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Un solo cervello ma sguardi infiniti

di Pietro Citati - 20/03/2016

Fonte: Il Corriere della Sera



Oliver Sacks, di cui la casa editrice Adelphi pubblica un bellissimo libro, L’occhio della mente, è una delle persone più curiose che siano mai esistite. La realtà lo incanta, lo affascina, lo diverte: quanto più è diversa, strana, contraddittoria, multiforme. Nel cuore della realtà esiste qualcosa di vertiginoso: il cervello. In tutti i suoi ricchissimi libri, e specialmente negli ultimi, Sacks ha studiato le molteplici connessioni e interazioni di una parte del cervello con tutte le altre, e la loro adattabilità. Esso si può paragonare a un’orchestra enormemente complicata, formata da migliaia o decine di migliaia di strumenti: inutile cercare un direttore; l’orchestra si dirige da sola, seguendo un repertorio e una partitura in continuo cambiamento.
La vita del cervello dipende da malattie interdipendenti, che Sacks (1933-2015), nei suoi primi libri, studiava dal punto di vista di un uomo sano. Ora, ne L’ occhio della mente , egli è invece un malato che studia altri malati, rivalutando la malattia e le sue risorse. Dopo aver letto il libro, il mondo diventa immensamente più ricco e più vario: la malattia ha un fortissimo aspetto creativo. Sacks aveva sempre avuto difficoltà a riconoscere i volti e gli oggetti.
Quando era adolescente, non riusciva a individuare i suoi compagni di scuola. Se faceva una passeggiata, doveva ripetere sempre lo stesso percorso, sapendo che se se ne fosse distaccato anche di poco, si sarebbe irrimediabilmente perduto. Anche a settantasei anni, ha lo stesso problema: a volte, non sa riconoscere un uomo col quale aveva parlato pochi minuti prima. La malattia di Sacks ha un nome scientifico: prosopagnosia. I malati di questa malattia sono spesso incapaci di individuare il marito o la moglie o i figli. Uno studioso descrive un uomo «che non riesce nemmeno a ricordare la propria faccia». Oppure un uomo che vede benissimo gli occhi, il naso e la bocca di un altro uomo, ma non sa metterli insieme ed accordarli: vede le singole parti degli oggetti, senza riconoscerli.
Chi guarda possiede di solito un dono: la stereoscopia: i due occhi permettono di vedere il mondo in rilievo e in profondità; ma il dieci per cento degli esseri umani manca del tutto o in parte di questo dono. Qualche volta, un malato acquista la visione stereoscopica che non possedeva: all’improvviso, possiede un senso in più; è una specie di assoluta rivelazione. O, al contrario, egli perde la stereoscopia: allora il suo mondo visivo si appiattisce; non scorge i gradini di una scala, tanto che scenderla diventa per lui una esperienza quasi terrificante. La stereoscopia resta viva nei sogni, dove il mondo torna ad avere profondità e rilievo.
Questa incapacità di riconoscere trasforma il mondo in una selva mostruosa. Una pianista, Lillian Kallir, doveva eseguire il Concerto n. 22 di Mozart, che aveva suonato decine di volte. Quando esaminò la partitura, un giorno del 1991, la trovò totalmente inintelligibile. Sebbene vedesse, chiari e ben definiti, pentagramma, linee e singole note, nulla le pareva coerente o dotato di una minima logica. Col tempo le cose peggiorarono. Quando compiva tournée in giro per il mondo, doveva far sempre più affidamento sulla memoria, giacché ormai le era impossibile imparare nuovi brani leggendo le partiture. Cominciò ad avere difficoltà con le parole. C’erano giorni buoni e meno buoni: sulle prime, una frase poteva sembrarle strana e inintelligibile; e poi, all’improvviso, tutto si schiariva, e non aveva difficoltà a leggere. La capacità di scrivere era rimasta invece assolutamente integra. Era divisa: sapeva scrivere ma non leggere.
Lo stesso capitò a uno scrittore di gialli, Howard Engel. Una mattina del gennaio 2002, si alzò dal letto. Si sentiva benissimo: si vestì, fece colazione, ritirò il giornale davanti alla porta di casa. Ma non riuscì a leggerlo. Le lettere erano le solite ventisei: solo che, quando le metteva a fuoco, sembrava ora cirillico, ora coreano.
Nel dicembre 2005, un esame scoprì che Sacks aveva un tumore maligno all’occhio destro. L’oculista, David Abramson, lo sottopose a radiazioni. Sacks si svegliò come da un incubo. Nel momento in cui aprì l’occhio destro, scoprì che il mondo era trasformato. L’Oscurità aveva guadagnato terreno — adesso, a sinistra, intravide a malapena qualcosa. Sapeva che l’oculista era eccellente: era nelle migliori mani possibili; ma, dentro di sé, si sentiva un bambino terrorizzato, un bambino che chiedeva aiuto gridando: «Morirò di melanoma?».
Questo pensiero stava sempre fisso nella sua mente. Qualche giorno dopo, l’Oscurità era ancora avanzata, circondando la sua piccola isola visiva. Con il solo occhio destro non riusciva a leggere: le righe erano indistinte, sfuggenti, grossolanamente distorte; oscillavano da un momento all’altro. Poi non poté più leggere nemmeno i titoli cubitali del «New York Times». A malapena vedeva il cielo: guardando il centro del ventilatore nel soffitto della sua stanza, scoprì che tre delle cinque pale erano invisibili al suo occhio destro. L’idea della cecità completa lo terrorizzava.
Durante l’operazione all’occhio, Sacks scivolò in un’incoscienza più profonda del sonno più profondo. Quando si svegliò, era loquace, leggermente euforico, insolitamente gioviale e socievole, e continuava a chiacchierare con tutte le infermiere. A distanza di sei ore, disteso a letto, vedeva di tanto in tanto piccole luci, scintillii dell’occhio destro. Se guardava solo con l’occhio sinistro, non aveva alcuna percezione della profondità e della distanza delle cose: era un assaggio di quello che sarebbe accaduto se avesse perso la visione centrale dell’occhio destro. Poi subì un improvviso, violentissimo dolore all’occhio: scorse un tumulto di forme violacee raggianti — stelle marine, margherite, che si espandevano verso l’esterno da una moltitudine di punti separati. Tutto era instabile: egli guardava attraverso una moltitudine fluida in movimento. Ogni forma era mobile e distorta. Sentiva che sul suo occhio destro era calata, molto più velocemente di quanto attendesse, qualcosa di molto simile alla cecità. Ma non poteva sopportare di diventare cieco. Viveva in un mondo di parole. Aveva bisogno di leggere: gran parte della sua vita era fatta di lettura. Ora, questo mondo gli sarebbe stato interdetto quasi completamente.
Nell’aprile 2007, le distorsioni all’occhio sinistro erano divenute estreme: ciò comprometteva la visione anche quando aveva entrambi gli occhi aperti. Gli esseri umani si trasformavano davanti a lui in bizzarre figure allungate: personaggi di El Greco, tutti inclinati a sinistra. L’acume visivo dell’occhio destro precipitò a tre decimi. Non riusciva a leggere nemmeno le lettere più grandi sullo schermo. La vista era talmente diminuita, ed era così distorta, che Sacks cominciò a chiedersi se non avrebbe vissuto meglio senza residui di visione centrale all’occhio destro.
Fu di nuovo operato. Quando tolse la fasciatura, un’enorme opacità nera gli oscurava in parte la visione centrale. Quando andò davanti allo specchio del bagno, con l’occhio destro non vedeva la propria testa, ma soltanto le spalle e la parte inferiore del busto. Se scriveva, non vedeva la parte inferiore della penna. Quando uscì di casa, scorgeva soltanto le gambe dei passanti. Perse la stereoscopia. Il suo mondo visivo si appiattì: era una sensazione detestabile. Attraversare le strade, salire e scendere le scale — tutte operazioni che prima non richiedevano alcuna attenzione consapevole — gli imposero di essere previdente ogni minuto. La mattina si svegliava in un mondo caotico, dove tutto era sottosopra, ridotto a una piatta confusione.
L’ultimo saggio del libro è il più bello. Sacks racconta le avventure di un individuo privato di una singola forma di percezione: egli si riplasma completamente attorno a un nuovo centro, conquistando una nuova identità. In coloro, per esempio, che sono nati ciechi, le parti visive del cervello non degenerano: rimangono attive, elaborando funzioni visive, olfattive, uditive o tattili. Esiste una categoria di ciechi visualizzatori, che posseggono una prodigiosa capacità di immaginazione legata ad altri sensi; e diventano addirittura molto più sensibili alle emozioni degli altri. Dunque non possiamo affermare la natura esclusivamente visiva, uditiva, tattile od olfattiva di nessuna nostra percezione. Le diverse aree di quella meravigliosa orchestra di sensazioni che è il cervello, sono interconnesse. Ogni minima sensazione sta in rapporto con tutte le altre sensazioni. La nostra mente è un Uno.