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Pensano a come cacciare Assad mentre al Qaeda avanza in Siria

di Chiara Cruciati - 14/09/2015

Fonte: Il Manifesto


E’ caduto l’aeroporto mili­tare di Abu Duhur, una delle più impor­tanti basi dell’esercito siriano, l’ultima ancora con­trol­lata dal governo nella pro­vin­cia nord-occidentale di Idlib.

siria


Hanno appro­fit­tato dell’anomala tem­pe­sta di sab­bia che da giorni sof­foca Libano, Pale­stina e Siria. Scarsa visi­bi­lità, dif­fi­coltà per l’aviazione siriana di bom­bar­dare dall’alto: così, dopo due anni di asse­dio, è caduto l’aeroporto mili­tare di Abu Duhur, una delle più impor­tanti basi dell’esercito siriano, l’ultima ancora con­trol­lata dal governo nella pro­vin­cia nord-occidentale di Idlib. È caduta in mano al brac­cio di al Qaeda in Siria, il Fronte al Nusra, soste­nuto dal Jaish al Fatah, «fede­ra­zione» di gruppi estre­mi­sti, molti con­si­de­rati crea­ture dei paesi del Golfo e della Turchia.

Una scon­fitta cocente per Dama­sco che vede eva­po­rare il con­trollo eser­ci­tato su Idlib, oggi roc­ca­forte qae­di­sta dopo la con­qui­sta del capo­luogo a marzo. Cocente anche per­ché il disa­strato eser­cito siriano, ridotto all’osso da defe­zioni, morti e feri­menti, si è riti­rato dalla base. Solo alcuni mili­tari sono rima­sti a com­bat­tere intorno all’aeroporto: ieri scon­tri limi­tati erano ancora in corso.

E men­tre al-Nusra cele­brava la vit­to­ria, pub­bli­cando nei social net­work foto di mili­ziani in posa con gli aerei da guerra del pre­si­dente Assad, la tv di Stato ammet­teva l’uscita di scena da una pro­vin­cia stra­te­gica per­ché a metà tra Aleppo (dove ribelli mode­rati e isla­mi­sti si con­ten­dono il capo­luogo con Dama­sco), Lata­kia roc­ca­forte del pre­si­dente Assad e la Tur­chia. Ad Idlib non c’è il governo, ma ci sono sac­che di resi­stenza da parte di Hez­bol­lah e mili­ziani sciiti. Man­ten­gono le posi­zioni den­tro i due vil­laggi di Kafraya e Foa, asse­diati da set­ti­mane da al Qaeda e ormai quasi privi di cibo e medi­ci­nali, tanto da sca­te­nare pro­te­ste di piazza a Dama­sco, Homs e Aleppo. Gli stessi vil­laggi per cui scese in campo la diplo­ma­zia ira­niana che, attra­verso con­tatti diretti con la Tur­chia, ha ten­tato di porre fine all’assedio. A dimo­stra­zione che Assad può essere «sca­val­cato» anche dal suo più vicino alleato, Teheran.

A difesa di Idlib e della base di Abu Duhur non si sono visti i jet sta­tu­ni­tensi, né i voli di rico­gni­zione fran­cesi pro­se­guiti ieri per il secondo giorno con­se­cu­tivo, né i raid bri­tan­nici (a cui si aggiun­ge­ranno a breve quelli austra­liani, come annun­ciato ieri dal pre­mier Abbott). La par­zia­lità della rispo­sta della coa­li­zione alla minac­cia jiha­di­sta spiega gli scarsi risul­tati di un anno di ope­ra­zione anti-Isis: i tar­get sono limi­tati alle aree che non rien­trano nel 20–25% di ter­ri­to­rio ancora in mano al governo di Dama­sco. La con­se­guenza è palese: in Siria si com­bat­tono innu­me­re­voli con­flitti, molti dei quali non diretti a fre­nare l’avanzata jiha­di­sta. Uno sce­na­rio che favo­ri­sce pro­prio lo Stato Isla­mico e il pro­getto trans­na­zio­nale di cui è portatore.

In tale con­te­sto la rispo­sta del mondo è limi­tata dal con­flitto di inte­ressi e stra­te­gie delle due super potenze, Stati uniti e Rus­sia. Mosca — che ha bypas­sato la chiu­sura dei cieli bul­gari, otte­nendo ieri l’apertura di quelli ira­niani — è tor­nata sulla que­stione dei pre­sunti sol­dati inviati in Siria, che Washing­ton legge come il primo passo alla costru­zione di una base aerea a Lata­kia. La por­ta­voce del Mini­stero degli Esteri, Maria Zakha­rova, ha ripe­tuto che con­si­glieri mili­tari russi sono nel paese per assi­stere la con­se­gna di equi­pag­gia­mento a Dama­sco. «La Rus­sia non ha mai fatto segreto della coo­pe­ra­zione mili­tare e tec­nica con la Siria», ha detto accu­sando l’Occidente di «strana isteria».

Più che iste­ria, ipo­cri­sia: men­tre la firma dell’accordo sul nucleare ira­niano pareva aprire ad una solu­zione diplo­ma­tica, fino a 10 giorni fa il segre­ta­rio di Stato Usa Kerry discu­teva con la con­tro­parte Lavrov dei bene­fici che un fronte anti-terrorismo più ampio avrebbe garan­tito alla lotta all’Isis. Spe­rava forse di affie­vo­lire il soste­gno russo al nemico Assad. Eppure se Mosca deci­desse dav­vero di inter­ve­nire mili­tar­mente in Siria – deci­sione che potrebbe arri­vare ora, a 4 anni dall’inizio della guerra civile, a causa della costante per­dita di ter­reno da parte di Assad – si potrebbe forse giun­gere alla fine del con­flitto. Per­ché andrebbe a col­pire al-Nusra e Isis dove i raid della coa­li­zione non li col­pi­scono. Solo allora si potrebbe aprire una fase nego­ziale seria tra governo e oppo­si­zioni moderate.

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