Attacco della magistratura a Renzi e al piddì del malaffare? Siamo sicuri?
di Eugenio Orso - 08/05/2016
Fonte: pauper class
In queste ultime settimane i casi giudiziari e mediatici che hanno investito il piddì di governo sembrano moltiplicarsi, da Siracusa a Lodi, dalla Campania alla Sardegna, ampliando lo spettro dei reati commessi (si va dalla detenzione di droga all’evasione fiscale).
Sappiamo tutti del rapporto perverso, nonché “familiare”, della ministra Maria Elena Boschi con le banche razziatrici e del legame, addirittura intimo e “sentimentale”, dell’ex ministra e lobbista Federica Guidi con il malaffare petrolifero.
Sulla questione del rapporto ormai “simbiotico” fra piddì e malaffare, ho già scritto un post dal titolo eloquente Malaffare e piddì, un binomio inscindibile, pubblicato il 3 di maggio su Pauperclass:
http://pauperclass.myblog.it/2016/05/03/malaffare-piddi-binomio-inscindibile-eugenio-orso/
Non intendo riprendere in questa sede i contenuti dell’articoletto, nel quale sostengo quanto segue:
“I demokrat del piddì, baluardo della democrazia contro il “populismo”, non si fanno mancare proprio niente, dagli inciuci con le banche in dissesto, per razziare il piccolo risparmio popolare, al pingue affare del petrolio e dello smaltimento dei rifiuti, dal “sodalizio” fruttuoso con le organizzazioni criminal-mafiose-camorriste, nell’Italia che diventa una grande Gomorra, agli appalti truccati, fino alla detenzione e (al probabile) spaccio di droga.”
La corruzione, il corrompimento, all’interno di quella che è la principale entità subpolitica italiana collaborazionista della troika e della Nato, è un dato reale e le cronache giudiziarie lo dimostrano, di settimana in settimana, al punto che solo un cerebroleso potrebbe non accorgersene.
Su queste spinose vicende, che coinvolgono il governo del piccolo Quisling Renzi e i suoi amministratori sul territorio, s’innesta il “conflitto” fra piddì e magistrati, con la corrente di Magistratura democratica e l’Anm in prima fila, tanto che il presunto scontro potrebbe essere interpretato come un duro confronto fra la politica e il potere giudiziario, con il potere giudiziario che difende legalità, democrazia e costituzione contro gli “appetiti” totalitari del piddì renziano.
Ma è veramente così come appare?
Epicentro dello scontro sembra essere il consiglio superiore della magistratura, in cui, dopo che il membro del Csm in quota piddì, Giuseppe Fanfani (già sindaco di Arezzo e parlamentare demokrat) ha manifestato l’intenzione di richiedere l’apertura di un’inchiesta per l’arresto del sindaco piddino di Lodi, Simone Uggetti.
Sono insorti in molti, davanti al tentativo della “quinta colonna” del piddì, in seno al Csm, di mettere sotto inchiesta i magistrati che arrestano quadri del piddì, colpevoli di aver commesso reati di assoluta rilevanza penale.
Dall’ex ministro Renato Balduzzi all’Associazione nazionale magistrati è stato tutto un coro di voci contrarie al tentativo di Fanfani (ex sindaco piddino di Arezzo) di intimidire i magistrati con le inchieste.
Persino l’astuto Renzi ha dichiarato che le inchieste della magistratura devono seguire il loro corso: “rispettiamo i magistrati e processi veloci”.
Poi, è stata la volta di Piergiorgio Morosini, consigliere del Csm ed esponente della potente Magistratura democratica, che in un’intervista al Foglio (smentita, peraltro, dallo stesso consigliere) ha tirato un colpo di maglio contro piddì, Renzi e governo, affermando che sosterrà la campagna per il no al referendum costituzionale d’autunno (al quale Renzi ha legato le sorti sue e del governo), esistendo il pericolo di una democrazia autoritaria, con rapporti squilibrati fra parlamento (politica, piddì) e organi di garanzia.
E’ chiaro che se la riforma costituzionale renziana passerà, agitando davanti al volgo la carota della diminuzione del numero dei senatori, il “partito” di maggioranza avrà buon gioco nel controllare il Csm e la Corte costituzionale.
Per complicare le cose, rileviamo che il vice presidente del Csm, Giovanni Legnini, in quota piddì nel consiglio insieme a Fanfani, è andato contro Morosini, per mancanza di rispetto nei confronti dei poteri dello stato (Renzi, piddì, governo, ovviamente) e attacchi inaccettabili a esponenti del governo e del parlamento (sempre Renzi e i suoi).
Quanto precede dovrebbe essere la spia di uno scontro, che si prospetta sanguinoso, fra il potere giudiziario, da una parte, e quelli legislativo ed esecutivo dall’altra, in perfetta sintonia con la vulgata liberaldemocratica della suddivisione dei poteri.
Ma è proprio così?
Cosa si nasconde dietro questo confronto – la magistratura che difende legalità e costituzione contrapponendosi alla “politica” – e quali sono i veri obbiettivi che s’intendono perseguire?
Io un’idea l’avrei, in proposito, e la esporrò sinteticamente, con estrema semplicità – essendo il classico “uomo della strada”, privo di accesso alle stanze del potere – nel seguito dell’articolo.
L’obbiettivo vero, nascosto, non mi pare tanto quello di vincere l’”eroica” lotta contro la corruzione politica, che distrugge risorse e commette reati penali, e di sventare la manovra autoritaria renziana che la riforma costituzionale sottende, ma piuttosto quello di aiutare indirettamente Renzi, ancora sostenuto dai poteri esterni, a liquidare il piddì, così come (purtroppo!) lo conosciamo oggi, traghettando rapidamente i collaborazionisti nel nuovo “partito della nazione”.
Questa ondata di scandali mediatico-giudiziari che ha investito il piddì, ancorché basata su reali responsabilità e comportamenti criminali dei quadri piddini, sembra molto virulenta e potrebbe porgere il destro per liquidare l’attuale entità collaborazionista dei poteri esterni, da questi giudicata “obsoleta” e, quindi, da dismettere e sostituire con qualcos’altro di più adatto ai tempi, per mantenere la ferrea presa sull’Italia.
Anche se si contrasta Renzi e si critica, con le – doverose – inchieste giudiziarie e gli arresti di esponenti del piddì, o proclamando pubblicamente avversione per la riforma costituzionale, si aiuta il suddetto (consapevolmente, ma più spesso inconsapevolmente) a imboccare con decisione una strada sicuramente gradita alle élite finanziarie occidentali, che vogliono assicurarsi anche per il prossimo futuro il dominio sulla penisola.
Una strada che porterà alla “liquidazione” dell’obsoleto e screditato partito democratico e all’apparizione del “partito della nazione”, in cui potranno entrare senza troppo scandalo e resistenze verdiniani, altri esuli del centro-destra (e forse del cinque stelle), avventurieri e collaborazionisti filo-europidi/filo-americani non proprio sinistroidi.
Continuando le inchieste a scapito dei piddini, arrestandoli, screditandoli agli occhi di chi ancora è in grado, in questo paese, di ragionare e comprendere da dove viene il male, si fa di certo cosa buona e giusta, ma subdolamente si prepara la strada per l’esito finale da me descritto, che consentirà ai poteri esterni di poter contare, dopo il piddì, su un’entità subpolitica collaborazionista, euroserva e filo-atlantista nuova di zecca, sicuramente più “invasiva” e dannosa dello stesso piddì, anche se svuotata di militanza e tessere.
Un’ipotesi peregrina, la mia?
Non credo che lo sia, perché Renzi non ha avuto particolari patemi d’animo quando è esploso, grazie a giornali e media, il problema del forte calo del tesseramento piddino, anzi, è probabile che abbia gongolato senza darlo troppo a vedere, perché meno “militanza” vuol dire minori necessità di compromesso con chi subisce (pur sempre, anche con la tessera del piddì in tasca) le riforme contro il lavoro, le pensioni e lo stato sociale.
Inoltre, ha fatto di tutto per togliersi dai coglioni gli esponenti piddioti della (falsa, edulcorata e vile) opposizione interna dem, riuscendo, alla fine, a liberarsi del ridicolo Civati, della nullità Fassina e di qualche altra fastidiosa zanzara (Bersani e Cuperlo restano attaccati alla gallina dalla uova d’oro come sanguisughe).
Oggi, Renzi si guarda bene dall’intervenire troppo sulla “questione morale” che squassa il piddì, a causa dei recenti arresti e inchieste, ma si limita a dire, con nonchalance, che i giudici devono essere rapidi nell’arrivare a sentenza … non mostra di aver a cuore il destino de piddì, che potrebbe essere già segnato.
Per quanto riguarda il referendum costituzionale d’autunno, esponenti di Magistratura democratica, come Piergiorgio Morosini, potranno anche fare campagna per il no, ma se il popolo bue cadrà nella trappola propagandistica della diminuzione del numero dei senatori, con conseguente risparmio di costi (ormai nelle testoline colonizzate è entrato il principio neocapitalista della riduzione salvifica della spesa pubblica a ogni costo), ignorando gli altri aspetti, tutti negativi, della riforma, Renzi sicuramente vincerà, pur non essendoci in questo caso quorum che tenga.
Capito mi avete?
Fuori dalle scatole il pessimo piddì, sciolto, scisso, a pezzi, e dentro l’ancor più pernicioso “partito della nazione”, ultimo parto del marketing politico per mantenere in catene la nazione.
Il destino e la “carriera” di Matteo Renzi, a quel punto, importeranno poco, perché le élite dominanti potranno decidere di sostituirlo con altro piccolo Quisling, oppure di imporre il governo-troika commissariale definitivo (di logica, l’esito finale del processo iniziato nella seconda metà del 2011, con l’imposizione di Monti), certi che ci sarà sempre un’entità subpolitica al loro servizio – in tal caso il “partito della nazione” – per approvare le durissime controriforme, decise dai commissari europei e dai “tecnici”, normalizzando in senso neocapitalistico il paese.
Sic et simpliciter