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La dicotomia innaturale: Destra e Sinistra di fronte alla postmodernità

di Alex Barone - 18/04/2016

Fonte: L'intellettuale dissidente


La contrapposizione tra “destra“ e “sinistra”, alla luce della crisi della politica contemporanea, sta palesando tutta la sua inconsistenza ontologica, segnando al contempo la vitale necessità di strutturare nuove forme e nuove categorie valoriali per difendere i diritti e le conquiste del lavoro, oggi sotto continuo attacco.

  

Specialmente  negli ultimi tempi, si è sentito spesso parlare di superamento delle categorie ideologiche “destra” e “sinistra”, accusando in qualche modo l’intero assetto sistemico attualmente esistente. La lunga agonia dei modelli politici, economici, sociali posti in essere fino al 1989, fino alla caduta del paventato e temuto “Impero del Male” sovietico, acuisce il disagio e rende ancora più evidente il coma irreversibile della canonica divisione politica .

I “guru” della cosiddetta “anti-politica” parlano costantemente di superamento delle vecchie divisioni ideologiche tra blocco di destra e blocco di sinistra, con l’ambizione di raggiungere una condizione di maggior incontro tra le parti e la produzione di necessarie sintesi di pensiero.  Sintesi che, mai come oggi, paiono essere assolutamente esiziali, dovendo far fronte ad uno scenario problematico completamente diverso da quello presente in Occidente per decenni.  Si è passati, infatti, ad un vero e proprio ridimensionamento dei rapporti politici, in un contesto nel quale certi valori propri della tradizione di sinistra sono stati assorbiti dalle attuali espressioni di destra, mentre certi valori propri del pensiero di destra sono  ormai monopolio di una certa sinistra, sempre più progressista e sconnessa rispetto alle rivendicazioni  del Lavoro e delle classi subalterne.  L’utopia del bipolarismo è crollata, trascinando con sé le spoglie dei partiti post-novecenteschi.

È alla luce di questo scenario che sono sorti i concetti di “antipolitica”:  in realtà, il termine dovrebbe essere sostituta con il concetto di “Oltrepolitica”, ovvero superamento di quella concezione illusoria di politica prodotta dalla società borghese, ed ormai del tutto snaturata dal tempo attuale. L’ espressione di “antipolitica” dovrebbe alludere ad un atteggiamento di totale negazione della politica stessa, dell’azione pubblica, ad un disimpegno totale del soggetto nei confronti del fare collettivo, mentre il discorso del superamento dei rigidi schemi della “destra” e della “sinistra” si inserisce in un meccanismo di rapporti storico-sociali più complessi e si articola alla luce di una visione del mondo e di una filosofia della storia ben più strutturata.

In effetti, i rapporti di potere del nostro tempo, le strutture sociali e le sovrastrutture ideologiche, a partire dalla disgregazione del blocco sovietico ed il progressivo trionfo assolutizzante del sistema liberale di stampo angloamericano, si sono trasformati radicalmente. Se prima di quella data, infatti, in qualche modo ci si sapeva ideologicamente schierarsi con una ed un’altra parte, incanalare il proprio pensiero entro un blocco categorico ben definito, con il cedere dell’ alternativa socialista quella rigidità ideologica che era stata propria del dopoguerra, venne a cadere, con la conseguente disgregazione del sistema dei partiti che caratterizzò, in Italia, la Prima Repubblica.

A partire da quella data, dunque, si può dire che sia stata compiuta una vera e propria rivoluzione ideologica, ed un ridisegnarsi della politica stessa.  A partire dagli anni ’90, in Italia, i vecchi partiti tradizionali che, in un certo senso, raccoglievano le differenti istanze ideologiche, definendo molto chiaramente la contrapposizione tra destra e sinistra, sono stati letteralmente annichiliti , a favore dell’emergere di nuove espressioni e coalizioni gravitanti attorno non più al riferimento ideologico ma alla figura del leader carismatico. Ma questo passaggio da una politica meramente legata all’appartenenza partitica, all’identificazione in un modello schematico,  alle direttive imposte da una tradizione da rispettare, all’emergere di una maggior liquidità della politica stessa, non è solo da ravvisare in implicazioni di ordine storico-causale , ma, forse, anche in ragioni di ordine strutturale all’ideologia stessa, e a quella dicotomia innaturale, tra destra e sinistra, a cui il mondo contemporaneo è stato abituato dalla rivoluzione francese in poi.

Questa dicotomia tra destra e sinistra, infatti, non ha affatto uno statuto metafisico (per così dire), non è una divisione esistente nella natura delle cose, ma un fatto di mera contingenza storica, che trae la sua origine dal periodo illuminista e la nuova  impostazione politica determinata dalla nuova società borghese e liberale post- rivoluzionaria.  La contrapposizione tra destra e sinistra, all’indomani dello scoppio della rivoluzione del 1789, fu un fatto di mera convenzione, e a destra furono collocati gli esponenti rivoluzionari appartenenti a quell’area sociale della borghesia più conservatrice, mentre a sinistra i rappresentati borghesi più progressisti e meno legati ai valori della tradizione. Di fatto, nella nuova plasmata società liberale, post-monarchica, questo dualismo si è inserito nei meccanismi di potere di tutta la società occidentale, definendo una contrapposizione profondamente organica al sistema liberale. Nei primi anni dell’Ottocento,  la dicotomia innaturale ed arbitraria tra destra e sinistra già iniziava a palesarsi , con la nascita dei primi movimenti operai e con l’avvento del pensiero socialista,  operante all’interno di un contesto neutro rispetto alla borghese contrapposizione politica tra destra e sinistra, essendo espressione politica del cosiddetto “quarto stato” ( il proletariato), nuova classe sociale figlia della rivoluzione industriale.

Il socialismo , infatti, nasceva come rivendicazione politica e sociale antiborghese, dunque aliena ai concetti di destra e sinistra. Nel corso del tempo, però,  i valori propri di un certo socialismo, specie riformista emoderato, furono fatti propri da una certa sinistra e, poi, con la contrapposizione tra blocco sovietico e blocco capitalista l’innaturale divisione fu ancor più cristallizzata, dimostrando infine la sua innaturale esistenza con il crollo del muro di Berlino.  Oggi, si tratta dunque di rivedere questi due concetti, di compiere nuove sintesi, di ristrutturare l’architettura stessa della politica, per  fondarne una nuova, in grado di controbattere agli attacchi mortali della tecnofinanza transnazionale, cui meta finale è la completa distruzione delle conquiste politiche del Lavoro e del Benessere.



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