tra fine ’80 e inizio anni ’90 ad essere ingaggiato come manager nel gruppo televisivo di Silvio Berlusconi. Fu proprio lo zio che permise a Renzi di partecipare durante gli anni universitari alla “Ruota della Fortuna”, il celebre programma di Mike Bongiorno. (1)
Tuttavia pare difficile che siano proprio i contatti indiretti con Berlusconi in questo periodo ad aver portato Renzi oggi ad essere presidente del consiglio. Né ci si può meravigliare se dietro fazioni politiche, formalmente avversarie, vi si nascondono larghe intese di sapore lobbistico o il semplice intrigo tra convergenza di interessi e rapporti personali reciproci. Nonostante la diaspora dei democristiani e in generale del cristianesimo politico avuta origine dal ’94 ha visto i rappresentanti di questo schieramento sparpagliarsi un po’ in tutti i partiti della II repubblica, abbiamo visto in occasione della fiducia al governo Letta, che ha stabilito a destra la definitiva scissione tra centristi e filoberlusconiani, come tra i componenti della maggioranza di larghe intese vi fossero diversi interessi ed intrecci di tipo economico. Un esempio su tutti: la fondazione VeDrò, della quale fanno parte Letta, Alfano ed altri esponenti NCD, centristi, PD, si è sostenuta anche con i finanziamenti da parte dei concessionari delle slot machine. Non a caso il governo Letta si prodigò molto per agevolare la vita di questi concessionari, penalizzando quei comuni che erano più attivi nel recupero delle imposte derivanti dal gioco d’azzardo. Inoltre questa fondazione riceve finanziamenti da colossi come Sky, Nestlè, Austostrade, Edison (e non solo), per una cifra di circa un milione di euro (pensateci quando guardate i telegiornali di sky). Le Larghe Intese Affaristiche.
Spesso viene fatto del leader toscano un profilo caricaturale. Viene detto che è chiacchierone, viene associato sarcasticamente al personaggio comico di Mr. Bean, si ironizza sul suo inglese (come se altri suoi colleghi politici sapessero parlarlo bene). Purtroppo l’Italia ha prodotto un giornalismo, che non è in grado di svelare i processi storici in atto ed i meccanismi della politica senza scendere nel gossip e nel moralismo tipico di non riesce ad andare oltre la propria appartenenza di fazione. Al contrario sarebbe importante per il paese, capire chi è questo giovane che sbucando quasi dal nulla è giunto correndo a cento all’ora, in pochi anni a sedere sullo scranno di Palazzo Chigi, il più giovane presidente del consiglio dalla nascita della Repubblica. Capire non solo chi lo sostiene e quali intrigati legami ha intessuto negli anni, che è certamente importante, ma anche i motivi che spingono le sue azioni politiche. Finora è stato fatto poco, tra le abbondanti agiografie di chi sale sul carro del vincitore e le denigrazioni sin troppo pregiudiziali.
Renzi e la Sinistra
Ciò che di solito viene imputato a Renzi come una colpa, dalla inconcludente antipolitica, è in realtà uno dei suoi meriti. Con il patto del Nazareno, Renzi ha spazzato via vent’anni di assurda contrapposizione tra berlusconiani ed antiberlusconiani. Rendendo palese quanto quei toni da guerra civile tipici di questa II Repubblica post-tangentopoli fossero dettati più da risentimenti personali e da speculazione politica, piuttosto che da una reale lotta tra visioni politiche opposte.
La storia dei postcomunisti che ha condotto alla fondazione del PD è una storia di vittorie mancate e di leader poco carismatici. Per erodere il ruolo egemonico e di governo ritagliatosi dal PSI di Craxi negli anni ’80, la sinistra è stata complice nel ’92 di un golpe giudiziario che ha messo fine ai partiti della I Repubblica. Ma quando dopo anni di opposizione perpetua avrebbero dovuto trovarsi la strada spianata verso il potere, si sono ritrovati Silvio Berlusconi di mezzo. L’ultimo lascito politico del tanto odiato Bettino.
Renzi, viene individuato come uomo tendente a posizioni di centrodestra, traditore dei valori della sinistra che il PD rappresenterebbe. Niente di più falso. Renzi è in realtà in linea con quanto espresso dai democratici da vent’anni a questa parte. Liberalizzazione delle aziende pubbliche come sip/telecom ed FS, precarizzazione del lavoro con il pacchetto Treu ed i co.co.co., le riforme sciagurate della scuola e dell’Università, sono tutte opera del centro-sinistra. Mostratasi in questo molto meno statalista dei berlusconiani e della destra post-missina.
Le polemiche interne tra vecchia guardia e rottamatori renziani vanno viste sotto un altro punto di vista. I successori del PCI, il cui partito, dopo la svolta della Bolognina, ha predominato nella formazione di centro-sinistra, non hanno mai ottemperato al compito di formare un vero e proprio partito socialdemocratico. In questo senso hanno pagato il passato storico, facilmente evocabile come spauracchio dal nemico politico di turno. Come hanno pagato l’incapacità di smarcarsi in modo credibile dal ruolo egemonico svolto nei confronti delle classi operaie. Dando sempre l’impressione di essere combattuti tra una svolta definitiva verso i poteri forti del capitalismo finanziario ed i vecchi riferimenti del passato comunista.
Già durante gli anni ’80 la crisi ideologica del partito comunista aveva appiattito quest’ultimo nella cosiddetta “questione morale”. Che gli aprì le porte del consenso delle elités intellettuali del giornalismo italiano e di una larga fetta di Magistratura responsabile dello sfascio della Repubblica nel periodo 92-94. La crisi e la conseguente caduta dell’Unione Sovietica, con la quale già da tempo il PCI non aveva buoni rapporti, avrebbe dovuto dare vita finalmente ad un partito del Lavoro, che fuori dai dogmatismi ideologici, fosse in grado di candidarsi alla guida del Paese.
Ma, malgrado l’occasione storica che i cambiamenti della politica internazionale hanno regalato agli eredi del partito di Gramsci, Togliatti e Bordiga, la Sinistra che esce fuori dagli stravolgimenti che hanno messo fine all’assetto politico della Prima Repubblica è una Sinistra, che subisce gli effetti collaterali della guerra con i socialisti di Craxi, eliminati dagli avvisi di garanzia della magistratura amica e della campagna antipolitica dei giornali. È una Sinistra che forte dell’inciucio che per anni ha portato avanti con la sinistra democristiana non ha mai saputo darsi una nuova identità, una teoria politica al passo dei tempi. Per anni, anche nella scelta del nome del partito, si è fatto riferimento ad una fumosa identità di sinistra (2) priva di una forte connotazione politica e sociale, che ha prodotto solo tanta confusione nell’elettorato e molte sconfitte.
La classe dirigente che ha costituito lo zoccolo duro del centro-sinistra non è mai stata capace di unire un popolo, mettendoci il carisma necessario per il ruolo, né attraverso una personalità forte, né attraverso un’idea fondante. Logorata dalla ricerca del potere a tutti i costi dopo decenni di opposizione, fra scalate bancarie e la ricerca del consenso della Grande Borghesia Industriale (3), la sinistra da seconda repubblica è stata vittima anche della sua stessa propaganda politica. Se infatti il leit motiv della Repubblica nata nel dopo-guerra era la conventio ad excludendum ai danni di comunisti e fascisti (con rare eccezioni), la politica degli ultimi vent’anni si è arenata nella divisione tra berluscisti e antiberluscisti. Impedendo, così, al paese la redazione di quelle riforme dell’assetto costituzionale, che già da tempo si rendono necessarie per snellire le istituzioni politiche rallentate da troppi pesi e contrappesi, che sono parte anch’essi dei problemi irrisolvibili dell’Italia Repubblicana.
Il successo di Renzi
L’ascesa di Renzi va analizzata tenendo ben presente queste premesse storiche. Tuttavia a parte certe biografie di regime, appare difficile trarre in modo tangibile la rete di interessi e dei mandanti politici di un uomo che a soli 39 anni diventa Segretario del più importante partito sulla scena italiana in questo momento storico e Presidente del Consiglio senza appartenere all’apparato della classe dirigente del partito stesso. Per scovare Renzi bisogna andare alle radici del suo consenso. Al modo in cui ha costruito il suo consenso.
L’attuale premier sfruttando i suoi contatti nel mondo dell’editoria e della comunicazione (grosso modo l’attività di famiglia) ha costruito, partendo da un paese di provincia, una rete di conoscenze che si è trasformata con il tempo in vero e proprio appoggio politico e finanziario da parte di strati sociali importanti nel contesto italiano. Le colonne portanti del renzismo sono concretamente due. La prima è quella del suo amico Marco Carrai, membro della nobiltà fiorentina e addentro alla galassia delle associazioni cattoliche. È quello che agisce da dietro le quinte, il collante tra Renzi, Grande Borghesia e le associazioni. L’altra colonna portante è Davide Serra broker finanziario e analista bancario, che ha aperto al nostro Tony Blair di Rignano le porte delle banche e degli istituti finanziari (4), è lui che organizza le cene con gli ospiti milionari di Renzi, quelle dei mille euro per intenderci. (5)
Sul piano politico Renzi si fa portatore anche lui di un nuovo tipo di populismo, diverso da quello della destra e che affonda le radici (o sarebbe meglio dire che prende ispirazione) nella vecchia sinistra democristiana spirituale e neokeynesiana di Dossetti. I riferimenti del fiorentino spaziano da Don Milani, del quale non lesina citazioni, a Giorgio La Pira, sulla figura del quale ha scritto la sua tesi di laurea. Attraverso questo populismo renziano, il premier ha potuto per anni cavalcare l’onda dell’antipolitica e dell’anticasta al pari di movimenti come quello di Grillo. L’introduzione anche in Italia di una concezione di partito simile a quella del comitato elettorale ha dato a Renzi la possibilità di poter muoversi con la maggiore libertà possibile a discapito dell’oggettivo muro che parte del PD ha da sempre alzato contro di lui.
Qui siamo, difatti, al di là di quali siano i plausibili sostenitori di Renzi, di fronte ad un animale politico di prim’ordine. Diversamente da Berlusconi, che è l’uomo delle promesse a fondo perduto e senza una precisa strategia se non la forza del suo impero mediatico, l’Intoccabile come lo ha ribattezzato Davide Vecchi, pur avendo un preciso target di riferimento ed un preciso scopo, è in grado di portare avanti e farsi interprete di interessi e ceti sociali diversi con grande abilità. E a differenza di chi da anni guida il centro-sinistra, dimostra, oltretutto, di possedere una capacità di leadership solida ed un piano di gioco ben congegnato, che gli consente attualmente di sbancare nell’agone politico qualsiasi avversario.
Note:
(1) Davide Vecchi, L’Intoccabile.
(2) Simona Colarizi, Storia politica della Repubblica.
(4) Il Giornale
Mirco Coppola