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Consumismo, un male sociale

di Doug Dowd - 24/10/2005

Fonte: www.comeonchisciotte.org

Non per niente il primo capitolo del Capitale di Marx venne intitolato “La merce”, dato che la commercializzazione è tra le caratteristiche determinanti del capitalismo.
All’inizio c’erano la terra e il lavoro; ora tutto è merce; tutto è in vendita. Adam Smith stabilì le basi analitiche per la commercializzazione. Nel suo “La ricchezza delle nazioni” (1776), sostenne che la competizione del libero mercato, nel bene e nel male, ci avrebbe condotti nel “migliore dei mondi possibili.” Quello che cercò di sostituire era quello stato mercantilista corrotto e ebbro di potere del suo tempo; sarebbe inorridito dal capitalismo monopolista corrotto e ebbro di potere dei giorni nostri. Come scrisse Smith, e fino al ventesimo secolo, il capitalismo non aveva bisogno del consumismo. Vi era naturalmente “consumo” ma in modo diverso dal consumismo tanto quanto mangiare è diverso dall’ingordigia: dobbiamo mangiare per vivere, l’ingordigia è auto-distruttiva.

Secondo i suoi calcoli, Marx sapeva che era impossibile prevedere tutto quello che il capitalismo avrebbe provocato , ma nella sua analisi sull’”alienazione” del lavoratore del 1844, anticipò l’essenza del consumismo:
Il potere/del denaro/del lavoratore diminuisce direttamente con l’aumento della quantità della produzione, cioè il suo bisogno aumenta con l’aumentare del potere del denaro… L’eccesso e la smoderatezza divengono/il/reale standard…;lo sviluppo della produzione delle necessità diviene una sottomissione ingegnosa e sempre calcolata degli appetiti disumani, corrotti, innaturali e immaginari. (citazione di Bottomore; enfasi di Marx)

 

 


Marx lo scrisse mentre stava scoppiando la prima Rivoluzione Industriale, quando lo stipendio medio degli operai era così basso che la durata della vita si stava già abbassando a partire dal 1820. (Hobsbawm) Al tempo in cui Veblen scrisse la sua “Theory of the leisure class” (1899), focalizzata sugli USA, la seconda Rivoluzione Industriale era in piena attività. La produttività e la produzione erano cresciute così clamorosamente che per la “salute” del capitalismo il consumo divenne sia necessario che possibile. Il fulcro delle analisi di Veblen erano gli elementi di ciò che divenne il consumismo: “emulazione” e figli: “esibizionismo consumistico, ostentazione e spreco.”
Nel 1899, un tale comportamento era però possibile solo per “le classi agiate.” Per la maggior parte del resto, data l’economia politica del tempo, il solo sopravvivere rimaneva il problema più importante. Ciò cominciò a cambiare con gli anni venti, anche se solo per un quinto della popolazione: da una odierna misurazione della povertà, la metà delle persone erano povere in quegli anni. (Miller)

Data l’irrazionalità del consumatore, per raggiungere i livelli attuali degli USA (e ora anche di altri paesi industrializzati), furono indispensabili maggiori sviluppi socio-economici; arrivarono qui per primi, accresciuti dallo stimolo delle due guerre mondiali: la Prima Guerra Mondiale capovolse un crescente rallentamento economico; la Seconda Guerra Mondiale ci sollevò da un decennio di profonda depressione. Ma non è tutto, entrambi i conflitti sovvenzionarono una serie di nuove tecnologie e una vera produzione di massa di beni di consumo durevoli; in modo particolare automobili e apparecchiature elettriche. Dopo il 1945, quella vasta espansione di produzione industriale – più solidi sindacati – esigettero e fornirono un salto di qualità verso “lavori migliori” e potere d’acquisto.

Le guerre arrivarono al momento giusto. La creazione di un complesso militare-industriale permanente più il consumismo assicurarono che , con o senza guerra, ci sarebbe sempre stata una via d’uscita a ciò che negli anni venti divenne una grave e cronica malattia commerciale: l’incapacità del commercio di trarre profitto dalla capacità produttiva in modo efficiente.

Insieme al militarismo, la soluzione venne trovata nel consumismo e nella moderna pubblicità, per tutti i prodotti domestici (dal tostapane al sapone), per la “moda”, e in modo più noto, per le sigarette e le automobili. (Soule)

Le auto e il fumo usarono tecniche diverse e sovrapposte; ma entrambe avvelenarono, sia figurativamente che letteralmente l’aria che respiriamo. Lucky Strike, con il suo “Scegli una Strike invece di una caramella”, rese affascinante e universalizzò il fumo, a prescindere dal sesso, dall’età, o dalla condizione di servitù. Edward Bernays, il “genio” dietro il messaggio delle Lucky Strike, precedentemente inventò , nel 1916, l’arte delle public relations, quando venne assunto dal presidente Woodrow Wilson – che concorse per la rielezione del 1916 promettendo di tenerci fuori dalla guerra – per ammorbidire il pubblico riguardo la nostra entrata in guerra nel 1917. (Tye)

Come per le automobili, le vendite si stabilizzarono già dal 1923. Fu in quell’anno che la General Motors introdusse tre modi per aumentare lo spreco e l’irrazionale:

1) la variazione annuale del modello (“svalutazione pianificata”);
2) una massiccia campagna pubblicitaria,
3) la”GMAC”, la propria “banca” per prestiti ai compratori.

Il consumismo nacque insieme al capitalismo monopolistico – che, come espose Baran tempo fa “ci insegna a volere quello di cui non abbiamo bisogno e non a volere quello che abbiamo.” “L’insegnamento” viene fatto per la maggiore dalla sempre più ingegnosa industria pubblicitaria – che attualmente sta rastrellando più di 200 mld di dollari all’anno solo negli USA.

La pubblicità alimenta la nostra irragionevolezza e stimola il nostro delirante tuffo nei debiti: a partire da oggi , il debito domestico (carte di credito, finanziamenti per l’auto e mutui) eccede di 10,000 mld. di dollari, e i pagamenti mensili ben superano gli stipendi medi mensili.

La funzione della pubblicità non è quella di fornire informazioni niente più di quanto quella del consumismo è di provvedere ai bisogni della gente; attraverso l’illusione e l’inganno; la sua funzione è quella di catturare “i cuori e le menti.” Proprio ciò che ha ordinato il dott. Capitalismo.

Questo è già brutto a sufficienza; ancora peggio sono gli effetti collaterali socio-politici del consumismo: la cittadinanza sempre più spesso “ammaliata, infastidita e confusa”, viene effettivamente distratta da ciò che gli viene fatto dal “potere dell’elite.”

Nel suo “Instinct of workmanship”(1914), Veblen sostiene che noi abbiamo “istinti” sia costruttivi che distruttivi, ma che il capitalismo mette in evidenza – dovrebbe mettere in evidenza – il peggio di noi. Anche Baran sostiene la stessa tesi e cattura l’essenza della moderna pubblicità nel suo saggio “Theses on advertising” (incluso in “The longer run”): E’ cruciale rendersi conto che la pubblicità e i programmi dei mass media da cui sono sponsorizzati e collegati, in nessun modo significativo creano valori o producono opinioni, ma piuttosto riflettono l’attuale e sfruttano il modo di pensare dominante. Indubbiamente nel far ciò si rinforzano e contribuiscono alla loro diffusione, ma non possono venir considerati come la loro radice principale… Le campagne pubblicitarie non hanno successo se cercano di cambiare le opinioni della gente, ma bensì se riescono a trovare , attraverso ricerche motivazionali e procedure simili, un modo per congiungere l’arrivismo esistente e lo snobismo; la discriminazione sociale, razziale e sessuale; l’egotismo e la mancanza di relazioni con gli altri; l’invidia, l’ingordigia, l’avarizia e la crudeltà dell’impulso all’avanzamento personale. Tutti questi atteggiamenti non sono generati dalla pubblicità, ma vengono utilizzati e fanno appello ai contenuti del materiale pubblicitario.(Sua enfasi)

Così, eccoci qui, un popolo barcollante lungo diversi sentieri incrociati di distruzione:

1.Il tanto decantato “nucleo famigliare” è diventato una gran confusione, dato che all’incirca due terzi delle coppie sposate con figli lavorano full-time, mentre i loro bambini – con o senza attenzione- guardano una TV imbottita di pubblicità per una media di 6 ore al giorno

2.Nel regno della politica, il solito livello basso della coscienza di classe negli USA è stato schiacciato al punto di fuga dal consumismo, aggiungendo alle altre tendenze l’indebolimento dei sindacati e il rafforzamento della già onnipotente “Fortune 500” con i suoi corrotti politici e media

3.Visto che il nostro rinomato “individualismo”, si concentra sul prestito, sull’acquisto e sull’apparire, abbiamo permesso alle nostre sempre inadeguate politiche sociali riguardanti l’istruzione, la salute, le case, le pensioni, e il trasporto pubblico di ridursi o scomparire

4.Per ultimo, e più pericolosamente, abbiamo distolto lo sguardo sugli altri mentre il “nostro” paese persegue politiche estere brutali e pericolose e – forse peggio - rimaniamo indifferenti agli attuali e incombenti disastri ambientali.

Tutto ciò si approfondisce e si espande nel preciso momento in cui sia le piccole che le grandi crisi sociali richiedono una attenzione accurata e prolungata e pensata a fondo, e uno sforzo cooperativo se si vuole che vengano risolte bene e in modo pacifico.

Non prenderemo quel sentiero disperatamente desiderato dai nostri attuali “leaders”. I cambiamenti necessari non verranno mai dall’alto; possono e devono venire dal basso. I lavoratori senza sindacato devono formarne uno o unirsi a uno; quelli che già ne fanno parte devono chiedere e creare una nuova leadership, e devono trovare il modo per unirsi ai migliaia di gruppi che lavorano sodo alla ampia gamma di questioni sociali di fondamentale importanza.

La politica degli USA deve divenire quella che va incontro ai bisogni primari e ai valori della stragrande maggioranza della gente, deve diventare quella che va verso coloro le cui vite sono , sotto tutti i punti di vista, danneggiate o rovinate da ciò che oggigiorno è considerato”normale.” Dobbiamo fondare un movimento, allontanarci dal capitalismo, trovare la nostra via da soli; dobbiamo far strada.

Non cominceremo da zero, né saremo soli. Ci sono migliaia di gruppi volenterosi che possono e devono unirsi in modo da forgiare un movimento sempre più grande. Ci sono già importanti agitazioni in corso, tutti dovremmo incitare a farlo.

Se non noi, chi? Se non ora, quando?

Doug Dowd
Fonte:www.zmag.org
Link:http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=10&ItemID=8830
28.10.05

Traduzione per www.comeonchisciotte.org a cura di LAURA

Riferimenti:

Baran P.A., Saggi Marxisti. Titolo originale: The Longer View
Bottomore T., Early Writings
Hobsbawm E., La Rivoluzione Industriale e l’Impero. Titolo originale: Industry and Empire
Miller H., Rich Man, Poor Man
Soule G., Prosperity Decade
Tye L., The Father of Spin: Edward Bernays and the Birth of Public Relations