Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La crisi (che) deve ancora venire

La crisi (che) deve ancora venire

di Luciano Fuschini - 09/06/2015

Fonte: Il Ribelle


I grandi cambiamenti, le grandi svolte nella politica e nell’economia, sono immediatamente visibili nella vita quotidiana, anche a chi non fosse informato sulle rilevazioni statistiche o non seguisse i notiziari. 

La crisi economica fu percepita da tutti nell’Argentina di una quindicina di anni fa e nella Grecia di oggi. In Italia, almeno in quella settentrionale, la Padania dei leghisti, in questi ultimi anni il modo di vivere e di consumare non è cambiato. Tutti sanno di giovani che vanno all’estero per cercare lavoro, ci sono licenziamenti e imprese che chiudono, ma lo stile di vita della grande maggioranza della popolazione non è mutato. I ristoranti sono effettivamente pieni, non era un’allucinazione di Berlusconi; le strade sono un fiume ininterrotto di auto e di moto tutte di grossa cilindrata; al primo sole estivo masse compatte si riversano nelle località balneari e montane; le mete delle vacanze restano un argomento fra i più gettonati; il costume dello sballo fra giovani sbevazzanti continua a imporsi visibilissimo; la corsa all’aggeggio elettronico di ultimo tipo è la stessa di un tempo. O quasi.

La crisi sfiora soltanto la vita della maggioranza delle persone. Eppure c’è, e profonda.

Il denaro continua a circolare abbondante grazie ai redditi e alle rendite degli anziani. Esauritasi questa risorsa, come è inevitabile che avvenga, non ci sarà più bisogno di tenersi informati attraverso il telegiornale per sapere che il disastro dilaga.

Quella che invece è già evidente a tutti, quella che cogliamo immediatamente nelle strade, nei locali pubblici e dentro le case, è la decadenza morale, è il degrado civile. È nel fallimento di tutte le agenzie educative, famiglia, scuola, centri di vita comunitaria, la stessa Chiesa; è nella conflittualità fra generi che sta distruggendo la famiglia prima che le nozze fra gay completino l’opera; è nell’indifferenza per i beni pubblici e nell’incuria; è nella mercificazione di tutte le relazioni sociali; è nella corruzione diffusa a tutti i livelli.

La maledizione è stata scagliata da molto tempo, tanto è vero che i più accorti pensatori dell’Ottocento avevano già previsto quello che sta accadendo. Lo avevano previsto i cosiddetti reazionari, da De Maistre a Nietzsche.

Lo aveva previsto Marx, anche in quegli aspetti che adottando la sua terminologia possiamo definire sovrastrutturali e che configurano appunto la crisi di civiltà. 

Aveva correttamente compreso che la democrazia non era altro che la copertura ideologica della dittatura di classe, il suo camuffamento. Aveva previsto il ruolo crescente del denaro, della finanza, nel processo di reificazione, di riduzione di tutto ciò che fu umano a merce, a cosa. Aveva previsto che le crisi cicliche sarebbero diventate sempre più frequenti e profonde. Aveva previsto la caduta tendenziale del saggio del profitto in seguito all’introduzione crescente dell’automazione nei processi produttivi.

La parte del suo pensiero che non trova conferma nella realtà che stiamo vivendo è lo schema storicistico, sostanzialmente hegeliano, secondo cui dalle contraddizioni stesse del sistema emergono le forze nuove che ne determineranno il superamento e la formazione di un nuovo assetto più avanzato. Lo schema funziona se lo applichiamo al passaggio fra il feudalesimo e il capitalismo. All’interno del modo di produzione feudale si affermò e crebbe una borghesia mercantile che a un certo punto non poteva più esprimere le sue potenzialità nella gabbia delle strutture chiuse del mondo aristocratico-feudale. Allora furono la rivoluzione industriale e la rivoluzione francese, all’origine del moderno capitalismo.

Lo schema non funziona se lo applichiamo al passaggio fra l’economia schiavista dell’Impero Romano e il feudalesimo. Nell’ultimo periodo imperiale si affermarono il latifondo e quel ripiegamento nelle villae che prefiguravano la proprietà feudale e il borgo raccolto attorno al castello fortificato, ma in nessun modo questo fenomeno può intendersi come lo sviluppo di forze produttive più avanzate rispetto all’epoca romana. Città che contavano centinaia di migliaia di abitanti si ridussero a rovine abitate da gruppi sparuti; strade, ponti, terme, acquedotti, divennero inutili testimonianze del passato. Soprattutto, il nuovo mondo medievale, che non fu affatto soltanto la barbarie descritta dai progressisti, si impose dopo secoli di estrema decadenza, di crollo demografico, di dissoluzione di tutte le istituzioni del vivere civile.

Oggi bisogna essere idealisti privi di contatto con la realtà per vedere emergere dai processi di deterioramento del sistema forze che in positivo prefigurino la società futura. Marx aveva visto nel proletariato quella forza. Chi oggi ripetesse che gli operai delle grandi fabbriche, un tipo umano in via di estinzione, costituiscono la classe che creerà il mondo nuovo, non rischierebbe il manicomio solo perché Basaglia li ha fatti chiudere.

Quello che si delinea è un passaggio drammatico che assomiglia più alla dissoluzione dell’Impero Romano che allo sbocciare del capitalismo dalla matrice del feudalesimo. 

Nell’inciviltà dilagante, nel disastro delle relazioni, nel degrado ambientale, nella rovina economica che seguirà a quelli che sono soltanto suoi preavvisi, è scritto un destino tragico incombente su generazioni che pagheranno la nostra incoscienza. A meno che il corso inesorabile delle cose non sia affrettato e deviato da qualcosa di ancora più tragico, una guerra di dimensioni mai viste nella storia. 

Luciano Fuschini