Il laboratorio Italia
di Emanuele Porcelluzzi - 11/04/2016
Fonte: Arianna editrice
Il Belpaese palesa segnali di grande insofferenza democratica, su cui le politiche di austerità spargono abbondante sale sui problemi cronici, rimasti irrisolti. La figura del leader, nel Belpaese, viene da lontano e serve, soprattutto, per confermare la logica oligarchica, tra l'altro, parecchio dominante, che finisce per soffocare la vita politica italiana. Chi promuove il leader non fa altro che calarlo dall'alto alla stregua dell'immarcibile "deus ex machina", facendo a meno di consultare i cittadini, chiamati solo ad applaudire una scelta presa altrove, non sostituibile dall'attuale e osannato esperimento del "clic" che potrebbe, forse, risultare utile solo per il rinnovo dei quadri di una bocciofila. Poi è necessario ricordare che i partiti novecenteschi non esistono più, e, quindi, non sono più il luogo in cui si organizzava e veniva espressa la volontà popolare, e, di conseguenza, i cittadini continuano a svolgere la funzione passiva di consumatori di messaggi politici preconfezionati e sono, tutto sommato, i protagonisti dell'apposizione di un segno di matita sulla scheda elettorale. La scelta del candidato da incoronare si basa su una stantia e ammuffita cultura, che scorge, nell'individuo, una sorta di divinizzazione, una spiccata attitudine ad essere il capo e, nel contempo, il comandante, abilitato a guidare, da solo, le truppe e capace di risolvere, eroicamente, i problemi di tutti. La caratteristica che deve possedere e che lo consacra vincitore è quella del grande comunicatore, il cui linguaggio politico deve utilizzare i canoni dello spettacolo. E' evidente che la popolarità del candidato costituisce un elemento importante per il suo successo elettorale e lo è altrettanto quello di conoscere le competenze professionali, i saperi, il profilo intellettuale e morale di donne e uomini, che dovrebbero affiancarlo. E' bene rammentare che i partiti di massa, sorti nel dopoguerra, erano guidati non da un capo ma da gruppi di dirigenti e che la politica è un fatto collettivo e non una sopravvivenza del ceto politico o dell'affarismo. Senza alcun dubbio, la democrazia è trasparenza, informazione, ma anche partecipazione che, tuttavia, non può essere costante e permanente, come spesso si illudono tanti generosi giovani e non giovani dei movimenti in Italia e non solo. In merito, corre l'obbligo di annotare che la società civile è assorbita nei propri ruoli di lavoro e di organizzazione familiare e sociale e, quindi, solo occasionalmente può impegnare il suo tempo nell'esercizio della cittadinanza. Infine, spezzare i legami della politica con le forze economiche dominanti, significa restituirla alla sua autonomia e sovranità, grazie non a sermoni moraleggianti, ma a un ampio e sistematico controllo da parte del popolo.