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Crisi Grecia: Atene come arma degli Usa contro la Germania

di Francesco Meneguzzo - 14/07/2015

Fonte: Il Primato Nazionale



imf-europe A distanza di qualche giorno dal referendum greco e annessa valanga di “No” al piano di salvataggio della Troika, possiamo tentare di dare le prime parziali risposte almeno a due domande che avevamo formulato nell’immediatezza dell’evento.

Prima di tutto, a quella che riguardava la strana posizione del Fondo monetario internazionale (Fmi), che il 26 giugno aveva prodotto un rapporto di “analisi sulla sostenibilità del debito greco” – circolato pubblicamente solo cinque giorni dopo – in cui si confermava chiaramente che il debito greco non è sostenibile e che esso necessita di una pesante ristrutturazione che, secondo le condizioni future, potrà prevedere un periodo di ammortamento molto più lungo o perfino un taglio netto (haircut). Riconoscendo di fatto la validità delle tesi greche e sconfessando il piano di salvataggio della stessa “Troika” ci cui il Fmi è parte integrante insieme alla Banca centrale europea (Bce) e alla Commissione europea, e rendendo immediatamente anacronistica la famosa “lettera” di Alexis Tsipras in cui questi accettava sostanzialmente il piano di salvataggio, pur avendo già annunciato il referendum.

In secondo luogo, alla domanda sullo strano silenzio degli Stati Uniti, nonostante i rischi di “colonizzazione” russo-cinese della Grecia, che avrebbe aperto un pericolosa ferita non solo nella Ue ma anche nella Nato.

Ebbene, appare abbastanza evidente che il Fmi – uno strumento saldamente in mani americane – abbia agito su mandato delle élite di Washington, per favorire la vittoria del “No”, intrappolare lo stesso Tsipras in una vittoria troppo netta per essere disattesa, e soprattutto – questo il vero obiettivo – costringere la Germania ad accettare la ristrutturazione del debito greco, con eventuale annesso taglio netto del relativo valore, e prepararsi, nel caso, a fare altrettanto con altri due o tre paesi tra cui l’Italia.

La Germania infatti, come ricordavamo, è il paese più esposto verso la Grecia (tra 35 e 90 miliardi), mentre le esposizioni italiana e spagnola, sebbene inferiori, potrebbero tradursi perfino nel default di queste ultime.

Ieri, nonostante le dichiarazioni del portavoce del ministero delle finanze tedesco Martin Jaeger, secondo il quale “al momento e in linea di principio, come la Cancelliera [Merkel, ndr] ha espressamente detto nella sua conferenza stampa a Bruxelles, non vediamo alcuna occasione per discutere di questo [ristrutturazione e/o taglio del debito greco, ndr]”, escludendo quindi una diminuzione di valore del debito ellenico, la direttrice generale del Fmi, Christine Lagarde, ha continuato a sostenere la necessità della ristrutturazione del debito di Atene, che il Fondo rimane “pienamente impegnato” con la Grecia (nonostante la morosità acquisita in seguito al mancato pagamento della rata da 1,7 miliardi di euro del 30 giugno scorso), e che tuttavia il mandato del Fmi impedisce di riservare al paese ellenico un “trattamento speciale”, facendo intendere che la sua organizzazione ha già fatto tutto il possibile e che ora tocca ad altri. Cioè, alla Germania, secondo un percorso obbligato e doloroso.

Ecco quindi che a poche settimane dal violentissimo attacco di Tsipras al Fmi che, secondo il premier greco, avrebbe tenuto un atteggiamento “criminale” – non senza qualche ragione ma neppure senza gravi ambiguità, come illustrato su queste colonne – il medesimo ha ritrovato sulla sua strada il più scomodo degli alleati: quello che – continuando a invocare una drastica ristrutturazione/taglio del debito – gli impedirà di cercare un compromesso di qualità inferiore, portando inoltre nel cuore dell’eurozona il seme dello scontro diretto con Berlino.

Una manovra americana che rasenta la perfezione, una speculazione al ribasso destinata a un successo storico, a meno che la Germania tenga duro nonostante le impressionanti pressioni condotte anche dai soliti utili idioti delle sinistre europee: se alla Grecia verrà ristrutturato o tagliato il debito, la Germania subirà un salasso tale da mortificare qualsiasi speranza di ripresa sostenuta almeno nel breve termine, nonché qualsiasi ambizione extra-atlantica, anche perché è impensabile che possano contribuire significativamente altri paesi indebitati fino al collo come la Spagna e soprattutto l’Italia (e anche per la Francia avremmo qualche dubbio), mentre la Grecia rimarrà nell’eurozona, certamente vivacchiando ma lontanissima da tentazioni “strabiche” verso Mosca o Pechino. Portando a una convivenza forzata e traballante, ma saldamente nel campo atlantico, e quanto più flebile sarà la voce della Germania, tanto più rapida e sicura sarà l’approvazione del trattato di partnership transatlantica (Ttip), nuova architrave del blocco occidentale e probabile gabbia e condanna per gli europei, tanto desiderata da Washington anche in chiave anti-russa e anti-cinese.

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Riduzione dell’esposizione delle banche d’affari rispetto al debito greco

Solo un aspetto per niente marginale avrebbe potuto impedire alle élite finanziarie al potere negli Usa di ordire una simile manovra: l’eventuale esposizione delle banche private al debito greco. Ebbene,tra il 2009 e il 2014, grazie ai “salvataggi sovrani” (bailout), quasi l’intera esposizione di queste è stata trasferita sulle spalle dei debiti pubblici nazionali, gravanti sui relativi popoli. Con Goldman Sachs quale banca d’affari sempre protagonista, a partire dalle ingegnerie finanziarie impiegate per nascondere – con indubbio successo – l’acquisizione di prestiti e quindi la costruzione del debito sovrano della Grecia e non solo.

Il potere finanziario americano, quindi, già vittorioso in fase di rialzo nonostante il rigore dei trattati di Maastricht, si appresta a strappare un inatteso quanto brillante successo anche in fase di profondo ribasso, grazie a un’Europa che ogni giorno appare meno sovrana e padrona del proprio destino. Se occorreva individuare con chiarezza il nemico della sovranità europea e di conseguenza italiana, forse queste considerazioni possono aiutare. E non è certamente la Germania.