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Politici in overdose di privilegi

di Massimo Fini - 19/10/2006

 

Com’è noto, il Garante
della Privacy ha
bloccato un programma
de “Le iene” in cui
si dava conto di un drug
wipe (test sull’uso della droga)
cui erano stati sottoposti,
a loro insaputa, 50
deputati, 16 dei quali, cioè
circa un terzo, erano risultati
positivi: 12 alla cannabis,
4 alla cocaina. E ha fatto
benissimo perché - a parte
la dubbia attendibilità di un
test “fai da te” - ha semplicemente
fatto rispettare la
legge che vieta la diffusione
di dati sanitari di una persona
senza il suo consenso e,
ancor prima, e ancor più, la
loro raccolta.
Non si tratta, una volta tanto,
della difesa di un privilegio
dei politici, ma di un
diritto che appartiene a tutti
i cittadini e, quindi, anche
ai parlamentari. Sbaglia,
perciò, Alessandra Mussolini
quando sostiene che in
questo caso è stata difesa,
con un atto di censura, «una
sorta di diritto dei potenti a
drogarsi». In Italia l’uso
personale di stupefacenti è
lecito per tutti i cittadini
maggiorenni e, quindi,
anche per i parlamentari.
In quanto al diritto di cronaca,
come tutti i diritti,
non è assoluto, ma incontra
dei limiti in altri interessi
giuridicamente rilevanti.
Uno di questi è
(...) l’interesse, assurto a
diritto perché tutelato dalla
legge, alla riservatezza sui
propri dati sanitari.
Sull’onda delle polemiche
suscitate dal caso, l’onorevole
Casini ha proposto un
drug wipe per tutti i parlamentari:
«Gli italiani hanno
diritto di sapere se i parlamentari
che hanno eletto
sono tossicodipendenti o
meno. Se le Istituzioni
vogliono recuperare credibilità,
facciano trasparenza».
Per quanto le intenzioni siano
lodevoli, nondimeno la
proposta è inaccettabile.
Innanzitutto perché è contraria
alla legge secondo la
quale nessuno può essere sottoposto
a trattamenti sanitari
contro la sua volontà (è la
questione che si pone, in
modo ben più drammatico,
per l’accanimento terapeutico).
Ma c’è dell’altro. Ai cittadini
non può e non deve interessare
la vita dell’uomo politico
quando si svolga nell’osservanza
di quelle leggi che
tutti siamo tenuti a rispettare:
non può e non deve interessare
se fa uso di stupefacenti,
se beve wiskhy, se è
adultero, se ha delle preferenze
sessuali e quali. Sono
fatti suoi, in cui nessuno ha
diritto di mettere il becco.
Ha detto bene, ironizzando,
il segretario Dc, Gianfranco
Rotondi: «Aggiungiamoci
pure il test HIV, l’analisi del
colesterolo e il certificato di
buona condotta firmato dal
parroco». Ci voleva un
democristiano doc per dare
uno stop a questo moralismo
illiberale dilagante e sempre
più soffocante.
I parlamentari sono cittadini
come tutti gli altri e devono
devono
avere i diritti di tutti gli
altri. Non devono avere di
meno. Ma neanche di più. E
questa è la vera questione.
Attualmente godono di una
serie di privilegi, dal divieto
di arresto senza l’autorizzazione
delle Camere, che non
la danno mai, al divieto, per
la magistratura, di intercettare
le loro telefonate senza
darne prima informazione
alla Camera di appartenenza
(che rende questa pratica
investigativa del tutto inutile),
che forse avevano un
senso un secolo fa, quando
la classe politica faceva un
must dell’onestà personale,
non oggi, in un Parlamento
dove ci sono più di cento
inquisiti. Poi ci sono altri
privilegi “de facto” irritantissimi
per i cittadini, come
quello di ritardare la partenza
degli aerei nazionali
perché “l’onorevole” non è
ancora arrivato.
I parlamentari si liberino di
questi privilegi inammissibili,
tornino a considerare l’onestà
un valore primario e il
loro mestiere un servizio reso
alla collettività e non uno
strumento per esercitare la
propria arroganza sui concittadini.
Solo in questo
modo recupereranno quella
credibilità che, come ammette
l’onorevole Casini, hanno
perduto.
Noi vogliamo che siano dei
nostri pari. Nei diritti. Ma
anche nei doveri. La loro
vita privata non ci interessa.
Non sono delle veline. Che
rispettino, come tutti, la legge
e che quando la violano
ne paghino le conseguenze:
questo, sì, ci interessa moltissimo.
Quanto ai test obbligatori,
lasciamoli agli Stati
autoritari.