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Capitalismo cannibale (intervista a Marco Revelli)

di Manuele Bonaccorsi - 13/09/2006

 
Intervista a Marco Revelli, docente di Scienza della Politica all’università del Piemonte

«E’ un capitalismo cannibale: attacca i beni pubblici e divora se stesso»

Siamo all'epilogo dell'era delle privatizzazioni. La Telecom, azienda di punta del sistema economico nazionale, perde ancora pezzi, svende Tim e le reti per ripianare i debiti del suo proprietario. Diventa, insomma, strumento di produzione di puro profitto. Qual il tuo giudizio su questa vicenda?


Apprendo che i sindacati hanno deciso di proclamare uno sciopero. E' la giusta risposta dinanzi ad un'operazione fatta sulla pelle di chi lavora nel gruppo. Questa vicenda merita una reazione, da parte di chi non accetta passivamente il risiko a cui sta giocando la finanza. In primo piano, infatti, c'è il gioco finanziario mentre le politiche industriali sono del tutto subordinate ad esso. D'altra parte è proprio questa la strada imboccata fin dall'inizio del processo di privatizzazione.


La "riorganizzazione" di Telecom mette a rischio anche la proprietà delle reti. Si tratta di un elemento che mette in gioco anche la questione della libertà di comunicazione e del “controllo”.


Da una parte questo capitalismo "nuovissimo" ha capito che la gallina dalle uova d'oro sta sul terreno delle reti, intese come tutto ciò che veicola qualcosa: autostrade, Tav, reti informatiche o pipelinee petrolifere. Chi controlla i flussi fa denaro, apre nuove “praterie del profitto”, sottratte dal controllo pubblico. Dall'altro la proprietà delle reti dal punto di vista della comunicazione si disegna e ridisegna a grande velocità, con geometrie che cambiano giorno per giorno, e che rendono sempre meno decodificabile la fonte e sempre più difficile il controllo delle informazioni. E' in questo gioco che entrano figure come Murdoch, veri e propri Grandi Fratelli globali

Dietro l'affaire Telecom si cela anche l'assenza di un politica industriale del nostro paese?


Quest’ultimo è l'esito scontato di lunga catena di decisioni che parte dalla scelta originaria di deregolare un settore delicatissimo. Daltro canto si ha l'impressione che il governo abbia pochissime idee su come gestire questa situazione, sia in termini di politiche industriali, sia per quanto riguarda il ruolo potere pubblico nell'informazione. Lo scenario è desolante: da un lato pura finanza, dall'altra lo spoil system e la lottizzazione della Rai. In tutto ciò i cittadini sono vulnerabili e non tutelati.


Non sembra dissimile neppure il percorso immaginato dal ministro Lidia Lanzillotta, che si propone di sottopporre a procedura competitiva l'intero settore dei servizi pubblici locali, esclusa l'acqua.


Credo che questa sia una vicenda molto inquietante, e che ci sia nell'arco del governo una “turbina” che lavora per la decostruzione di qualsiasi controllo pubblico sui beni essenziali, su tutto ciò che il “novecento virtuoso” ha costruito.


Chi può dar vita ad un'opposizione a questa progressiva perdita di beni pubblici?


Tutti, i cittadini. Chi, cioè, fa parte della città, e dunque non è solo un atomo in balia dei padroni di quella stessa città. Essere cittadini equivale ad avere il possesso di alcune risorse essenziali, un “pacchetto” di diritti e che non possono essere trattati come merci.


Come giudichi il capitalismo italiano?


Un tempo era il “capitalismo straccione”, oggi, forse, non lo si può più chiamare neppure capitalismo. Persi gli insediamenti territoriali e produttivi, è diventato tanto astratto da confondersi coi flussi finanziari. E' un capitalismo “corsaro”, mordi e fuggi, nel quale alcuni individui collocati nei nodi vitali del sistema massimizzano vantaggi immediati e poi si spostano altrove. Un capitalismo “cannibale”, che divora il proprio corpo