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Un capitalismo senza capitali

di Francesco Piccioni - 14/09/2006

 
Intervista a Marcello Messori, ordinario di economia


Quanto pesa la vicenda Telecom e la sua eventuale «perdita» sull'economia italiana? Ne parliamo con Marcello Messori, ordinario di Economia dello sviluppo all'università di Tor Vergata.

Possibile che tutte le privatizzazioni si rivelino negative per gli interessi del paese?

Credo sia necessario distingere con grande attenzione la valutazione di merito dal fatto che siano possibili o meno interventi di policy. Telecom è un'azienda che è stata privatizzata, e non è in discussione la legittimità dell'accordo. Il problema mi sembra diverso rispetto a quello di Autostrade, che aveva una concessione con un impedimento specifico. Quanto al merito, se si concretizzerà la trasformaziona da un'integrazione rete fissa-rete mobile a una sorta di società che utilizza la rete per integrarsi nei media, si deve constatare che si tratta di una conversione a 180 gradi rispetto alla precedente strategia. Ed è l'esito di una difficoltà molto grossa di quest'impresa.

Difficoltà che viene lontano...

Anch'io sono convinto che questa trovi le sue radici in una privatizzazione sbagliata e in una serie di errori manageriali da questa derivanti. Era sbagliata in un duplice senso: perché precedeva la liberalizzazione dei mercati...

Si privatizzava un monopolio...

Un quasi monopolio. In secondo luogo, perché la modalità della privatizzazione era una sorta di compromesso tra due alternative. Se lo stato privatizza, l'unico compito che ha è quello di creare un mercato non monopolistico e poi lasciare al mercato la definizione della struttura societaria; la seconda, che allora aupicavo, è che la privatizzazione è uno strumento per una nuova politica industriale. E quindi si tratta di utilizzare questa possibilità per creare internalità al sistema delle imprese, soprattutto all'interno di un settore così strategico come le comunicazioni. Quindi chi privatizza - lo stato - ha anche il compito, almeno nella fase di avvio, di definire una struttura proprietaria adeguata a questo compito di politica industriale. Il compromesso invece è stato quello di non abbracciare la tesi ultraliberista di una struttura proprietaria definita autonomamente dal mercato, ma di non perseguire nemmeno la seconda, costituendo un nocciolo proprietario estremamente debole. A questo è seguita un'offerta pubblica di acquisto fondata su debito, e quindi fondata su modalità certo non di poitica industriale.

Da lì una catena di debiti...

Un errore che è proseguito con la mancata opa e l'acquisizione a prezzi estremamente sopravvalutati, per il gruppo di controllo, da parte di Tronchetti Provera. La non riduzione del debito ha fatto sì che Telecom non riuscisse a far prevalere una logica industriale rispetto all'emergenza finanziaria.

A questo punto si parla esplicitamente di una rete fissa «regalata» allo stato insieme a 30 miliardi di debiti.

Teniamo separati i due problemi. Se Telecom avesse un'ipotesi di integrazione tra rete fissa e trasferimento di voce-immagini-dati, di integrazione insomma tra televisione e altre attività di telecomunicazione, a maggior ragione sarebbe essenziale fare in modo che chi produce questi servizi non abbia la proprietà della rete, perché questo crea un vantaggio comparato rispetto agli altri attori, che può essere contenuto in parte solo da una regolamentazione molto efficiente e da una separazione societaria, o una holding comune che controlla. L'esempio inglese fatto in questi giorni è una combinazione. Telecom è una società privata. Lo stato dovrebbe acquisire questa rete, ma non può espropriarla. Si pone perciò un problema delicato, di costo della rete. Non sono al momento in grado di valutare se 30 miliardi sia un prezzo congruo o no. In termini di nuova politica industriale, però, avere la proprietà della rete consente di avere concorrenza nel settore. Ovviamente nel calcolo vanno computati anche i debiti.

Resta l'impressione di grande debolezza sul piano industriale del capitalismo italiano.

Assolutamente. Non credo che la telefonia mobile sia un settore che produca molti esternalità rispetto al sistema economico. Ma al di là della valutazione strategica, è l'indicatore di una tendenza del capitalismo italiano. Un capitalismo che non ha capitali.