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Si conclude il G20 in Cina, l’ipocrita passerella dei Grandi

di Salvo Ardizzone - 07/09/2016

Si conclude il G20 in Cina, l’ipocrita passerella dei Grandi

Fonte: Il Faro sul Mondo

 

Si è concluso il G20 in Cina: dietro le luci di una ribalta ipocrita i Grandi hanno intessuto i loro accordi. Xi Jinping, Putin ed Erdogan in primo piano.

 

Ad Hangzhou, in Cina, s’è concluso il G20, che mette insieme i 19 Paesi più grandi della terra più la Ue; un forum che racchiude l’85% della ricchezza e il 75% del commercio globale. È stata l’edizione opulenta con cui il padrone di casa, Xi Jinping, ha voluto celebrare la Cina come potenza globale, mettendo in ombra i tanti punti deboli di un sistema che, dopo successi travolgenti, deve cambiare radicalmente pena una devastante implosione.

Sul palcoscenico del G20 i Grandi hanno fatto passerella, distinguendosi per discorsi zeppi di belle parole e totalmente vuoti di contenuti; la stessa intesa fra Cina e Usa sulle emissioni (un problema serio questo) è stato solo un gesto d’immagine dei due Presidenti, i cui risultati, semmai ci saranno, emergeranno fra anni, quando saranno superati da una realtà sempre più drammatica.

Per il resto il nulla: parole sulla crisi economica che non passa, parole sui paradisi fiscali, parole sulla sovrapproduzione cinese dell’acciaio venduto sotto costo, parole contro i populismi che quegli stessi Stati hanno suscitato con le loro politiche cieche. Il G20è stato poco più d’uno show diretto dal presidente Xi Jinping, che intende proporsi come leader di una “riglobalizzazione”, dopo i fallimenti e i disastri della prima che hanno bruciato ricchezze enormi insieme a milioni di posti di lavoro.

Ma dietro alle luci della ribalta insulsa, i leader hanno colto l’occasione di una fitta trama d’incontri per i loro interessi: a parte Xi Jinping, il padrone di casa, il più attivo (e ricercato) è stato Putin. Obama ha usato l’occasione del G20 per tentare in tutti i modi di strappargli concessioni sulla Siria ma, al termine d’un incontro definito “brusco e franco” (che in termini diplomatici equivale a una lite furiosa), non lo ha spostato d’un centimetro dalla difesa di Al-Assad, dalla posizione a fianco dell’Asse della Resistenza e dalla decisione di lottare contro il terrorismo, tutto, e senza ipocrisie.

Alla fine, il tema è stato rinviato a Lavrov e Kerry perché lo approfondiscano, ma dalle espressioni che avevano al termine dell’incontro è quanto meno improbabile si giunga ad un accordo. Putin sa bene d’aver collocato la Russia al centro dello scacchiere mediorientale, e non ha nessuna intenzione di prestarsi alle manovre di Washington senza garanzie o sostanziali contropartite.

Il peso riacquistato da Mosca è anche alla base dell’accordo energetico siglato con Riyadh a margine del G20 per stabilizzare i prezzi del greggio. Russia ed Arabia Saudita sono i due maggiori esportatori di petrolio, e un’intesa per frenare la caduta delle quotazioni del barile, se è la benvenuta al Cremlino, è manna per le disastrate finanze saudite. Riyadh, sempre più in difficoltà nei vari teatri regionali, ha il disperato bisogno di una sponda solida per uscire dall’angolo, e Mosca, alle proprie condizioni, può concederla.

Ma oltre a Putin, è Erdogan che s’è trovato al centro della scena del G20 per il suo rinnovato ruolo in Siria. Il personaggio è quello che è: uno spietato autocrate megalomane, ma il suo repentino cambio di fronte, con il riavvicinamento a Mosca e all’Asse della Resistenza, gli ha conferito un peso nelle crisi mediorientali, e non solo, che costringe Usa e Golfo a rincorrere un importante membro della Nato che, di conserva con gli antichi rivali, ha sparigliato i giochi apparecchiati da Washington per controllare l’area attraverso i curdi.

In mezzo a fiumi di parole insulse sono stati molti i leader che hanno colto l’occasione del G20 per fare gli interessi di Paesi e lobby; al di là della coreografia è questo ciò che conta: avere un’occasione per i propri affari.