Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Una congiura per impedire lo sviluppo di un Iran amico e pacifico

Una congiura per impedire lo sviluppo di un Iran amico e pacifico

di Franco Cardini - 10/03/2015

Fonte: Franco Cardini


Non sono né orientalista, né islamologo: tuttavia le mie men che modeste competenze in materia di rapporti fra Cristianità medievale e mondo musulmano mi hanno trascinato ormai da un certo numero di anni a dovermi occupare di analogo tema anche per periodi successivi. Seguo pertanto le vicende dello Stato Islamico (IS o ISIS) del califfo al-Baghdadi fino dal suo nascere. Non posso vantarmi di averci capito granché. Tuttavia sto raccogliendo gli articoli e i piccoli saggi che sull’argomento mi è capitato fin qui di scrivere e che saranno pubblicati a giorni per i tipi dell’editore Laterza in un libretto nel quale li ho conservati tali e quali come sono stati scritti, con la data precisa, in modo da consentire al lettore di rilevare anche gli errori, i pentimenti, i mutamenti di prospettiva, la genesi dei differenti problemi. Si tratta di una pubblicazione che nelle intenzioni è molto di meno di un contributo specialistico ma qualcosa di più di un instant book. Il titolo che ho scelto, e che spero l’editore mantenga, sarà senza dubbio frainteso e giudicato provocatorio: L’ipocrisia dell’Occidente. Dal canto mio, non intendevo né intendo provocare proprio nessuno: bensì semplicemente sottolineare quanto sia piena di doppiezza e di malafede la “nostra” politica, dal momento che siamo stati “noi occidentali” a incoraggiare e sostenere i movimenti radicali e fondamentalisti musulmani tutte le volte che abbiamo creduto di potercene servire ai nostri scopi: come in Afghanistan negli Anni Ottanta durante la lotta contro gli occupanti sovietici e il regime collaborazionista di Babrak Karmal, o nel 2011 in Libia e in Siria nell’intento di rovesciare i “dittatori” Gheddafi e Assad (siamo bravissimi, noialtri, a proclamar dittatore qualcuno quando ci serve e a far finta di nulla, qualunque cosa combini, quando invece ci è utile: come nel caso di Saddam Hussein, passato tra Anni Ottanta e Anni Novanta con disinvoltura dal ruolo di “Presidente del Sorriso”, come lo chiamavano Kissinger e Rumsfeld anche mentre gasava i kurdi – ma faceva la guerra contro l’Iran in conto terzi -, a quello di “nuovo Hitler” contro il quale si fabbricavano false prove a carico).

La questione non è di poco conto proprio ora, mentre si cerca di capire chi stia dietro al califfo al-Baghdadi, chi lo sostenga, lo armi, lo finanzi: e perché. E’ evidente che la risposta ufficiale dei portavoce dell’IS può anche essere a sua modo sincera: a finanziare il califfo sarebbero le pie elemosine dei buoni musulmani. Pensando a certi emiri della penisola arabica, senza dubbio definibili come “buoni musulmani” (ma non certo “musulmani buoni”…), si sarebbe tentati di confessarci appagati da tale risposta. Ma c’è senz’altro di più. Il traffico di petrolio pompato dagli uomini del califfo o per conto loro e immesso “al nero” sul mercato dovrebbe essere oggetto di analisi più attenta da parte dei nostri servizi: chi ne sono i mediatori, gli acquirenti, i riciclatori dei relativi proventi eccetera? E quanto si giovano il califfo e le comunità musulmana che almeno formalmente ne riconoscono l’autorità del traffico di carne umana nel Mediterraneo meridionale nonché di quello di armi tra Libia, Sinai, Mar Rosso e Golfo persico?

V’è poi una questione che, quando le fonti facciano difetto o siano occultate, s’impone sul piano della pura ricerca storica. Quella delle ipotesi di lavoro, che da sole non valgono a costruire alcuna valida tesi ma che sovente ne costituiscono la premessa e il presupposto. In un suo celebre scritto, Carlo Ginzburg ha sostenuto che lo stesso pre-giudizio, nella misura in cui serve a orientare la ricerca con la riserva che essa può confermarlo o sfatarlo, è utile e necessario strumento d’indagine. In questa direzione, quando un evento manca di origini e di ragioni chiare, si può ad esempio applicare la regola del cui prodest. A che cosa, e magari a chi, serve il califfato? A che cosa e a chi serve una nuova forza destabilizzatrice del Vicino Oriente in un’area nevralgica dell’area siro-kurdo-irakena, al confine con l’Iran? Eventuali forze musulmano-sunnite oppure occidentali (“crociate”, come pittorescamente le definisce al-Baghdadi) che – kurdi a parte – assalissero per via di terra le posizioni dell’IS ne avrebbero facilmente ragione (come notava giustamente Emil Luttwak in un’intervista pubblicata da “Il Foglio” il 3 marzo scorso): ma è molto probabile che ne approfitterebbero poi per stabilire una catena di basi più vicine possibili al confine con l’Iran, una sorta di Limes Persianus in grado di minacciare da vicino Teheran. Questo copione è un déjà vu: la NATO lo ha già messo in scena nel 2008 in Georgia – e gloria eterna alla fiera, eroica risposta indipendentista degli osseti meridionali, questi meravigliosi eredi della gente alana! – e nello scorso anno in Ucraina, causando la crisi ancora in corso. Nei casi georgiano e ucraino l’obiettivo era e resta la Russia; la linea offensiva potrebbe quindi coerentemente discendere lungo una direttrice sudorientale fino ad attestarsi nell’Iraq orientale.

In altri termini, obiettivo Iran. E’ esattamente quanto viene proposto da un altro studioso e “consigliere” autorevole del governo statunitense, anche se con Obama non esattamente troppo ascoltato, cioè da Michael Ledeen: del quale è stata pubblicata proprio su “Il Nodo di Gordio” (IV, 7, 2015, p.80) – una rivista della quale, sia detta a riprova della mia onestà intellettuale, io sono direttore scientifico – un’intervista dal più che eloquente titolo Se cadesse il regime iraniano cambierebbe il mondo. Attenzione alla tempestività: anzi, al tempismo. Il 2 marzo Bibi Netanyahu, a Washington, è stato protagonista di una prodezza che ha quasi oscurato quella da lui stesso compiuta l’11 gennaio scorso, quando a sorpresa si presentò a Parigi nella Synagogue de la Victoire e a sorpresa, non invitato e quasi insalutato hospite in presenza di un allibito presidente Hollande, invitò gli ebrei parigini ad abbandonare la Francia per trasferirsi nella “loro vera casa”, Eretz Israel. A Washington, Bibi ha fatto di più, con molto maggiore turbolenza diplomatica: ha bypassato con disinvoltura ma anche con evidente piglio provocatorio il presidente Obama e ha arringato il congresso; ma prima di ciò ha visitato i suoi amici dell’AIPAC, la potentissima loggia filoisraeliana statunitense, e con l’appoggio della destra repubblicana. In tale sede, Netanyahu ha testualmente affermato:

“Di fronte all’Iran che minaccia la sicurezza di Israele ho l’obbligo morale di alzare la voce. Per duemila anni gli ebrei sono stati senza potere, non succederà mai più. Oggi non stiamo più in silenzio, oggi abbiamo una voce. Io sono qui per mettere in guardia dalle minacce di chi vuole annichilirci mentre c’è ancora tempo per evitarle. Non resteremo passivi”.

La performance è proseguita con l’ostensione di una mappa secondo la quale si illustrerebbero (salvo il venir provati) i legami della repubblica islamica dell’Iran con il terrorismo di tutto il mondo. L’allocuzione al congresso si è quindi tenuta il giorno successivo su invito del leader repubblicano Boehner, e Netanyahu ha affettato serena sicurezza di sé affermando di voler solo parlare d’Israele, una questione che sta a cuore a tutti al di sopra delle parti. Non l’hanno pensata così né la Casa Bianca, che ha reagito offesa per lo sgarbo subìto, né i parlamentari democratici che hanno protestato con energia contro l’arroganza sia del premier israeliano, sia dei colleghi del partito avversario.

Gli echi dell’avvenimento – ma si dovrebbe qualificarlo più correttamente come vero e proprio incidente – sono stati dominati dalla replica recriminatoria della presidenza: “Obama ha delineato una strategia per evitare che l’Iran si doti di armi nucleari, Netanyahu no”. Ed è esattamente quanto ha fatto notare Thomas L. Friedman in un articolo che il 5 è stato pubblicato anche da “La Repubblica” in traduzione italiana e nel quale, dopo aver premesso che evitare che l’Iran si doti di ordigni nucleari è essenziale anche per impedire una perniciosa corsa alla proliferazione di quel tipo di armi in tutta l’area vicino-orientale, si sottolinea come la linea diplomatica degli Stati Uniti, condivisa dalle altre potenze, e quella del governo Netanyahu obiettivamente divergano, e come il presidente stia lavorando per ottenere uno scopo concreto preciso, l’offerta all’Iran della possibilità di reintegrarsi nel normale sistema di relazioni politiche e diplomatiche globali in cambio della rinunzia a dotarsi della bomba. Ma il punto centrale dell’assunto di Friedman è un attacco diretto e durissimo: sia contro Netanyahu, che chiede sanzioni più severe contro l’Iran ma non è disposto nemmeno ad alleggerire in cambio la pressione dei nuovi insediamenti israeliani in Cisgiordania e che non è in grado di formulare alcuna proposta concreta per far in modo che quel che a parole auspica – la rinunzia dell’Iran al programam nucleare – si possa compiere concretamente; sia contro la parte repubblicana oltranzista del congresso, che “sbraita a sostegno di un leader straniero che cerca di mandare deliberatamente in fumo i negoziati nei quali è impegnato il governo prima ancora che questi abbia concluso ciò che sta facendo.

Per contro, i filorepubblicani oltranzisti di casa nostra non si sono fatti aspettare. “Il Foglio”, dopo aver pubblicato l’intervista di Luttwak, ha fatto lo stesso con la traduzione il 4 del testo integrale del discorso di Netanyahu al congresso. Soggettivamente, una scelta di parte, diciamo pure faziosa. Obiettivamente, una mossa meritoria: tutti possono difatti controllare come le accusa contro l’Iran siano tanto veementi quanto inconsistenti e prive di prove effettive, mentre è ovvia l’autentica ragione di tutto questo much Ado about nothing: Bibi è in campagna elettorale e, nonostante le sue azioni siano risalite dopo la faccenda di “Charlie Hebdo”, il risultato è tutt’altro che certo. La politica interna e soprattutto sociale del suo governo è stata fallimentare e ha prodotto un malcontento dal quale egli spera di risollevarsi cavalcando i tamburi di guerra e le vere o supposte minacce che Israele sta e/o starebbe correndo.

Quanto all’Iran, quel che pensano per le strade, nelle case e nei caffè è ben descritto proprio da un’inchiesta di Vanna Vannuccini, Tra la gente di Teheran che sogna l’intesa nucleare (“La Repubblica”, 6.3.). Gli iraniani sono stanchi dell’embargo, desiderano trovare un accordo con gli USA e con il resto del fronte che sulla base della volontà statunitense ha finora isolato la repubblica iranica nonostante essa non abbia mai denunziato la sua ferma adesione all’impegno del programma di non-proliferazione - a dispetto di essere circondata da potenze ostili che direttamente o indirettamente sono detentrici di ordigni nucleari, da Israele stesso alla Turchia dove sono le basi statunitensi al Pakistan -, abbia sempre affermato di non avere né la possibilità né l’intenzione di pervenire a un livello di arricchimento dell’uranio sufficiente al passaggio dal nucleare civile a quello militare e al nucleare civile appunto non abbia alcuna intenzione di rinunziare, com’’è suo sacrosanto diritto. Una posizione limpida, mai smentita dai pur numerosi documenti (non sempre autentici) prodotti dai servizi delle potenze che avrebbero voluto cogliere l’Iran in fallo) e garantita dalla disponibilità di Rohani di aprire le porte a tutti i necessari controlli a patto che ciò avvenga nel rispetto della sovranità e della dignità della repubblica islamica e sulla base di accordi ben chiari, definiti e verificabili. Peraltro, i paladini – da Ledeen a Netanyahu - della tesi che l’Iran sia addirittura un sostenitore dell’IS è totalmente fuori da ogni possibile logica: la repubblica islamica sostiene, è vero, Hezbollah e Hamas, ma questa è appunto una riprova che con l’IS essa non può aver nulla da spartire. Come al solito, gli “esperti” dimenticano il particolare che, della fitna sunnita scatenata e sostenuta dagli emirati arabi, l’Iran è il primo e principale obiettivo. Eppure, non ci sono ragionamenti, non c’è logica, non ci sono prove che tengano. Calomniez, calomniez…