L'Europa atlantica è il nostro destino?
di Luigi Tedeschi - 13/03/2016
Fonte: Italicum
Ma il nostro destino è l'Europa? Questo immane buco nero in cui si dissolvono stati, popoli, storia, cultura e benessere? Il processo di unificazione infatti non ha sortito risultati diversi. L'Europa, già idealizzata come modello di libertà e democrazia si è rivelata nei fatti una gabbia d'acciaio, simbolo di oppressione e depredazione dei popoli da cui sembra impossibile evadere. La crisi economica, le ondate migratorie di massa, le guerre nel Nordafrica e nel vicino oriente, accentuano la divisione, la diseguaglianza, la conflittualità tra i popoli, ma nel contempo rafforzano l'arroganza, il dispotismo, la rigidità della oligarchia finanziaria europea.
Venti di crisi e di dissoluzione europea
L'economia europea è in fase di sostanziale stagnazione. Il rallentamento dell'economia mondiale, il crescente incremento dell'indebitamento dei paesi emergenti, l'instabilità dei sistemi bancari, hanno accentuato nel 2016 le carenze strutturali di una economia europea ingessata sui parametri finanziari e politiche di austerity che vanificano le prospettive di una pur debole ripresa in atto. Le immissioni di liquidità effettuate dalla BCE (QE), non hanno prodotto i risultati attesi in tema di crescita. La BCE ha finanziato il sistema bancario e quindi contribuito a rafforzarne il capitale. Tuttavia, la carenza di domanda interna non ha incentivato le imprese agli investimenti. Il QE ha determinato la discesa dei tassi di interesse fino allo zero. Pertanto rilevanti quote di liquidità sono state dirottate verso investimenti finanziari a rischio elevato. Negli ultimi due anni, alla crescita sostenuta del mercato finanziario ha fatto riscontro una crescita debole dell'economia reale. Questo squilibrio ha determinato negli scorsi decenni l'implosione delle bolle finanziarie e le conseguenti crisi dell'economia globale. Le cause dei ripetuti ribassi delle borse mondiali nel 2016 sono attribuibili a tali fattori di squilibrio. La debolezza dell'economia reale ha comportato il dirottamento forzato nei mercati finanziari del risparmio e degli investimenti. La stessa politica economica europea (governo Monti in primis), attraverso la tassazione immobiliare persegue questa strategia di disincentivazione del risparmio, allo scopo di convertire i capitali già investiti nel comparto immobiliare in investimenti nel mercato finanziario. Le immissioni di liquidità possono inoltre dar luogo ad effetti negativi indesiderati. Infatti, in una fase congiunturale di cali della produzione, l'incremento di liquidità può condurre ad alimentare eccessivamente il consumo di beni di importazione, con relativi deficit della bilancia commerciale. La discesa dei tassi a zero, determina l'azzeramento anche degli interessi sui titoli pubblici, che rappresentano la principale forma di investimento dei risparmi per la maggioranza dei cittadini. La percezione degli interessi sui titoli pubblici da parte dei cittadini si riversa quindi nei consumi; ma con i tassi a zero, si incrementa solo la deflazione.
Il QE non è dunque una misura sufficiente per la ripresa. Infatti, le fonti ufficiali del governo dell'economia (Draghi in primis), per sostenere la crescita, raccomandano una politica di investimenti da effettuarsi mediante la spesa pubblica, congiuntamente alla attuazione di riforme strutturali. Il piano Junker per gli investimenti non ha conseguito gli effetti auspicati. Tale insuccesso era peraltro prevedibile. Non si è mai compreso infatti come investimenti infrastrutturali europei con fondi di 15 miliardi avrebbero potuto incentivare investimenti privati per 300 miliardi.
Ma la contraddizione più evidente emerge dalla pretesa compatibilità tra la auspicata politica di investimenti pubblici e l'introduzione di riforme strutturali concentrate su ulteriori tagli alla spesa sociale e privatizzazioni progressive dei servizi. Mediante il QE la BCE acquista i titoli degli stati, a condizione che il rating di ciascun paese non sia al di sotto dell'indice BBB-. L'Italia, che è la terza economia europea, ha però un rating assai basso, dato il rapporto debito/Pil assai elevato. Pertanto, viene imposto all'Italia un programma di riforme strutturali che comporterebbero ulteriori misure di compressione del welfare, svendita del patrimonio pubblico, privatizzazioni di quel che rimane delle industrie strategiche in mano pubblica, come condizione / ricatto per poter beneficiare del QE. Le agenzie di rating, che sono espressione del sistema bancario e della finanza, potrebbero a loro insindacabile giudizio, abbassare ulteriormente il rating sul debito italiano e quindi provocare il default e instaurare il governo della troika, con misure devastanti come in Grecia. In questa ottica debbono essere interpretati i richiami perentori europei all'Italia per la riduzione del debito pubblico. Insieme con l'Italia, tutti i paesi del sud dell'Europa corrono il rischio di essere governati da un unico ministro delle finanze europeo (probabilmente tedesco): potrebbe instaurarsi un governo europeo della troika permanente. L'epilogo logico e conseguente di questa Unione Europea disgregata e conflittuale potrebbe essere la dittatura finanziaria delle oligarchie tecnocratiche.
La Brexit: uno spettro per la finanza globale
L'Europa non è uno stato, né tanto meno una patria, ma una unione tra stati nazionali. Pertanto, nulla vieterebbe la fuoriuscita di uno o più stati da un organo sovranazionale da essi stessi fondato e riconosciuto. La vicenda Brexit tuttavia sembra dimostrare il contrario. Innanzi tutto occorre rilevare il dogmatismo ideologico totalizzante con cui viene impostata una problematica di natura eminentemente politica relativa ad un referendum di uno stato sovrano circa l'eventuale Brexit. Infatti la fuoriuscita della Gran Bretagna dalla UE viene interpretata come una pretesa velleitaria, anacronistica, antistorica, in quanto un mondo globalizzato presuppone la progressiva ed ineluttabile scomparsa degli stati, la cui sovranità viene devoluta ad organismi internazionali la cui governance è esercitata dalle multinazionali e dalle istituzioni finanziarie, vale a dire dalla global class capitalista. Vengono evocati valori imprescindibili, quali la civiltà, il progresso, la necessità storica di un ordine mondiale liberista che non può tollerare contraddizioni e prospettive contrarie al corso della storia.
Contro la minaccia della Brexit si sono pronunciati 36 tra le grandi multinazionali (tra cui Shell, BP, Vodafone, Goldmann Sachs etc.), che dominano il Ftse100 (indice azionario delle maggiori società quotate alla borsa di Londra). Ben oltre il 60% delle società quotate non hanno aderito a tale pronuncia e le opinioni in merito delle piccole e medie imprese britanniche sono state ignorate. I giganti della City, da cui dipendono 3,5 milioni di posti di lavoro, si vogliono sovrapporre con l'arroganza e il ricatto alla volontà popolare. I sostenitori della Brexit infatti invocano la sovranità popolare in aperto dissenso verso una Europa governata da una burocrazia priva di legittimità democratica. Infatti i maggiori paesi della UE sono retti da governi di unità nazionale, improbabili coalizioni erette a baluardo dell'Europa contro il “populismo”, governi di nominati (vedi l'Italia). Nella UE la democrazia e la sovranità degli stati sono in via di estinzione. Dopo l'accordo in extremis con cui la UE ha concesso alla Gran Bretagna uno statuto speciale affinché rimanga nell'Unione, è stato lanciato un progetto di fusione tra la Deutsche Boerse e la London Excharge, le maggiori borse europee. Non sono mancati gli allarmismi mediatici rituali circa la svalutazione della sterlina, la perdita di posti di lavoro, danni futuribili per l'economia britannica, lo spettro del salto nel buio rappresentato dalla eventuale Brexit. Sotto accusa è la politica e la sua pretesa di decidere su temi che, anche se di natura politica, sono ormai appannaggio dell'economia e della finanza.
La sovranità degli stati, in un mondo globalizzato, sarebbe un relitto storico del passato. Questa Europa, in cui la sovranità degli stati è stata devoluta alla governance degli organismi internazionali dell'economia e della finanza, ha determinato la fine del primato della politica e della democrazia. L'Europa si è identificata con l'Occidente in condizione di subalternità rispetto agli USA. L'appartenenza alla UE e congiuntamente alla Nato, viene definita ipocritamente una “condivisione di sovranità” europea e atlantica, che costituirebbe la necessaria strategia di difesa contro le guerre, il terrorismo, le crisi umanitarie legate alle migrazioni di massa che minacciano l'Europa. Ma Europa e questo Occidente, identificati ideologicamente con la storia, la civiltà i diritti umani sono i diretti responsabili dell'attuale disordine mondiale. Si può invocare dunque la salvezza dai responsabili della distruzione politica, economica e morale dell'Europa?
L'Europa atlantica è il nostro destino?
L'Europa vive in una fase di interna disgregazione. Le ondate migratorie, la minaccia terroristica, le diseguaglianze economiche tra i membri della UE sono sempre più rilevanti. Il dominio tedesco e dei paesi del nord dell'Europa sul sud sta accentuando il malessere e la protesta di popoli e stati. il declino della politica ha generato una profonda frattura tra la elite tecnocratica e i popoli, che si sentono defraudati dei loro diritti politici e sociali. Al dissenso dilagante nei popoli, già qualificato spregiativamente come "populismo", sempre più emarginato e criminalizzato, mentre perdura una crisi economica strutturale endemica, fa riscontro il rafforzamento della rigidità finanziaria delle oligarchie, al fine di contrastare le spinte centrifughe in atto. Il potere finanziario della UE, BCE e FMI non riesce a contrastare né offre soluzioni alle crisi ricorrenti, in quanto questa Europa oligarchica è stata creata in funzione degli interessi delle classi dominanti che in virtù delle crisi hanno acquisito la propria supremazia. Dalle crisi infatti nasce il governo della troika e la creazione del MES (organo autonomo dalla UE, creato per la concessione di prestiti per assicurare assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà e l'acquisto di titoli sul mercato primario ma a condizioni assai gravose per gli stati), con relativa istituzione della spirale del debito insolubile, imposizione di riforme strutturali devastanti, spoliazione dei patrimoni pubblici e abrogazione della sovranità degli stati.
La stessa eventuale fuoriuscita della Gran Bretagna dalla UE potrebbe avere conseguenze assai diverse. Infatti la Gran Bretagna, da punto di vista geopolitico è estranea all'Europa in quanto parte integrante con USA e Canada dell'area geopolitica atlantica. Afferma a tal riguardo Massimo Fini: "Non si capiscono tutte queste ‘ammoine’, strusciamenti, invocazioni, implorazioni, concessioni di statuti speciali e deroghe alla Gran Bretagna perché resti nella Ue. Mentre invece sarebbe nostro interesse che ne uscisse. Perché la Gran Bretagna ha poco o nulla a che fare con l’Europa, ne è anzi una palla al piede. ... Da questo punto di vista l’Europa è molto più legata alla Russia. La grande aristocrazia russa parlava francese e dopo la Rivoluzione d’Ottobre gli emigrés si ritrovavano a Parigi non a Londra. Nonostante oggi un tunnel sotto la Manica la unisca alla terraferma la Gran Bretagna resta un’isola che dell’Europa non ha mai voluto veramente saperne. Neppure Hitler riuscì a coinvolgerla nel suo particolare progetto di unità dell’Europa sotto il suo tallone di ferro ma con la Gran Bretagna come partner a pari livello". La fuoriuscita della Gran Bretagna potrebbe rendere la politica estera europea meno condizionata e più autonoma dall'Occidente; l'Europa potrebbe svolgere un ruolo essenziale negli equilibri strategici nei confronti della Russia e del medio oriente. Ma tale prospettiva è impensabile, in una Europa subalterna alla Nato e incapace di qualunque ruolo geopolitico autonomo. L'Europa delle patrie, così come concepita da De Gaulle, è una utopia del passato.
In realtà i giganti della borsa di Londra che vogliono impedire la Brexit vogliono istituire già da ora un modello di governance da essi dominato che poi si potrebbe imporre con la conclusione del trattato transatlantico (TTPI). Infatti con questo trattato si istituirebbe un'area di libero scambio tra Europa e USA, in cui collegi arbitrali indipendenti dagli stati saranno giudici esclusivi dei rapporti tra le multinazionali e gli stati stessi, le cui legislazioni non potrebbero contrastare né limitare, in virtù del dogma del libero mercato, le strategie di espansione incontrollata delle holding industriali e finanziarie.
La UE sussiste e condanna l'Europa a questa unione che si è rivelata una camicia di forza per i popoli, in virtù delle strategie geopolitiche americane. L'Europa è infatti un'area occupata da basi militari della Nato, le cui politiche aggressive verso l'Eurasia, confliggono apertamente con gli interessi politici ed economici dell'Europa. La destabilizzazione dell'Europa attraverso la crisi economica e le ondate migratorie incontrollate, potrebbe essere funzionale all'avvento del trattato transatlantico (già in stato di avanzata realizzazione). Un'Europa priva di sovranità e dilaniata da crisi interne potrebbe essere facilmente inglobata economicamente e politicamente nell'area di dominio geopolitico americano.
Tuttavia la storia è come sempre imprevedibile. Il destino dell'Europa non è affatto scontato. La frattura tra la oligarchia della UE ed i popoli si rivelerà presto insanabile e gli equilibri politici saranno sempre più instabili, con sviluppi oggi ancora non prevedibili. La politica di contrasto all'Occidente della Russia di Putin e il nuovo corso iraniano potrebbero condurre a mutamenti degli equilibri politici in medio oriente e, alla lunga, produrre nuove prospettive alternative alla supremazia americana sull'Europa.