Sul conto dell’Ungheria, finora, se ne sono sentite davvero di tutti i colori. A quanto pare in Italia, e non solo in Italia ma anche negli altri paesi della “Comunità Europea Storica”, vale a dire Francia e Germania, c’è tutta una categoria di giornalisti, intellettuali ed opinionisti che si guadagna da vivere a spese proprio dell’Ungheria, dicendone peste e corna dalla mattina alla sera. Tutto è cominciato, grossomodo, con l’elezione al governo di Viktor Orban: e si precisi che parliamo di “elezione al governo” e non di “salita al potere”, perché ciò è avvenuto in maniera del tutto democratica, tramite le elezioni, e non con qualche sinistro e sanguinoso colpo di Stato. Anche per questo motivo, che oggi si dipinga Viktor Orban alla stregua di un Francisco Franco magiaro suona decisamente molto grottesco. S’è detto, in quell’occasione, che l’arrivo al governo di Viktor Orban coincidesse con una pericolosa e preoccupante avanzata dei movimenti di destra in Europa: cosa che certamente è vera, ma che non riguarda di sicuro soltanto l’Ungheria. E, in ogni caso, quei movimenti d’estrema destra, additati come discendenti più o meno diretti dei movimenti fascisti che provocarono innumerevoli disgrazie nel Novecento e che non hanno mai fatto realmente e completamente i propri conti col passato, non sono mai divenuti forza di governo né in Ungheria né in nessun’altra parte d’Europa. Accostare Viktor Orban ed il suo partito, certamente molto legato all’identità nazionale, culturale e storica del suo paese, a questi movimenti, è decisamente un atteggiamento sleale e fuorviante.
Fin dai primi giorni della sua elezione, Viktor Orban è stato accusato di voler mettere al bando le forze politiche tradizionali, che infatti erano talmente messe al bando da poter godere di tutta la libertà d’organizzarsi ed agire contro di lui, per esempio portando un cospicuo numero di militanti a manifestare contro di lui in piazza, a Budapest. Basterebbe già solo quest’aspetto, che si commenta veramente da solo, a dirimere una volta per tutte la questione. Ma, senza senso della vergogna, ed aggiungerei anche senza senso della misura, una certa destra liberal ed una certa sinistra altrettanto liberal hanno preferito non demordere e continuare a negare dinanzi all’evidenza, ostinandosi nel propagandare con successo l’idea di Viktor Orban “fascista” e “dittatore”.
Probabilmente il problema si trova molto più a monte di quanto siamo disposti a credere. Tanto la destra tradizionale quanto la sinistra socialdemocratica e post-comunista, in Ungheria, vantano da sempre un profondo legame con l’Europa occidentale e con gli Stati Uniti d’America. Le loro scelte di governo sono sempre state tese a soddisfare questi due loro importanti committenti, in modo e maniera da rendere l’Ungheria sempre armonica e soprattutto “ancillare” nei loro confronti. Tutto è venuto meno con Orban, che ha pesantemente messo in discussione questo modello, basato su una strategia che mirava ad edificare un’idea di paese completamente diversa dalla sua. Secondo Orban l’Ungheria doveva essere un paese sovrano, in grado di misurarsi ad armi pari con le altri grandi potenze mondiali, facendo valere il suo peso strategico e geopolitico e, cosa importantissima, anche la sua grande storia.
Così Orban ha cominciato ad impostare una politica d’intesa con quei paesi che, guardacaso, sono visti come il fumo negli occhi dalle forze politiche tradizionali, che si tratti della destra liberal o della sinistra altrettanto liberal. Ha cominciato a parlare con la Russia e soprattutto con la Cina, con cui ha stabilito di fare dell’Ungheria uno dei paesi d’approdi della moderna e rivoluzionaria strategia della Nuova Via e della Nuova Cintura della Seta. Ciò ha comportato importanti intese anche con altri paesi europei e non europei che si trovano al di fuori dell’UE o della sua rete di simpatie, e che parimenti non sono visti di buon occhio nemmeno dalla Casa Bianca. Il risultato è sotto i nostri occhi: di fronte ad un simile atteggiamento, Orban non poteva che essere demonizzato ed additato come colui che aveva compiuto, nel cuore dell’Europa, la “resurrezione del fascismo”.
Come ben sappiamo, la demonizzazione di Orban e dell’Ungheria data ormai a ben prima del caso dei migranti giunti ad ondate in Europa centrale e meridionale a causa del caos mediorientale e siriano in particolare. Quest’ultimo caso è stato strumentalizzato a dovere, per accrescere presso il pubblico occidentale e soprattutto europeo l’immagine negativa dell’Ungheria, ma anche per causare a quest’ultima non pochi guai di tipo logistico, politico ed organizzativo. Non è un caso che si siano usati i migranti per far pressione soprattutto su quei paesi che, per un motivo o per un altro, sono da tempo caduti in disgrazia presso la politica occidentale, come la Macedonia, la Serbia o l’Ungheria. Anche la Grecia, da questo punto di vista, ha avuto il suo bel prezzo da pagare, e così Cipro. Sono tutti paesi che, neanche a farlo apposta, hanno stabilito ormai da tempo relazioni costruttive con le potenze orientali, in primo luogo la Russia, soprattutto in materia economica, commerciale ed energetica, e che guardano ancora più in là, fino alla Cina. Che sia solo un caso? Sono, poi, paesi che anche sulla crisi ucraina hanno rotto le uova nel paniere alla politica occidentale, per inciso a quella atlantista formata dal duetto Washington-Bruxelles, ben più di una volta. Che sia anche questo solo un caso? Pare tutto molto strano.
In un simile clima di demonizzazione del “nemico interno”, ovvero di colui che dentro l’Europa unita fa il bastian contrario e segue una politica economica ed estera tutta sua, un paese come l’Ungheria non può che farne le spese. Ed ecco che allora si parla di “vagoni piombati”, di “compagni socialisti e comunisti” messi al bando oppure financo “deportati”, e così via. Quante ne sono state dette? Tutto fa brodo, quando si tratta di demolire l’immagine di un paese che, invece, è tra i più civili ed avanzati del Continente Europeo. Un paese che, non dimentichiamocelo, è stato anche imperiale e che ha vissuto una stagione “risorgimentale” con molti lati in comune con la nostra. Anche per questo dovremmo sentirlo come fratello, come amico, e non come il suo contrario. Ma, fintantochè dovremo fare i conti con parole e sortite come quelle del nostro presidente del consiglio Matteo Renzi (“Oggi il vero rischio per l’Europa non è la Russia [che è fuori], ma l’Ungheria”), difficilmente si potrà sperare in un qualche positivo eppure indispensabile passo in avanti.