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La disastrata eredità di Kofi Annan

di Danilo Zolo - 10/10/2006

 
A dicembre Kofi Annan andrà in pensione. Ormai è certo che a sostituirlo nei prossimi cinque anni sarà Ban Ki-Moon: un diplomatico sudcoreano di cui si sa soltanto che è un burocrate senza carisma e che gode del Washington consensus, come è naturale. E questo è già sufficiente per farci temere che nel prossimo futuro il Segretariato generale delle Nazioni unite non svolgerà funzioni minimamente più incisive rispetto al passato.
Il lascito dei dieci lunghi anni di Kofi Annan è pesante. Il dignitoso, elegante, bonario maggiordomo imposto dagli Stati uniti alla comunità internazionale con un ricatto finanziario - per eliminare Boutros Ghali - lascia una situazione disastrosa. Ovviamente la responsabilità è solo in parte sua. Ma non sono poche le colpe che gli possono essere attribuite, sia per quanto riguarda la gestione interna delle Nazioni Unite, sia per quanto attiene ai grandi temi della politica internazionale.
Nei dieci anni del suo segretariato Kofi Annan ha lasciato intatta la struttura organizzativa delle Nazioni unite, senza scalfirne la pesantezza burocratica, la scarsa funzionalità e la debole rappresentatività.
Le Nazioni unite dispongono di un apparato mastodontico: oltre 9 mila funzionari con stipendi elevati. La spesa complessiva è spropositata: oltre cinque miliardi di dollari all'anno. I funzionari sono molto spesso selezionati non in base alla competenza, ma secondo criteri politico-geografici e sono quindi di dubbia professionalità e, talora, anche di dubbia onestà. Le Nazioni unite sfornano ogni anno un'imponente quantità di documenti cartacei - l'Assemblea generale in media trecento risoluzioni, il Consiglio di sicurezza circa sessanta - che normalmente restano lettera morta.
Da questo punto di vista, come ha scritto Antonio Cassese, «l'Onu pesta acqua nel mortaio».

Sul piano internazionale il decennio di Kofi Annan è stato particolarmente tumultuoso: dalle guerre in Bosnia e per il Kosovo all'incandescente questione palestinese, dall'attentato dell'11 settembre e dal diffondersi del «terrorismo globale» alle guerre di aggressione in Afghanistan, in Iraq, in Libano, senza dimenticare l'etnocidio in Cecenia. In tutti questi casi le Nazioni unite sono apparse come un organismo pletorico, delegittimato, emarginato dalle strategie egemoniche delle grandi potenze - in primis degli Stati uniti -, impotente di fronte all'esplodere della violenza e alle stragi di innocenti, come è accaduto spietatamente in Palestina e in Libano.
In questo contesto Kofi Annan ha accettato per sé e per le Nazioni unite un ruolo sempre più marginale e subordinato, di carattere adattivo e legittimante, anziché normativo e regolativo. Egli si è assunto la responsabilità di fare della Nato il braccio armato delle Nazioni unite, ne ha esaltato il ruolo nei Balcani e ha esplicitamente legalizzato come «interventi umanitari» le guerre di aggressione delle potenze occidentali in Bosnia, nel Kosovo, in Afghanistan. Ha toccato l'acme della sua supina disponibilità ad assecondare la volontà delle grandi potenze inviando una rappresentanza ufficiale delle Nazioni unite nell'Iraq ancora sotto la sanguinosa occupazione delle armate anglo-americane. Tragica conseguenza di questo irresponsabile servilismo è stato nell'agosto 2003 l'attentato subito a Baghdad dalla sede delle Nazioni unite che fa falciato la vita di Sergio Vieira de Mello.

Il solo tentativo di Kofi Annan di emergere dalla mediocrità è stato nel 2005 il suo progetto di riforma delle Nazioni unite, lanciato con la nomina di un High Level Panel e la convocazione a New York di un summit dei capi di stato e di governo. Ma nel corso del summit l'intero complesso delle analisi e delle diagnosi elaborate o sollecitate da Kofi Annan è stato sbrigativamente accantonato e rinviato a scadenze future. Quasi nulla del progetto di riforma del Segretario generale - che pure non modificava la natura centralista, gerarchica e illiberale delle Nazioni unite - è sopravissuto alle 700 richieste di emendamento dell'ambasciatore statunitense, John Bolton, e nessuna delle prudentissime proposte di Kofi Annan ha trovato eco sia nel discorso di apertura, tenuto dal presidente degli Stati uniti, George Bush, sia nelle molte pagine del documento finale, infarcito delle solite trivialità umanitarie.